di Federica Biolzi
A ben pensarci Lucrezio e Seneca non sono affatto da relegare tra i classici. Anzi, con buona ragione, sono nostri contemporanei. Questo non perché occorra a tutti i costi dimostrarne la loro attualità o favorirne una riscoperta secondo consolidati schemi editoriali. Lucrezio e Seneca no, non sono dei classici nell’accezione scolastica legata ai ricordi dei momenti spensierati della gioventù. Non hanno bisogno di qualche rispolveratina, di sparute citazioni più o meno nozionistiche. Lucrezio e Seneca sono classici nel senso fondante della parola, solidi punti di riferimento. Il recente libro di Ivano Dionigi, centrato su queste due imponenti figure del passato, ci indica la strada giusta per una lettura in questa direzione.
Di secoli ne sono trascorsi da quando Lucrezio e Seneca ci hanno visitato. I tempi sono cambiati, è vero, s’interroga Dionigi nel suo libro, ma chi è capace di spiegare i tempi?
Proseguiamo.
Atene e Roma, e il pensiero che hanno elaborato, non hanno risolto tutti i problemi. Non sono certamente dei modelli da seguire, argomenta il nostro autore, ma ci hanno preceduti con le nostre stesse domande. Anzi, di fronte alla loro allergia al pensiero unico, al loro prospettarci concezioni diverse e rivali del mondo, Lucrezio e Seneca sembrano molto più avanti di noi. Al pensiero unico hanno contrapposto un pensiero lungo, capace di tenere insieme e spiegare più punti di vista, precisa Dionigi.
Ma cosa hanno in comune questi due autori? Apparentemente nulla. Sono portatori di due concezioni diverse del mondo, stoico Seneca e epicureo Lucrezio. Lo stesso Dionigi ci dice di averli incontrati, nel corso dei suoi studi, in due momenti completamenti diversi. Seneca al ginnasio, poi alla maturità quando gli capitò di tradurre proprio un passo di questo autore. Ma si trattò di una conoscenza epidermica, fuggevole, tanto da far nascere in lui un senso di colpa per averlo trascurato e verso il quale sentirsi, proprio per questo, in dovere di sdebitarsi.
Per Lucrezio la storia è stata diversa, dopo qualche lettura occasionale, la decisione di farne l’oggetto della tesi di laurea. Anche qui la voglia di ritornare su quell’autore, per affrontare i temi del De rerum natura in profondità, oltre la facciata.
Nel pieno dell’eclettismo di una parte del pensiero classico, Seneca e Lucrezio ci appaiono le due facce del dio Giano, con tutti i dubbi e le perplessità dell’uomo a noi contemporaneo. Ci trascinano nelle dimensioni dell’intelligere (cogliere il dentro e la relazione delle cose), dell’interrogare (abitare le domande più che le risposte) e dell’invenire (ritrovare il notum e inventare il novum necessario)
Tís áristos bíos? Qual è la vita migliore? Cosa rende l’uomo felice? Stare o andare? Il vero e il falso. Scrutando gli orizzonti di queste questioni, Lucrezio e Seneca, diventano autori forti e necessari e che hanno segnato la storia del pensiero europeo con la curiosità della conoscenza, come sottolinea Dionigi.
L’uomo si pone come misura delle cose. Non necessariamente nell’accezione protagoriana e platoniana. È la fine del mito, Socrate preferisce indagare se stesso. È, prima ancora, Il frammento-macigno di Eraclito ἐδιζησάμην ἐμεωυτόν: interrogai me stesso. Viaggio insieme nella profondità dell’anima e del mondo.
In uno scenario, così denso, nasce la necessità non solo di un confronto con questi autori ma anche di farli dialogare a distanza, tra loro. Dionigi lo ha fatto nella terza parte, in un testo colmo d’interessanti spunti di approfondimento. Ne è nato un dia-logo, dove, come ci spiega l’autore, la parola e la ragione (logos) dell’uno incrociano e traversano (dia) le parole e le ragioni dell’altro. Un incontro tra due uomini nati, seguendo la citazione di Flaubert che l’autore riporta in epigrafe, in quel momento in cui gli dèi non c’erano più e Cristo ancora doveva arrivare. In quel momento, unico, l’uomo è stato solo.
Ivano Dionigi
Quando La vita ti viene a trovare
Lucrezio, Seneca e noi
Editori Laterza, 2018