EXAGERE RIVISTA - Maggio - Giugno 2024, n. 5-6 anno IX - ISSN 2531-7334

Une limite ne se touche pas

di Pascal Neveu

( ITA/FRA – versione originale in fondo)

 

Il confine dei nostri limiti: una frontiera dell’estremo?

La questione del limite e dell’oltre ha sempre affascinato gli uomini perché ci rimanda ai campi razionali dello spazio e del tempo, ma anche a quelli del normale e dell’anormale. Pensiamo all’espressione: stai passando il limite!

In psicopatologia esiste una struttura chiamata stato limite (o organizzazione borderline).

Qual è la consapevolezza dei nostri limiti? E infine, qual è il limite?

La definizione del limite è intimamente connessa alla frontiera, all’estremo, alla fine, a un contorno, una demarcazione del campo di ciò che siamo.

Si tratta di avvicinarsi al non conosciuto, all’ignoto, a ciò che controlliamo e a ciò che ci sfugge.

Il limite è da qualche parte, contemporaneamente fine di qualcosa e inizio di qualcos’altro, nello spazio, nel tempo e nella circoscrizione di un fenomeno.

Da qui l’interesse della psicoanalisi per questo argomento.

Lo psicoanalista André Green ha scritto: “Il limite della follia non è una linea, ma un vasto territorio in cui nessuna divisione può separare la follia dalla non follia”.

Green, in una sua famosa opera, riunisce i pensieri teorici di Sigmund Freud, Melanie Klein, Donald Woods Winnicott e va oltre le nozioni di nevrosi e psicosi per descrivere una struttura limite, che può oscillare tra nevrosi e psicosi.

Il suo concetto si basa sul fatto che alcune persone vivono prematuramente due traumi emotivi separati nel tempo. Un primo trauma psichico che non può essere psicologicamente incorporato, seguito dall’improvvisa insorgenza di un’emozione sconosciuta, incomprensibile e violenta.

Il nevrotico affronta il principio della realtà e “assimila” l’evento e l’affetto ad esso collegato principalmente ignorandolo, ma non dimenticandolo. Lo psicotico negherà l’evento e si proteggerà da esso, mantenendolo all’ esterno del suo universo psichico. Lo stato limite oscilla quindi tra questi due tipi di sviluppo e deve affrontare una mancanza di strutturazione e di equilibrio interno.

Il secondo trauma parteciperà a una disorganizzazione psichica che provoca stati acuti di ansia. Queste ansie creano una disorganizzazione dell’ego con manifestazioni di disturbi del carattere, disturbi psicosomatici, perversioni e comportamenti più o meno vicini a nevrosi e psicosi.

Quindi siamo qui di fronte alla questione del limite e del confine con la “follia”, tra il Sé e il non-Sé, di fronte a “oggetti” esterni più o meno angoscianti (eventi, persone…), che il nostro inconscio convoca.

Questa posizione e la strutturazione psichica intermedia ci porta a interrogarci sul contenitore e sul contenuto e quindi sul confine con “follia”.

Più precisamente, il limite è dominato di fronte al conoscibile e all’ignoto, al sé e all’altro, alle nostre angosce e alla padronanza delle nostre paure, alla nostra relazione con il reale di fronte all’immaginario.

Nasce qui il problema della difficoltà o impossibilità di alcune persone di creare compromessi psichici per non collocarsi in uno spazio tra l’essere e il non-essere.

Nella loro testa non smettono di porsi domande come: “Faccio una buona scelta? “E se mai accadesse…? Sì o no? “… una vera tortura psichica che causa attacchi di ansia specifici, non correlati alla psicosi e alla schizofrenia.

L’unica soluzione è arrivare a sostenersi (attaccarsi, legarsi psichicamente, in modo inconscio) a una personalità o un’attività rassicurante.

Cosa accade e cosa si sviluppa se viene superato il limite?

Entra in gioco la questione dell’anima oscura dell’essere umano, governata da impulsi. La pulsione di morte rimane la più invasiva. Non possiamo negare la nostra finitudine. Il limite di una vita che non controlliamo.

Sappiamo intellettualmente e fisiologicamente che moriremo.

Allora fissiamo nuovi limiti. Quelli di un posto postumo che non ci appartiene più, ma diventa quello dei partecipanti al lutto.

Ma prima di raggiungere questo momento ultimo della nostra esistenza, immergiamoci ancora alcuni momenti nell’Essere che siamo e che possiamo essere.

Molti dei nostri limiti sono stabiliti da ciò che chiamiamo il super-io: le istanze morali dalla nostra educazione, la nostra famiglia, la base religiosa, la magistratura.

In questo caso, nelle esperienze quotidiane, troviamo quelle soluzioni che ci consentono di vivere emozioni “serene”, che danno un senso alle nostre frustrazioni, alle nostre domande emotive e consentono un equilibrio psichico nel tentativo di prevenire che tutto non vada alla deriva.

Tuttavia, quello di questa possibile deriva è un aspetto molto interessante.

Immaginiamo di gettarci in un fiume turbolento, dove procediamo sballottati, proiettati da una sponda all’altra, senza controllare nulla.

Questi urti violenti contro le rive ci consentono di definirci meglio, al fine di trovare il nostro equilibrio.

Non è “dato” a tutti di raggiungere questo obiettivo. Da qui l’intervento di terapisti in grado di calmare una possibile tempesta psichica.

Il cervello è in continua evoluzione, adattamento, ma resta un organo vulnerabile.

Il cervello, la psiche, sin dal momento del superamento del primo limite, del primo “corpus”, l’utero, devono adattarsi a vivere in prospettiva di nuovi orizzonti, di nuovi limiti che accetterà o meno di valicare, davanti ai quali potrà o meno vivere con armonia e serenità.

Alcuni tenderanno a definire i propri limiti. Così sono i sociopatici, i serial killer che governano la propria vita dopo aver creato i propri codici morali, i propri limiti rassicuranti.

Altri dovranno affrontare i mostri emotivi che hanno popolato la loro infanzia, che li hanno perseguitati nell’adolescenza, dove tutto si gioca nel momento del distacco dai genitori. Oppure far fronte ad una fase depressiva classica, legata al distacco genitoriale o al legame con nuovi oggetti sconosciuti, che possono spaventare e rimandarci allo spettro dei traumi specifici dello stato limite.

Non esiste più alcun oggetto transazionale rassicurante per il bambino.

Resta una vita da comporre di fronte a un mondo che è così singolare per noi.

Ognuno di noi possiede e ha i suoi limiti.

Spesso ci blocchiamo di fronte a determinate porte che  potrebbero portarci verso nuovi mondi e nuovi confini.

L’ignoto è questa cancrena xenofoba che fa sì che il o i limiti ci interroghino.

Si pone, allora, la questione dell’estremo.

I limiti “mal attraversati” possono portare alle azioni peggiori.

Purtroppo le notizie dal mondo, politiche e terroristiche non smettono di ricordarcelo, ma anche i crimini comuni.

I comportamenti umani cercano costantemente di ridefinire le frontiere in termini di psicopatologia e psicogenesi.

Le università francesi si scontrano con la terminologia “stato limite”, negando questa struttura psichica ben determinata.

Tuttavia lo stato limite non è una classificazione psicopatologica.

È, a mio avviso, soprattutto, l’essere in grado di definirci ciascuno con i propri limiti.

La società sembra muoversi verso la disumanizzazione, stabilendo obiettivi professionali al di là dei limiti.

Siamo di fronte a un argomento psico-clinico-sociale abbastanza inquietante.

Jacques Derrida ha scritto “Un limite non si tocca. “

Non poteva descrivere meglio il e i limiti … e le loro conseguenze.

***

La frontière de nos limites : une frontière de l’extrême ?

La question de la limite et du hors-limite a toujours fasciné les hommes car elle nous renvoie aux champs rationnels de l’espace et du temps mais aussi du normal et de l’anormal. Pensons à l’expression : « là tu deviens limite ! ».

D’ailleurs en psychopathologie il existe une structure que l’on nomme état-limite (ou organisation limite et en anglais borderline).

Aussi quelle est notre propre conscience de nos limites ? Et finalement quelle est la limite limite ?

La définition de la limite est systématiquement rattachée de matière intime à la frontière, à l’extrême, à la fin, à un contour, une démarcation du champ de qui nous sommes.

C’est toute la question d’approcher le connu et l’inconnu, le maitrisé et le non maîtrisé.

La limite est donc quelque part à la fois la fin de quelque chose et le commencement d’autre chose, dans l’espace, le temps et la circonscription d’un phénomène.

D’où l’intérêt de la psychanalyse face à ce sujet.

Le psychanalyste André Green écrivait : « La limite de la folie n’est pas une ligne, mais un vaste territoire où nulle division ne permet de séparer la folie de la non-folie ».

Il rassemble à travers un ouvrage célèbre les pensées théoriques de Sigmund Freud, de Mélanie Klein, de Donald Woods Winnicott… et dépasse les seules notions de névrose et psychose afin de décrire une structuration limite qui peut osciller entre névrose et psychose.

Son concept repose sur le fait que certaines personnes vivent de manière prématurée deux traumatismes émotionnels séparés dans le temps. Un premier traumatisme psychique qu’il n’est pas possible d’incorporer psychiquement, suite à l’irruption soudaine d’une émotion inconnue, incompréhensible et qui lui fait violence.

Autant le névrosé fait face au principe de réalité et « assimile » l’événement et l’affect qui y est rattaché principalement en l’ignorant mais ne l’oubliant pas, autant le psychotique va nier l’événement et s’en protéger en le maintenant à l’extérieur de son univers psychique. L’état-limite oscille donc entre ces deux types d’aménagement et doit faire face à un manque de structuration et d’équilibre interne.

C’est le deuxième traumatisme qui va participer à une désorganisation psychique provoquant des états d’angoisses aigus. Ces angoisses créent une désorganisation du Moi avec manifestations de troubles du caractère, troubles psychosomatiques, perversions, et comportements plus proches ou non de la névrose et de la psychose.

Nous sommes donc là face à la question de la limite et de la frontière avec la « folie », entre le Soi et le non-Soi, face à des « objets » externes plus ou moins angoissants (événements, personnes…), que notre inconscient convoque.

Cette position et structuration psychique intermédiaire entre dans le questionnement du contenant et contenu et donc de la frontière avec la « folie ».

Plus précisément, la limite est maîtrisée face au connaissable et le non-connaissable, de soi et de l’autre, de nos angoisses et maîtrises de nos peurs, de notre relation au réel face à l’imaginaire…

Se pose alors la grande question de la difficulté voire impossibilité de certaines personnes à créer des compromis psychiques afin de ne pas se ressentir dans un espace entre être et non-être.

Car dans sa tête ne cessent de se poser de telles questions «  Fais-je un bon choix ? », « Et si jamais ? », « Oui ou non ? »… une véritable torture psychique provoquant ces crises d’angoisse spécifiques, sans lien avec la psychose et la schizophrénie.

La seule solution étant de venir s’étayer (se coller, se lier psychiquement, de manière inconsciente) sur une personnalité ou activité rassurante.

On peut dès lors de poser la question de se qui se déroule et joue si la limite est franchie.

Il s’agit alors de question de l’âme sombre de l’être humain, régie de pulsions.

La pulsion de mort reste la plus envahissante. Car nous ne pouvons que nier notre propre finitude.

Là encore une limite de la vie que nous ne maîtrisons pas.

Nous savons intellectuellement et physiologiquement que nous allons mourir.

En ce cas de nouvelles limites sont fixées. Celles d’un lieu posthume qui ne nous appartient plus, mais devient celui des endeuillés.

Mais avant d’en arriver à ce moment ultime de notre existence, plongeons encore quelques instants dans l’Etant que nous sommes et pouvons être.

Un grand nombre de nos limites sont fixées via ce que nous appelons le Surmoi, nos instances morales issues de notre éducation, de notre socle familial et religieux, du judiciaire…

Ces limites s’inscrivent, elles, à travers des expériences de vie, des explications qui permettent à chaque individu de vivre « sereinement » des émotions qui donnent sens à nos frustrations, à nos questionnements affectifs, et permettent un équilibre psychique tentant d’empêcher toute dérive.

Pour autant… dériver n’est pas inintéressant.

Imaginons-nous jetés dans un fleuve turbulent, où nous dérivons, projetés d’une rive à une autre, ne contrôlant rien.

Ces contacts violents contre ces rives nous permettent de mieux nous définir, afin de trouver notre propre équilibre.

Il n’est pas « donné » à toutes et tous d’y parvenir. D’où l’intervention de thérapeutes capables de calmer la tempête psychique possible.

Mais également l’intérêt de ne cesser continuer à penser que le cerveau est en perpétuelle évolution, adaptation mais reste un organe vulnérable.

Car il s’agit bien du cerveau et du psychisme qui, dès la sortie d’une première limite, d’un premier « corpus », l’utérus, doit se vivre à travers de nouveaux horizons, de nouvelles limites qu’il acceptera ou non de franchir, face auxquelles il sera apte ou non de vivre avec harmonie et sérénité.

Certains auront tendance à définir leurs propres limites. Il en va des sociopathes, des serial killers qui régissent leur vie après avoir créé leurs propres codes moraux, leurs propres limites rassurantes.

D’autres devront composer avec ces monstres émotionnels qui ont peuplé leur enfance, qui les ont une nouvelle fois hanté au moment de l’adolescence, où tout se joue dans l’état de détachement d’avec les parents, mais également une phase dépressive classique liée au détachement parental et de relier à de nouveaux objets inconnus qui peuvent faire peur et nous renvoyer au spectre des traumatismes spécifiques de l’Etat-limite.

Il n’existe plus d’objet transitionnel rassurant pour l’enfant.

Il reste une vie à composer face à un monde qui nous est si singulier.

Chacun de nous possède et porte ses propres limites.

Chacun de nous s’empêche d’ouvrir certaines portes ouvrant de nouveaux mondes et nos frontières.

L’inconnu c’est cette gangrène xénophobe qui fait que la et les limites nous interpellent.

Raison pour laquelle se pose la question de l’extrême.

Les limites « mal franchies » peuvent mener aux pires passages à l’acte.

Hélas l’actualité mondiale, politique et terroriste ne cesse de nous le rappeler, tout autant que l’actualité criminelle primaire.

Les comportements humains actuels ne cessent de tenter redéfinir les frontières en terme de psychopathologie et de psychogénèse.

Les universités françaises s’affrontent quant à la terminologie « d’état-limite », niant cette structure psychique pourtant bien détaillée.

Pourtant état-limite n’est pas non ou oui concernant une classification psychopathologique.

Il s’agit, selon moi, avant tout, d’être capables, chacun, de nous définir avec nos propres limites.

Même si la société actuelle qui semble s’orienter vers une déshumanisation, fixe des objectifs professionnels hors limites…

Nous sommes là face à un sujet psycho-clinico-social assez inquiétant.

Jacques Derrida écrivait « Une limite ne se touche pas. »

Il ne pouvait mieux décrire la-les limites limite… et les conséquences.

 

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