EXAGERE RIVISTA - Ottobre - Novembre - Dicembre 2024, n. 10-11-12 anno IX - ISSN 2531-7334

Anima e corpo: superare il dualismo storico- intervista a Daniele Bouchard, pastore della Chiesa Valdese

intervista di Gianfranco Brevetto

 

–  L’anima e il corpo sono due concetti che hanno variamente caratterizzato la storia del cristianesimo, e delle religioni in generale.  Questo ha significato anche l’utilizzo con diverse accezioni, con relative complicanze in primo luogo dal punto di vista teologico.

– il problema non nasce oggi, l’idea dualista di anima e corpo ci viene dalla Grecia antica. Nella cultura ebraica  il concetto di persona è unitario. Per l’ antropologia ebraica vi è quindi una visione differente. Quando nell’antico testamento, ma anche nel nuovo, troviamo la parola anima è una traduzione discutibile, se non proprio sbagliata, di un termine, nefèsh,  che in ebraico significa respiro, vita, vitalità e quindi contiene diverse accezioni, come del resto in italiano. Alle origini del cristianesimo, quando ci fu l’incontro fondamentale tra la cultura greca e quella ebraica, che sono alla base cultura occidentale, c’è stata una contaminazione. Nel cristianesimo la visione greca ha prevalso su molti punti e quindi la maggioranza della visione cristiana ha assunto quella antropologia.  Si è quindi iniziato a distinguere anima e corpo e a leggere i testi biblici in quella chiave, con forzature di traduzione.

– Poi c’è stata la Riforma protestante, cosa è accaduto?

– Nel protestantesimo, che inizia 500 anni fa, rimane a lungo questa visione di corpo e anima e non viene rifiutata. In realtà la riforma protestante, ritornando alle lingue bibliche originali,  pone le basi per la messa in discussione di questo punto. Non si tratta certamente un punto qualificante della riforma ma, in qualche modo, in ambito protestante questa visione viene messa in discussione più che in ambito cattolico  o ortodosso. Oggi, come sapete non può esistere una posizione ufficiale protestante. Siamo divisi in tante chiese e non abbiamo un’autorità unica su questi temi anche all’interno della stessa chiesa.  Io penso, ma non sono un’eccezione, che rispetto ad una visione dualistica di corpo e anima nascano due problemi: quello più generale, ed al quale accennavo prima, è che la suddivisione anima-corpo non corrisponde a quello che i testi biblici intendono dire. I testi biblici sono stati scritti nell’arco di molti secoli, su argomenti diversi da persone diverse, essi non presuppongo tutti la stessa visione del mondo, anzi rappresentano un certo ventaglio non appiattibile su di un’unica posizione. In essi l’idea dell’essere umano diviso tra corpo e anima è sostanzialmente assente. Nel nuovo testamento si possono vedere già le contaminazioni ellenistiche, ci sono, a volte, posizioni un po’ miste. Quindi questo è quello che nella bibbia è stato letto per molti secoli a causa degli occhiali con cui la si leggeva, ma  che non regge a una lettura storico-critica di quei testi. Questo, per un protestante, è l’argomento principe.  Ne va aggiunto un secondo, e su questo il numero di persone che concordano con me è un po’ più ridotto,  questa antropologia dualistica, nella quale comunque siamo cresciuti anche se io non la condivido,  è fonte di molti problemi: corpo e anima appaiono non solo sono distinti ma anche gerarchicamente collocati. Il corpo è inferiore, l’anima invece è quella pura, in relazione con Dio.

– E quindi quale può essere una via d’uscita?

– Per me la dimensione corporea è parte integrante di quello che io sono e che io vivo. Le dimensioni fisiche, spirituali, eccetera sono più punti di vista su di una medesima cosa, non certamente cose diverse.  Per esempio la psicosomatica è un tentativo di mettere una pezza su questa un’impostazione problematica. Se psiche e corpo appaiono distinti, qualcuno non ha potuto far a meno, infine, di accorgersi che ci sono influenze importanti. Quindi l’errore sta nel manico, nell’averle percepite come due cose totalmente separate. Ma sono solo, io credo, due prospettive diverse, sull’essere umano.  Se io ho una malattia cerco di curarla da tutti  i punti di vista. Questo vale non solo per la malattia. Personalmente ho cercato, e spero di esservi riuscito, a liberarmi parzialmente da questa falsa dicotomia.

Se io fossi vissuto 300 anni fa molto probabilmente non mi sarei posto questo problema, oggi sì. Molto probabilmente ci troviamo in un punto di particolare crisi della cultura occidentale e non mi stupisce che proprio in questo periodo un tema come quello dell’anima sia rimesso in discussione.

–  Un tema di non poco conto della Riforma è anche quello della salvezza.

–  il problema della salvezza è centrale nella riforma protestante e, quando ponevano il problema della salvezza, parlavano dell’anima. La domanda fondamentale all’epoca della riforma  è: qual è il destino della mia anima e cosa posso fare perché, dopo la morte, la mia anima sia salvata e non dannata? La prospettiva era quella dell’inferno e del paradiso. La risposta di Lutero e dietro di lui di tutto il protestantesimo,  è di affidarsi alla grazia di Dio. Credere in Gesù Cristo attraverso il quale Dio dona la salvezza. Nel cattolicesimo le cose che posso fare, per ottenere la salvezza, sono innumerevoli anche tralasciando la questione l’acquisto delle indulgenze che fece esplodere la protesta di Lutero. Il fatto che oggi si dialoghi, invece di processare con il sant’uffizio, è un notevole passo in avanti, ma queste differenze permangono pur essendo d’accordo, con i cattolici, sull’essenziale della fede. All’epoca non era invece in discussione la separazione tra l’anima e il corpo. Lo spirito della riforma ha favorito anche un’altra operazione, anche se meno volontariamente. Essa ha comportato uno spostamento di attenzione da quello che accade dopo la morte a quello che accade prima della morte. Questo si vede già nel cinquecento, ma poi si è accentuato nei secoli successivi. Se l’accento si sposta a quello che accade sulla terra, la distinzione tra corpo e anima si può anche mantenere ma perde molto della sua forza. Il tema della salvezza è un tema rilevante in ogni epoca, ma io mi chiedo ci si salva da cosa? Tutto dipende della risposta che si dà a questa domanda. Salvato dal fatto che la mia anima dopo la morte vado all’inferno? A differenza del cinquecento oggi, la maggioranza dei protestanti, non crede più all’inferno o al paradiso. Il purgatorio era stato già messo in discussione prima della riforma. Questo non vuol dire che scompaia la domanda su cosa accade dopo la morte, ma significa che intanto essa è divenuta secondaria, perché l’impegno è quello di occuparci di quello che accade prima, poi vedremo.

– E secondo lei?

– Io non so cosa ci sarà, credo alle promesse di Dio che ci sia qualcosa, ma non sono in grado di immaginarlo e di comprenderlo. E tutto sommato non ne sento particolarmente il bisogno. Il fatto di credere alla promessa già è moltissimo.  Allora, dicevamo, salvezza da cosa? Dal fatto che la vita appaia insulsa o dal fatto che la vita sia talmente devastata da essere un inferno qui? Ha senso la vita che noi stiamo vivendo?  Sono modi attuali, di porre il problema della salvezza. Quindi dipende da come si imposta la domanda. Per i protestanti la risposta sarà sempre incentrata sul fatto che l’essenziale dipende da Dio, ma questo non significa che noi stiamo qui ad aspettare. Questa consapevolezza ha portato i protestanti ha cercare di capire come è possibile trasformare questo mondo: se Dio mi ha fatto un dono così grande, io devo fare tutto ciò che è in mio potere per  utilizzarlo al meglio. Dio si aspetta molto, qui e ora, da me, al dopo ci pensa lui. Io faccio tutto quello che mi è possibile perché Dio mi ha donato la salvezza, non perché me la donerà. Quindi la relazione appare capovolta. Tutto questo a prescindere dalla separazione tra anima e corpo.

–  La religione cristiana si è però caratterizzata anche per una marcata fobia del corpo.

– secondo me la fobia del corpo nasce dalla dicotomia di cui si parlava, in una battuta si può dire che Agostino ha cristianizzato Platone, ha reinterpretato in chiave platonica il cristianesimo. Ma non ha contribuito solo lui a questa visione delle cose, anche se il suo peso è stato immenso. Su questa questione il protestantesimo non si è distinto rispetto al cattolicesimo. Anche se ha cominciato un po’ prima a mettere in discussione questa visione. Diciamo che, in termini teologici, questa fobia per il corpo resta ambigua. Cosa può fare il cristiano? Leggere la bibbia, ed in particolare l’antico testamento, può aiutarci a dare delle risposte. La fobia per il sesso e per il corpo è rara negli scritti biblici, e questi sono i libri di base per tutti i cristiani. Quindi occorre affrontare questo problema con questi strumenti, che ci appartengono. Cerchiamo di liberare i testi biblici da questa interpretazione che vede il corpo in chiave negativa e cerchiamo di capire la bellezza che, in questi testi, esiste nella fisicità, nella corporeità. A fronte di alcuni testi, anche paolini, che vedono il corpo in senso negativo, occorre dire che sono innumerevoli  i testi che ne danno una luce diversa. Questa lettura approfondita è indispensabile per ogni cristiano e ancor più per un protestante. Su questi argomenti anche io,  quando leggo la bibbia e quando preparo una riflessione, sono particolarmente attento, anche se la teologia ha ritenuto per molti secoli che non fosse così.

Occorre, però, dire che la fobia per il sesso c’è anche nella storia del protestantesimo, ma viene molto meno giustificata teologicamente.  E quindi c’è un ostacolo in meno per potersene liberare.  Diciamo anche che questa liberazione è incominciata negli ultimi cinquant’anni. In generale possiamo a ragione dire che non si troverà, nei testi teologici o etici protestanti, l’affermazione che il sesso sia una cosa negativa.   Ad esempio il protestantesimo non ha mai affermato che la sessualità ha il suo fine nella procreazione. E, nell’ultimo secolo, soprattutto con la comparsa degli anticoncezionali, questo passaggio è stata facilitato anche nelle nostre chiese.

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