di Francesca Saliceti
Lo scenario della realtà attuale
Il XIX secolo si è contraddistinto per le grandi conquiste sociali, civili, scientifiche, economiche e tecniche ma, nel contempo, è stato anche il millennio delle grandi guerre dello scoppio della bomba atomica, dello strappo materiale, morale, intellettuale, dei duri scontri sociali e politici. Ciononostante, quella generazione immaginava il secolo “post-industriale” come un’epoca di grandi sviluppi nei settori della fisica, della biologia e biotecnologia, della genomica, della tecnologia, particolarmente nel campo del digitale, della comunicazione ecc., auspicando che queste innovazioni potessero migliorare l’esistenza dell’uomo.
In realtà, i due decenni trascorsi del Terzo Millennio, pur presentando a livello globale uno scenario in repentina evoluzione, si sono distinti soprattutto per l’incertezza, l’instabilità, e la presenza di nuove emergenze.
Per tali motivi, purtroppo, in questa società mutevole e liquida, dove tutto scorre così rapidamente, l’uomo si è trovato sempre più spaesato e navigando a vista, senza ancore sicure, non è riuscito più a orientarsi con certezza nel mondo[1]. D’altro canto, in un contesto mondiale multietnico e eterogeneo, dominato dal relativismo culturale[2], le vie da seguire sono plurali, forse troppe, per un pensiero abituato ad interpretare il reale con uno modello logico e mentale ben definito[3]. Pertanto, per gestire l’attuale ineffabilità culturale, occorre che l’uomo sia fornito di “strumenti concettuali” capaci di interpretare la realtà al fine di fare delle scelte di senso utili al proprio progetto di vita[4].
È chiaro, dunque, che se il sapere viene soltanto accumulato e la mente umana non dispone di capacità di selezione e di organizzazione che gli dia senso”, la conoscenza non è utile. Diversamente, come sostiene il filosofo Edgard Morin occorre: “Una testa ben fatta, che invece sappia porre e risolvere i problemi, una competenza che permette al pensiero di collegare le conoscenze e di dare loro un senso”[5].
In sostanza, per migliorare la qualità della vita, occorre un cambiamento razionale e strutturale di tutti i sistemi sociali, oltre che una “catarsi pedagogica e formativa umana”[6].
“Umanità” è quindi uno dei termini fondamentali con cui potere governare, la realtà odierna ipercomplessa: l’Umanesimo come sfida all’invasività della tecnologia digitale del Terzo Millennio, che rischia di “fagocitare la vera essenza dell’essere”.
- Il ritorno dell’Umanesimo nel post-umano
Come sostiene il filosofo Michele Ciliberto: “l’Umanesimo è tornato attuale perché si è riaperto, in maniera drammatica e in forme del tutto nuove, il problema della condizione umana”[7].
L’evoluzione e il progresso, di fatto, sono peculiarità dell’essere ma andrebbero guardati con disincanto dato che le conoscenze e le tecnologie sono talmente avanzate che l’uomo non è, né più all’altezza del suo progresso, né riesce a prognosticarne gli sviluppi futuri.
A tale riguardo, secondo la visione di Günther Anders è la “antiquatezza” dell’uomo il problema. Il filosofo, perciò, parte dall’analisi della “vergogna prometeica”, ovvero dalla constatazione della subalternità dell’uomo, novello Prometeo, al mondo delle macchine da lui stesso inventate e prodotte, per giungere a constatare una inadeguatezza rispetto alle sue stesse produzioni; una non “sincronicità”, tra l’uomo e i suoi prodotti tecnologici che, sempre più innovativi ed efficienti lo superano.
La macchina infatti, diversamente dal suo produttore, è standardizzata e riproducibile in esemplari sempre identici e per questo possiede una sorta di eternità di cui l’uomo non è fornito in quanto è stato creato come una “faulty construction”, una costruzione imperfetta[8].
Questa situazione dell’uomo, è evidenziata altresì, in un dibattito contemporaneo fra “tecno-scienza”, un sistema in cui scienza e tecnologia sono fuse insieme, e “Umanesimo”, uno spazio in cui la manifestazione concettuale umana (filosofia, pedagogia, letteratura, arte, ecc.) ha un ruolo centrale.
In questa direzione, nella querelle intellettuale, per diversi movimenti e scuole di pensiero, il fulcro concettuale è quello di un “Umanesimo” orientato in senso “Post-umano”[9].
Nello specifico, come sostiene la dott.ssa Francesca Ferrando: “Il “Post-Umanesimo, legato genealogicamente alla decostruzione radicale dell’umano iniziata con motivazioni politiche negli anni Sessanta, si è trasformato in un progetto accademico negli anni Settanta per poi progredire in un approccio epistemologico negli anni Novanta, evolvendosi in una pluralità di prospettive situate”[10].
Su questo versante, il concetto “post-umano” viene spesso utilizzato come termine ombrello per indicare: il Post-Umanesimo, il Trans-Umanesimo, l’Anti-Umanesimo, il Meta-Umanesimo e il Nuovo Materialismo pur se in realtà le elaborazioni concettuali più rilevanti si ritrovano nel “Post-Umanesimo” e nel “Trans-Umanesimo”.
Post-Umanesimo-Trans-Umanesimo-Cultura digitale
I due movimenti pur avendo in comune una raffigurazione della condizione umana “mutevole e non statica”, in generale, non hanno in comune, né le stesse radici, né le stesse prospettive in quanto il Post-Umanesimo, definito anche come Post-antropocentrismo[11], si va identificando sempre più come ‘indagine filosofica’.
In sostanza, il Post-Umanesimo, eretto su presupposti umano-centrici è un movimento post-centralizzante, nel senso che “supera il centrismo umano”, senza sostituirlo con altre essenze respinge, inoltre, la centralità nel suo aspetto di unicità ma permette centri mutevoli e transitori: le sue prospettive sono pluraliste, comprensive e inclusive[12].
Dunque, il Post-Umanesimo pur condividendo con i transumanisti un interesse comune nei confronti della tecnologia, non vede la “tecnologia” come il suo obiettivo primario di ricerca, piuttosto considera che le “esperienze virtuali” generino una divisione tra il corpo materiale che si trova davanti allo schermo, e le immagini del computer.
Diversamente, il “Trans-Umanesimo”, un vero e proprio ‘movimento culturale’, originato dal pensiero di Heidegger[13], considera ogni cosa come un organismo da conoscere da manipolare con sempre maggiore sofisticazione e vede il futuro dell’umanità “nell’unione tra esseri umani e tecnologie”, unione schematizzata e raffigurata nelle sigle >H o H+ o H-plus[14].
In quest’ottica, per i trans-umanisti, le scoperte nei campi della scienza e della tecnologia possono essere sfruttate dall’uomo per perfezionare le proprie capacità fisiche e mentali e per migliorare la vita al fine di sconfiggere la malattia e la vecchiaia[15]: la “scienza tecnologica” è una risorsa che potrebbe garantire all’umanità un posto nei futuri “post-biologici”, facendo diventare gli individui immortali con la tecnologia[16].
Nello specifico, di recente, sono stati messi in atto diversi progetti che mirano a “creare” una “nuova umanità”, che sia il più “immortale possibile”[17].. Ad esempio: l’imprenditore Elon Musk ha ideato la tecnologia Neural Lace, per unire cervello umano e intelligenza artificiale; Peter Thiel di PayPal è uno dei maggiori investitori del “Progetto immortalità” della Methuselah Foundation”[18], che mira a sviluppare tecnologie per fermare l’invecchiamento.
In breve, questi progetti tendono a modificare profondamente l’uomo e il suo corpo, trasformandolo di fatto in un cyborg[19]: una combinazione uomo-macchine che sfruttando la tecnologia e le sue invenzioni, cerca di trasformare l’uomo in una macchina più efficiente.
Per concludere, in base a queste ricerche l’obiettivo del 2025 sarà l’isolamento del cervello dal resto del corpo umano, che dovrebbe venire estratto alla fine della vita naturale per essere trasferito in una macchina[20]. Entro i dieci anni successivi verrà realizzato un “Avatar”, una replica perfetta di un corpo fisico dotato di intelligenza artificiale, nel quale trasferire una personalità. Entro il 2045, data finale approssimativa del processo, avverrà la totale eliminazione di ogni “supporto fisico” e l’individuo sopravvivrà esclusivamente a livello digitale, in tal modo, potremo diventare tutti immortali[21].
Su questo versante, lo scrittore inglese Charles Percy Snow cinquant’anni fa, aveva già le idee chiare quando sosteneva che le due culture quella umanistica e quella tecnologica, si guardavano con diffidenza, infatti, tale polemica riguardava proprio “la sclerotizzazione dei canali comunicativi” all’interno della cultura occidentale avanzata fra specifici ambiti disciplinari, e anticipando conseguenze negative in ambito etico, sociale, politico e pedagogico[22].
A questo proposito, non si può non rilevare che, una diatriba ideologica fra tecno-scienza e Umanesimo esiste ancora perché come sostiene il grande studioso americano Neil Portman:” Gli strumenti tecnologici non sono integrati nella cultura, bensì puntano a diventare cultura”[23].
Per questo motivo aumentano gli esperti convinti che elementi come tradizione, costumi, miti, politiche, rituali e religione devono impegnarsi per la loro sopravvivenza poiché senza “cultura umanistica” non sarà possibile affrontare le provocazioni della società contemporanea considerato che la programmazione e gli algoritmi stanno diventando il linguaggio dominante del mondo, diventa ancor più indispensabile “educare e formare le giovani generazioni ad una cultura umanistica”.
Insperabilmente, negli ultimi anni, questi confronti tra “Umanesimo e tecnologia” sono diventati centrali, nel dibattito culturale della Silicon Valley, il luogo dove sembra quasi impossibile che questa idea potesse svilupparsi, infatti, Google nel 2013 ha creato una società di ricerca chiamata “Calico” che si interessa della salute e del benessere umano. Google di certo ha compreso, nel corso degli anni, che i tradizionali modi di risoluzione dei problemi insegnati nelle scuole di business vanno bene per alcune problematiche quotidiane del business, ma tendono ad essere inefficaci con quei problem solving che comportano un alto grado di incertezza perché, il più delle volte, gli strumenti mentali utilizzati si basano su un modello difettoso di comportamento umano[24].
Anche Scott Hartley, un venture capitalist, autore del bestseller “The Fuzzy and the Techie”, sostiene che senza la cultura umanistica non è possibile affrontare le sfide, economiche, e non soltanto, della società contemporanea[25].
Per di più, la Harvard Business Review di recente ha pubblicato un articolo di Josh M. Olejarz, in cui si pone la domanda: “servono ancora le conoscenze umanistiche in un’epoca di informatica onnipresente”? La sintesi è: “Non soltanto servono, ma sono diventate indispensabili”[26]in quanto, un mondo ad altezza di algoritmi, pensiero computazionale e big data non potrebbe essere che a senso unico considerato che la programmazione è routine e gli algoritmi sono soltanto macchine.
In sostanza, come evidenziato sin ora, ci troviamo dinanzi ad un’epoca caratterizzata da “presenze” e “assenze”: la presenza invasiva dei media, l’assenza di uno spazio e di un tempo per pensare, l’assenza del corpo nelle relazioni, l’assenza educativa.
Siffatto “principio dell’assenza” con la metafora della “casella vuota” è ben analizzato dal filosofo francese Gilles Deleuze quando sostiene che anche se, una casella vuota, un elemento, un posto senza occupante costituiscono in definitiva una mancanza, un’assenza o “le assenze contano moltissimo” e sono importanti tanto quanto le “presenze”. Ciò che conta non è la posizione fisica degli elementi nelle strutture visibili ma gli elementi delle strutture invisibili come i saperi, i linguaggi, la società e così via: non conta tanto ciò che occupa un posto nel mondo, ma conta il posto in sé[27].
Se, dunque, quello che conta davvero per l’identità delle cose sta nella “struttura” in cui queste sono incastrate, allora questo vale anche per la “Pedagogia”: la scienza che progetta e si occupa di educazione-istruzione-formazione dell’uomo per tutto l’arco della vita è la vera “assente” nell’attuale società[28].
L’assenza pedagogica di certo, è messa in luce “da un’emergenza educativa”, in atto da diverso tempo ma la situazione attuale, aggravata dalla invasività del digitale si è sclerotizzata ancor di più, diventando una vera e propria “crisi educativa” persistente, che sta interessando diversi ambiti di “ordine pedagogico” a monte dei quali c’è una crisi antropologica e etica. Nella realtà questa situazione, sovente, si rileva con l’aumento esponenziale di notizie allarmanti che riguardano ogni spazio educativo del nostro Paese e del villaggio globale: si parla di disagi giovanili e della criticità della condizione umana (bullismo, femminicidi, new addictions, povertà, razzismo, terrorismo globale, ecc.).
In buona sostanza, considerato che “l’educazione” non esiste in astratto ma è “situata”, diventa naturale che lo scenario che presenta la maggiore criticità è proprio quello delle “nuove generazioni”. Ragion per cui alla crisi bisogna rispondere con cambiamenti di senso reali, affrontando, in primis, la questione antropologica e culturale del fatto educativo, ricercandone le radici in una concezione profonda e reale della “persona” e “dell’esperienza umana”[29]. È questo il momento ottimale di ripensare al senso della Pedagogia, intesa come scienza pratica, capace di ricondurre al centro dell’atto educativo la “persona” perché come sostiene il teologo J. A. Jungmann: “Educare significa introdurre una persona nella realtà” volendo donare, al tempo stesso, alcune “idee forza per il futuro”[30].
Dunque, la Pedagogia, dovrebbe avere un ruolo di “autorevolezza educativa” in tutti i contesti formali, non formali e informali mentre, invece, è assente e stenta ad essere riconosciuta e ad affermarsi.
In questa direzione si muove la proposta di una Pedagogia del soggetto mutante elaborata da Franca Pinto Minerva, secondo la quale: “… il divenire umano presuppone dei processi co-evolutivi che vanno sorretti da opportune azioni educative e che possano essere orientati verso una solidarietà interspecifica e una democrazia planetaria”. La pedagogista avverte, altresì, tutta l’urgenza di affrontare i mutamenti in atto e le conseguenze di tali mutamenti sul presente e sul futuro della persona in formazione e sullo stesso destino della civiltà e dell’intero ecosistema di vita. Occorre, quindi, riflettere sulla “cultura pedagogica” attraverso una rilettura di alcuni concetti chiave dei saperi educativi, quali ad esempio quello di soggetto, alterità, tecnologia, ambiente, prassi, apprendimento, educazione, creatività, progetto, lifelong learning, materialità, resilienza, diversità, inclusione, integrazione[31].
Nello specifico, va evidenziato che proprio nel sistema scolastico formale, da tempo in crisi, la “Pedagogia”, la scienza pratica che sta alla base dell’educazione e dell’apprendimento, e la figura del pedagogista sono “assenti”, mentre sono presenti, psicologi, assistenti sociali, educatori e quant’altro.
Certo è che i problemi della scuola, oltre al problema della formazione dei docenti, alla disattenzione della politica, alla crisi in atto sono dovuti in parte a una forma di valutazione eccessiva dell’ambito “cognitivo”, che ha comportato una sottovalutazione del concetto “educativo”.
Pertanto, se la Pedagogia è una scienza operativa, il pedagogista dovrebbe operare sul territorio e nelle scuole, facendo da sostegno agli insegnanti, ai genitori, agli alunni poiché questo sistema potrà migliorare soltanto quando si capirà che “l’educazione” è fondamentale per un sano sviluppo dell’uomo e della società e il Pedagogista, spesso assente o poco valorizzata negli spazi culturali, istituzionali e sociali, può raffigurare una figura di orientamento significativo per l’individuo e per la società.
Conclusioni
Da quanto sin ora analizzato si va raffigurando all’orizzonte un mondo dove la tecnologia vuole diventare cultura e l’uomo appare sempre più “obsoleto”. Effettivamente sembra che la dimensione umanistica sia venuta meno mentre stanno prendendo forma nella società nuovi soggetti come algoritmi, robot, reti ecc., tanto che gli scienziati per rendere l’uomo meno superato hanno sviluppato ideologicamente un sistema in cui scienza, tecnologia e umanesimo sono fuse insieme (cyborg). Un mondo così fatto, dominato soltanto da algoritmi, pensiero computazionale e big data, dove tutti adotterebbero le stesse strategie di pensiero, ragionerebbero allo stesso modo, adotterebbero gli stessi comportamenti, diventerebbe uno scenario monocromatico che annullerebbe la vera essenza umana [32].
A tale riguardo è il filosofo Christian Madsbjerg, a difendere “l’indispensabilità delle discipline umanistiche nell’epoca degli algoritmi”. Secondo l’autore, infatti, la fissazione per i dati spesso maschera incredibili carenze con rischi per l’umanità. La devozione cieca ai numeri, in sostanza, mette in pericolo le imprese, il mondo della scuola, i governi e le vite dei singoli. Solo, il sensemaking, ovvero, la “capacità di dare senso alle nostre azioni” può individuare cosa meriti la nostra attenzione e a stabilire cosa realmente conti[33].
In sostanza, senza la cultura umanistica e senza l’educazione non è possibile gestire le problematiche che la società contemporanea pone all’uomo, per questo c’è bisogno urgente di un’alleanza “pedagogica educativa”, con l’obiettivo di formare un uomo nuovo, capace di vivere inclusivamente e bene l’esistenza[34].
Tali visioni riguardano in primis la possibilità di originare situazioni educative che permettano ai soggetti “incarnati e situati” di sapersi orientare nel mondo e pensare positivamente al futuro.
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***
[1] Z. Bauman, Il disagio della postmodernità. Milano, Mondadori, 2000.
[2] R. Boudon, Il relativismo, 2009, Bologna, p.61
[3] H. G. Gadamer, La educación es educarse, Barcelona: Paidós, 2000, pp.730-733.
[4] R. Boudon, Sul fondamento razionale dei giudizi di valore e di verità, Quaderni di Sociologia, 24 2000, 123-132.
[5] E. Morin, La testa ben fatta. Riforma dell’insegnamento e riforma del pensiero, Raffaello Cortina, Milano 2000
[6] H. G. Gadamer, La educación es educarse, Barcelona: Paidós, 2000, pp.730-733.
[7] M. Ciliberto, Il nuovo Umanesimo, Roma-Bari, Laterza, 2017, p. 64.
[8] G. Anders, L’uomo è antiquato. Considerazioni sull’anima nell’epoca della seconda rivoluzione industriale, Bollati-Boringhieri, Torino 2003, pp.23-39.
[9] R. Marchesini, Possiamo parlare di una filosofia postuma-nista? Lo Sguardo, 24, 2017, p. 47.
[10] F. Ferrando, Il Postumanesimo Filosofico e le sue Alterità, Pisa, ETS, 2016, 16 e ss.
[11].R. Braidotti,. Il postumano. La vita oltre l’individuo, oltre la specie, oltre la morte. Roma: DeriveApprodi, 2014.
[12] R. Marchesini, Il tramonto dell’uomo. La prospettiva post-umanista. Bari, Dedalo. 2009.
[13] T. Rockmore, Heidegger and French Philosophy. Humanism, Anti Humanism and Being, Routledge, London-New York 2003, p.63.
[14] Il simbolo H indica una connessione HSPA, quindi un protocollo del 3G. Il simbolo H+ indica una connessione HSPA+, quindi un protocollo del 3G. I simboli LTE o 4G indicano una connessione LTE, quindi un protocollo del 4G.
[15] R. Rubini, The other Re-naissance. Italian Humanism between Hegel and Heidegger, The University of Chicago Press, Chi-cago 2014.
[16] Pireddu, M. Tursi A. (a cura di) La carne del futuro. Utopia della dematerializzazione. In Post-umano. Relazione tra uomo e tecnologia nella società delle reti, Milano,Guerini e Associati.2006 13-28.
[17] Yu. N. Harari, Homo deus. Breve storia del futuro, Bompiani 2018.
[18] F. Chimera, Diventare immortali con la tecnologia, https://i404.it/innovazione/tecnologia/transumanesimo-immortalita-tecnologia/(Consultato il: 10/marzo/2021).
[19] Project 2045 è l’iniziativa di un miliardario russo che ha riunito una squadra di illustri scienziati per sviluppare una tecnologia che ci trasformerà in cyborg.
- Marchesini, Possiamo parlare di una filosofia postuma-nista? Lo Sguardo, 24, 2017, p. 47.
[20] F. Fukuyama, L’uomo oltre l’uomo. Le conseguenze della rivoluzione biotecnologica, tr. it. a cura di G. Della Fontana, Mondadori, Milano 2002, pp. 343.
[21], J. N. Rümelin, N. Weidenfeld, (a cura di) Umanesimo Digitale, Un’etica per l’epoca dell’Intelligenza Artificiale, Milano, Franco Angeli,2019.
[22] Project 2045, l’iniziativa di un miliardario russo che ha riunito una squadra di illustri scienziati per sviluppare una tecnologia che ci trasformerà in cyborg in https://i404.it/innovazione/tecnologia/umanesimo-digitale/(Consultato il: 20/03/2019).
[23] N. Postman, pamphlet Technopoly. La resa della cultura alla tecnologia, Torino Bollati Boringhieri, 1993.
[24] https://www.agendadigitale.eu/cultura-digitale/a-che-serve-la-cultura-umanistica-nellera-della-tecnologia/(Consultato il:18/032021).
[25] S. Hartley, The Fuzzy and the Techie: Why the Liberal Arts Will Rule the Digital World, Houghton Mifflin, 2018.
[26]J.M. Olejarz, Liberal Arts in the Data Age”, Harvard Business Review? https://digital.hbs.edu/learning-about-technology/liberal-arts-data-age//(Consultato il:16/032021).
[27] G. Deleuze, Logique du sensLe,s Éditions de Minuit in Paris,1969.
[28] H. Pedersen, 2010. Is ‘the posthuman’ educable? On the convergence of educational philosophy, animal studies, and posthumanist theory. Discourse: Studies in the cultural politics of education 31 (2): 237-250.
[29] Cfr., M. Russo, Trame dell’umanesimo, in Id. (a cura di), Umanesimo. Storia, critica, attualità, Le Lettere, Firenze 2015, pp. VII-LX.
[30] J.A. Jungmann, S.J., Christus als Mittelpunkt religiöser Erziehung, Freiburg i.B. 1939, p. 20.
[31] F. Pinto Minerva, Umano. Post-umano. Per una pedagogia del soggetto mutante. In E. Colicchi (A cura di), Il soggetto nella pedagogia contemporanea, 2008, pp. 138-140.
[32] JM Olejarz Liberal Arts in Data Age https://hbr.org/2017/07/liberal-arts-in-the-data-age.(Consultato il 22/03/2021).
[33] C. Madsbjerg, Sensemaking. Il potere delle discipline umanistiche nell’era dell’algoritmo, Hachette Books, 2017 (http://disf.org/files/discipline-umanistiche-digitale.pdf),(Consultato il 23/03/2021).
[34] F. M., Sirignano, Pedagogia della decrescita. L’educazione sfida la globalizzazione. Milano: FrancoAngeli, 2012.