EXAGERE RIVISTA - Gennaio-Febbraio 2024, n. 1-2 anno IX - ISSN 2531-7334

Viaggio ai confini del Sé

di Pascal Neveu

(ITA/FRA – originale in fondo)

 

Il Sé e l’altro: l’empatia, i  vantaggi, i rischi, le limitazioni.

L’empatia, cioè la capacità di metterci nei panni dell’altro, di identificarci con gli altri, è totalmente diversa dalla compassione che consiste nel sentire, nell’essere in comunione con i sentimenti degli altri.

Il tema dell’empatia è controverso. Ad esempio, un terapeuta dovrebbe essere empatico? Un medico di emergenza o un oncologo dovrebbero mostrare empatia? L’assenza di empatia riflette una struttura psicopatica? Gli animali sono esseri viventi empatici? Quali sono i limiti dell’empatia? Il soggetto può vivere questo particolare sentimento tanto da essere “allontanato” e decentrato dal suo proprio Io?

Nel 1873 il filosofo tedesco Robert Vischer usò per la prima volta il termine ( Einfühlung : il sentimento interiore) ripreso da Theodor Lipps che aveva Sigmund Freud tra gli ammiratori.

Questo sentimento viene descritto come il meccanismo attraverso il quale l’espressione corporea di un individuo, in un dato stato emotivo, innescherebbe automaticamente quello stesso stato emotivo in un osservatore. Se è così, appare evidente che può nascere un certo “pericolo” se un’analisi, ma anche un’introspezione, non viene effettuata cercando di preservare il soggetto di fronte ai meccanismi di identificazione, proiezione .

Per il neurobiologo Jean Decety, professore all’Università di Washington, che è anche direttore del Social Cognitive Neuroscience Laboratory di Seattle, l’empatia può essere considerata solo quando la persona sperimenta una risposta emotiva all’emozione degli altri. Inoltre, la persona deve essere in grado di distinguere tra se stesso e gli altri e deve regolare le proprie risposte emotive.

L’empatia non è amicizia, simpatia, contagio emotivo.

Se potessimo differenziare il nostro mondo emozionale, potremmo dire che:

– con l’empatia capiamo sostanzialmente cosa prova l’altra persona;

– con la simpatia condividiamo completamente il suo vissuto emozionale;

– con compassione, soffriamo gli uni con gli altri e desideriamo agire per ridurre o eliminarne la sofferenza o le cause.

Occorre, quindi, principalmente regolare il proprio mondo emotivo e tener bene a mente: “Questo sono io, questo sei tu!”.

Più facile da dire che da fare: siamo esseri umani, non siamo Madre Teresa o l’Abbé Pierre …

Star male per qualcuno non significa provare il suo dolore.

Basta prendere l’esempio di una caduta, una frattura, un’ustione … (dolore fisico), una separazione, un lutto, un licenziamento (dolore emotivo) … d’altro canto, il campo dell’ empatia cognitiva, come la ricerca di neuroni “specchio”, i neuroni empatici, si sta sviluppando ampiamente.

Si sta male per l’altro e il nostro cervello avrà il riflesso immediato di “sincronizzare” la nostra emozione sulla sua.

Questa empatia ci riporta alla nostra esperienza, al nostro passato, alla nostra infanzia … tutti quei momenti in cui l’involucro dei genitori, la protezione di una madre o di un padre, sono intervenuti per alleviare il nostro dolore.

Ed è qui che sta il pericolo: quello dell’identificazione, della proiezione, del trasferimento.

Di ciò che l’altro vive, voglio risparmiargli questa “sofferenza”, persino il “trauma” che è ancorato nella mia memoria emotiva. In fondo, ciò che non ho abreato.

Ovviamente siamo esseri fatti di emozioni e non possiamo rimanere indifferenti.

Qui si gioca la differenza tra la gestione di un evento e la sua regolazione: c’è una forte probabilità che desideriamo inconsciamente guarire il nostro dolore passato e non colui che vive  l’evento a cui partecipiamo. Il rischio è quello di non fornire delle soluzioni adattate.

Guarire l’altro significa soprattutto pensare l’altro e tenersi ad una buona e sana distanza da lui.

I mammiferi e gli uccelli non sono privi di empatia e, d’altro lato, mi si potrebbe citare l’esperimento di  Milgram, ma questo si fonda su altre caratteristiche di sottomissione.

Alcune ricerche hanno evidenziato come, un ratto che ha imparato a premere una leva per ottenere cibo, smetterà di mangiare se si accorge che la sua azione (premendo la leva) è associata al rilascio di una scossa elettrica a un altro topo.

Questo meccanismo di condivisione dell’angoscia dell’altro è modulato inconsciamente (aumentato o no) in base a diversi fattori sociali (appartenenza a un gruppo etnico, politico, religioso) come, ad esempio, il sentimento di pericolo che si prova di fronte al nemico. La storia del mondo l’ha pienamente dimostrato, qualche anno fa, senza aver imparato la lezione.

Ma non perdiamo le speranze, costantemente ci capita di pensare: “Non avrei dovuto farlo … Non l’ho fatto volontariamente”. Ci dispiace per quello che abbiamo fatto e ci sentiamo in colpa .

Questo sono alcune delle strade che tenterà di percorrere questo numero di Exagere.

L’empatia rimane una forma di intelligenza emotiva, un’evoluzione della nostra capacità, del desiderio di favorire la sopravvivenza umana.

Meditiamo su ciò che Jean Dion ha scritto “L’empatia è una virtù pubblica, l’indifferenza è un vizio privato”.

***

(versione originale)

Soi et l’autre : la question de l’empathie, ses avantages, risques et limites.

L’empathie, cette capacité que nous avons à nous mettre à la place de l’autre, à nous identifier à l’autre se distingue totalement de la compassion qui consiste à ressentir, à communier avec le ressenti d’autrui.

Ce thème est souvent sujet à controverse. Par exemple un thérapeute doit-il être dans l’empathie ? Un médecin urgentiste ou oncologue doit-il faire montre d’empathie ? L’absence d’empathie reflète-t-elle une structure psychopathique ? Les animaux sont-ils des êtres vivants empathiques ? Quelles sont les limites de l’empathie… le sujet vivant ce ressenti si particulier pouvant se faire « emporter » et décentrer de qui est son propre Moi ?

C’est en 1873 que le philosophe allemand Robert Vischer utilise pour la première fois ce terme (Einfühlung : le ressenti de l’intérieur) repris par Theodor Lipps dont Sigmund Freud admirait les travaux.

Il le décrit comme le mécanisme par lequel l’expression corporelle d’un individu dans un état émotionnel donné déclencherait de façon automatique ce même état émotionnel chez un observateur. D’où un certain « danger » si une analyse, tout au moins une introspection, n’est pas réalisée afin de préserver le sujet face à tout mécanisme d’identification, de projection…

Pour le neurobiologiste Jean Decety, professeur à l’université de Washington, également directeur du laboratoire Social Cognitive Neuroscience à Seattle, l’empathie ne peut s’envisager que lorsque la personne fait l’expérience d’une réponse émotionnelle face à l’émotion d’autrui. De plus, la personne doit être capable d’effectuer une distinction entre soi et autrui et se doit de réguler ses propres réponses émotionnelles.

L’empathie n’est pas l’amitié, la sympathie, la contagion émotionnelle.

Si l’on pouvait différencier notre monde émotionnel, nous pourrions dire que :

– avec l’empathie nous comprenons fondamentalement ce que ressent l’autre

– avec la sympathie nous partageons complètement son vécu émotionnel.

– avec la compassion, nous souffrons avec l’autre et désirons agir pour atténuer voire faire disparaître sa souffrance ou ses causes.

Il est donc avant tout question de régulation de son monde émotionnel afin de conserver à l’esprit « Ça c’est moi, ça c’est toi ! »

Plus facile à dire qu’à faire.

Car nous sommes des êtres humains, nous ne sommes pas Mère Theresa, l’Abbé Pierre…

Avoir mal pour quelqu’un ne signifie pas ressentir sa douleur.

Il suffit de prendre l’exemple d’une chute, d’une fracture, d’une brûlure… (douleur physique), dune séparation, d’un deuil, d’un licenciement (douleur affective)… ayant développé le champ de l’empathie cognitive, comme la recherche de neurones « miroir », de neurones empathiques.

On a mal pour l’autre et notre cerveau aura le réflexe immédiat de « synchroniser » notre émotion sur la sienne.

Cette empathie nous renvoie à notre vécu, notre passé, notre enfance… tous ces moments où l’enveloppement parental, la protection d’une mère ou d’un père sont venus soulager notre douleur.

Et c’est là où se situe le danger : celui de l’identification, de la projection, du transfert.

Ce que l’autre vit, je veux lui épargner cette « souffrance », voire le « traumatisme » qui este ancré en ma mémoire émotionnelle. Finalement ce que je n’ai pas abréagi.

Nous sommes bien évidemment des êtres d’émotions et ne pouvons rester dans l’indifférence.

Là se joue la différence entre la gestion d’un événement et sa régulation, car forte sera la probabilité que nous souhaitions inconsciemment soigner notre propre douleur passée et non celle ou celui vivant cet événement auquel nous sommes participants, avec le risque de ne pas apporter la solution adaptée.

Panser l’autre c’est avant tout penser l’autre et se mettre à bonne et saine distance.

Les mammifères, les oiseaux ne sont pas dépourvus d’empathie, même si on pourrait m’opposer l’expérience de Milgram mais qui relève sur d’autres fondements de domination.

Mais par exemple, un rat qui a appris à appuyer sur un levier pour obtenir de la nourriture arrêtera de s’alimenter s’il perçoit que son action (appuyer sur le levier) est associée à la délivrance d’un choc électrique à un autre rat.

Tout comme Ce mécanisme de partage de la détresse de l’autre est modulé inconsciemment (augmenté ou non) selon plusieurs facteurs sociaux (appartenance à un groupe ethnique, politique, religieux… Comme par exemple éprouver de la détresse face à ennemi. L’histoire mondiale l’a pleinement démontré il y a encore si peu d’années, sans en avoir retenu la leçon.

Mais gardons espoir, car qui n’a sans cesse ces pensées : « Je n’aurais pas dû faire cela… Je ne l’ai pas fait volontairement… Nous regrettons ce que nous avons fait, et nous ous senton coupable….

Et c’est ce que ce que nouveau numéro de la Revue Exagere va tenter démontrer.

L’empathie reste une forme d’intelligence émotionnelle, une évolution dans notre capacité et notre désir à cultiver la survie humaine.

Méditons sur ce que Jean Dion écrivait «L’empathie est une vertu publique obligée alors que l’indifférence est un vice privé ».

 

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