EXAGERE RIVISTA - Luglio - Agosto - Settembre 2024, n. 7-8-9 anno IX - ISSN 2531-7334

Appunti sul puro divenire in Gilles Deleuze

di Gianfranco Brevetto

Sono note le molteplici accezioni della parola senso. In questo breve scritto ci orienteremo rispetto a quelle di significato e di direzione, prendendo spunto dal testo del filosofo francese Gilles Deleuze dal titolo Logica del senso.

Uno dei tratti di unione, se non il principale, di questo denso e intenso libro, è l’opera di Lewis Carroll, in particolare i due libri che hanno come protagonista Alice.

In Alice attraverso lo specchio, sostiene Deleuze, quando si afferma che “Alice cresce”, si dice che quest’ultima diventa più grande e che nello stesso tempo è più piccola di quanto sia ora. Alice è e non è nello stesso tempo. Questa simultaneità del divenire, questo paradosso di Alice,  schiva il presente. Il divenire, così narrato, “non sopporta la separazione né la distinzione del prima e del dopo, del passato e del futuro”[1]. L’essenza del divenire appare lo spingere nei due sensi contemporaneamente. “Il buon senso è l’affermazione che in ogni cosa vi è un senso determinabile; ma il paradosso è l’affermazione dei due sensi nello stesso tempo”[2].

Gilles Deleuze è stato dal 1970 professore di filosofia a Parigi, dove è morto suicida nel 1995. Per le sue posizioni, viene sommariamente catalogato nella corrente post-strutturalista della filosofia. La sua opera appare, almeno in partenza, profondamente influenzata da Nietzsche, che considera come il vero  continuatore dell’opera di Kant. Nietzsche, a differenza di altri illustri più o meno contemporanei, non ha, a suo parere, tentato di convogliare la pluralità ma, anzi, si era indirizzato alla ricerca di nuovi percorsi, partendo dal pensiero della differenza. La supremazia della Ragione di Hegel verrebbe rovesciata, in Nietzsche, attraverso il confronto con il reale.

Logica del senso è un testo che risale al 1969. Un anno prima della sua pubblicazione, Deleuze aveva dato alle stampe Differenza e ripetizione nel quale, partendo dalla critica del pensiero occidentale, in particolare la primitiva concezione platonica del modello e della copia, ora sostanziale riferimento dello strutturalismo, pone alla nostra riflessione una realtà fatta, invece, di simulacri senza alcun modello di riferimento. Si tratta per Deleuze di un pensiero senza centro, nomade, che si può vivere ma di difficile interpretazione. La celebre espressione di Hegel, “tutto ciò che è reale è razionale” (e viceversa) sembrerebbe, qui, lontana anni luce dal pensiero di Gilles Deleuze.

In Logica del senso, testo del quale ci faremo carico solo di alcuni spunti, in quanto pone questioni e interrogativi filosofici che vanno al di là dei limiti del presente scritto, Deleuze esamina una serie di contraddizioni proprie del legame forzato, appunto, tra senso e razionalità.

Platone nel Filebo, ricorda il nostro filosofo, ci invitava a distinguere due dimensioni. La prima è quella delle cose limitate e misurate, che suppongono soste o stati di quiete, “un soggetto dato ha una data grandezza, una data piccolezza in un dato momento”[3].

La seconda è quella del puro divenire senza misura, del divenire folle “che non si arresta mai, nei due sensi contemporaneamente, che schiva sempre il presente, che fa coincidere futuro e passato, il più e il meno.”

Si tratta, quest’ultima, per Deleuze di una dualità più profonda, non quella dell’intellegibile e del sensibile, non quella dell’Idea e della materia, e nemmeno quella delle Idee e dei corpi. Una dualità “più segreta, sepolta negli stessi corpi sensibili e materiali: dualità sotterranea tra ciò che riceve l’azione dell’Idea e ciò che si sottrae a questa azione. Non è la distinzione tra il Modello e la copia, ma quella tra copie e simulacri.”[4]

Un puro divenire che si sottrae sia alla Idea che alla sua copia. Il suo paradosso sta, come si diceva, nel sottrarsi al presente. Si tratta dell’identità infinita “dei due sensi allo stesso tempo, del futuro e del passato, della vigilia e dell’indomani, del più e del meno, del troppo e del non abbastanza, dell’attivo e del passivo, della causa e dell’effetto”[5].

Questi capovolgimenti hanno per effetto, ritornando alla favola di Lewis Carroll, la messa in discussione dell’identità di Alice. Alice perde il suo nome, l’incertezza personale non è evento esterno ma struttura obiettiva dell’evento stesso, procede nei due sensi e dilania il soggetto in questa duplice direzione.

“Il paradosso è innanzitutto ciò che distrugge il buon senso come senso unico, ma, anche, ciò che distrugge il senso comune come assegnazione di identità fisse.”[6]

Laura Draghi Salvadori, in un bel saggio pubblicato qualche anno fa e dedicato proprio all’opera di Lewis Carroll, sembrerebbe riflettere su queste parole quando scrive che “il nonsense di Carroll non è nulla di puramente negativo, ma sta in quel celestiale facile stato che si trova in bilico tra quel che ha senso e quel che non ne ha. E cioè che in queste cose [si riferisce agli scritti di Carroll] c’è una specie di vuoto dove invece dovrebbe esserci il senso.”[7]

Ma cosa è per Deleuze quello che la Salvadori chiama vuoto? Se Alice cresce e diminuisce è sempre Alice che lo fa, anche se perde il nome, resta sempre se stessa. Essa è sempre una singolarità sottoposta a più modulazioni. L’essere per Deleuze appare come il molteplice, composto delle singolarità. Esso è privo di un centro o di un ordine, è ciò che, insieme a Guattari definì, un pensiero rizomatico. Un pensiero che l’autore svilupperà soprattutto in opere successive. Qui, come da lui stesso precisato[8], oltre ad un confronto con la psicanalisi, ne mette in evidenza l’apparire di diverse dimensioni e della superficie, come accade nel romanzo di Alice.

Nulla è più fragile della superficie. Eppure Carroll, ci dice Deleuze è un vero maestro delle superfici in cui si ritrova tutta la logica del senso.[9]

Vi è una relazione tra le parole nonsensiche di superficie e quelle schizofreniche generate dalla profondità dei corpi. Per Carroll una mente equilibrata è una mente di superficie in cui l’equilibrio è capace di reggersi, magari, sull’aspetto fonetico più che su quello semantico delle parole. Il senso finisce per seguire le parole più che precederle.[10]

Senso e direzione, per restare negli assi da cui siamo partiti, sembrerebbero  fornirci dei possibili piani su cui navigare in assenza di una centralità, come accade ai protagonisti di un’altra opera di Lewis Carroll, La caccia allo Snualo. Qui una composita ciurma parte alla ricerca di questo animale sconosciuto con il soloaiuto di una carta geografica completamente bianca.


[1] Gilles Deleuze, Logica del senso, Feltrinelli, 2005, pag 9

[2] ibidem

[3] ibidem, pag. 9

[4] ibidem, pag. 10

[5] ibidem, pag. 10

[6] ibidem, pag.11

[7] Laura Draghi Salvadori, Lewis Carroll, Le Monnier, 1968

[8] Gilles Deleuze, Logica del senso, Feltrinelli, 2005, nota dell’autore per l’edizione italiana, pag. 293

[9] ibidem , pag.80

[10] cfr. L’introduzione di Millli Graffi a Lewis Carroll, La caccia allo Snualo, Edizioni Studio Tesi, 1985

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