EXAGERE RIVISTA - Ottobre - Novembre - Dicembre 2024, n. 10-11-12 anno IX - ISSN 2531-7334

Ci vuole una memoria critica che sappia giudicare, non solo pensare. intervista a Remo Bodei

intervista di Federica Biolzi

 

Remo Bodei, professore di filosofia alla University of California, si occupa di argomenti di stringente attualità: teoria delle passioni, modelli della coscienza, di problemi legati alla memoria, identità individuale e collettiva. Chi più di lui può costituire un buon inizio per approfondire un tema come quello della memoria.

Professor Bodei, iniziamo con la domanda più classica. Come si può definire la memoria?

Bisogna distinguere tra la memoria oggettiva, quella depositata su carta, su marmo, su database e così via, e la memoria soggettiva, quella che riguarda gli individui, distinguendo, poi, in quest’ultima la memoria individuale da quella collettiva.

Per quanto riguarda la memoria individuale, non bisogna pensare che questa sia astratta dalla memoria collettiva. Per noi la memoria collettiva sembra qualcosa d’inesistente, un’invenzione, invece non lo è: senza il linguaggio, che è qualcosa di collettivo, o senza l’orientamento spaziale e temporale non potremmo avere una memoria individuale.

La memoria soggettiva e la memoria oggettiva, hanno una specie di rapporto, come quello che esiste tra lo scrivere ed il leggere. Cioè la memoria individuale: mentre io scrivo Tacito, ad esempio, trasferisco ciò che è nella sua mente su carta, papiro, eccetera. Così noi, o lui stesso, nel leggere quello che si è scritto, ritraduciamo ciò che è oggettivo e ciò che è soggettivo. E quindi c’è un travaso continuo tra memoria oggettiva e memoria soggettiva.

Quello che è cambiato con l’utilizzo degli strumenti informatici: computers, tablet, è che la memoria soggettiva si sta riversando in questi apparecchi e quindi è destinata ad indebolirsi.

Hobsbawm[1] aveva notato, già in un suo saggio, che oggi i giovani hanno meno memoria storica, perché  vivono sostanzialmente nel presente, che è un presente a raggio corto. C’è stata una grande discontinuità da quando il tempo storico cammina velocemente, un po’ come nella favola: “Gli stivali delle sette leghe” e dove quello che si è imparato prima non serve tanto. Anche dal punto di vista delle fasce d’età, gli anziani non sono più i depositari della saggezza e della sapienza, perché hanno accumulato tanta esperienza. Oggi questa esperienza viene completamente sorpassata di giorno in giorno, dal tempo.

I vecchi sono peritosi, nel senso che indugiano, però non è una vecchiaia anagrafica, questo Machiavelli lo aveva scritto. Papa Giulio II, ad esempio, assediò le mura di Mirandola con la sua armatura dorata a 70 anni, invece gente giovane come Pier Soderini, che era il capo della Repubblica di Firenze, morì con la testa da bambino.

Come possiamo salvaguardare la memoria soggettiva?

Il problema è la perdita del passato, si rischia di diventare come dei pulcini che escono dal guscio e si ritrovano in un mondo già fatto. Invece una cosa importante, più in generale e non solo nella memoria, è sapere che ognuno di noi viene al mondo in un certo tempo ed in un certo luogo e, a tappe forzate, deve situarsi nel mondo. Queste tappe implicano, però, che ciascuno di noi appartiene ad una cultura che si è formata nei millenni. E se non si conosce questa cultura, soprattutto oggi in un mondo dove ci sono civiltà diverse, si finisce per diventare degli sprovveduti.

Avere una memoria storica, cioè sapere che noi siamo diventati quello che siamo attraverso un processo e non siamo stati scodellati nel tempo, è un fatto importante. Ne va addirittura delle prospettive che riguardano il futuro, senza sapere come siamo arrivati ad essere quello che siamo non possiamo nemmeno progettare un futuro sensato.

Quale significato diamo alla nostra memoria, rispetto al senso della narrazione?

Le memorie hanno un valore purché se ne dia una spiegazione attraverso la narrazione. Ci vuole una memoria critica, una memoria in cui la facoltà di giudicare e non solo di pensare (con giudicare intendo dire, applicare dei concetti generali a casi particolari), debba essere sviluppata. Noi abbiamo un insegnamento scolastico di tipo idealistico, in cui la storia ha una grossa importanza. Noi non facciamo arte, ma storia dell’arte, non facciamo filosofia, ma storia della filosofia, ad es. in Francia, Spagna o negli Stati Uniti si va direttamente alla materia. Questo per noi è un vantaggio. Ma se tutto si diluisce nel tempo senza spiegare per esempio che cos’è la bellezza, a proposito della storia dell’arte, o cos’è la poesia, alla fine noi abbiamo solo una specie di continua carrellata di opinioni messe in fila, l’una dopo l’altra. Ad esempio in filosofia si va da Talete fino a Foucault, senza interrogarsi mai sulla struttura concettuale. Spesso ci troviamo di fronte ad una storia ed a uno storicismo, che non ci aiutano molto.

Quindi storia e memoria devono mantenersi in continuo contatto…

Storia e memoria, vanno benissimo, però devono essere come dei cristalli di storia, delle strutture come nella Gestaltpsichologie[2], la psicologia della forma, noi conosciamo non attraverso l’aggregazione di tanti atomi di informazioni, ma attraverso strutture. Allo stesso modo, la memoria ha senso se si riesce a capire come funziona. La memoria collettiva, ad esempio, è una cosa che noi molte volte ci tramandiamo, che può essere utile ma è piena di errori, crea un campo da combattimento. La memoria non è pacifica, basta pensare alla storia dell’Unione Sovietica e poi della Federazione Russa di ora. Io mi ricordo dell’enciclopedia sovietica, a un certo punto comincia a dire che Trockij è un traditore e poi lo si dice di Stalin, eccetera e tutto avviene senza spiegazioni. Anche da noi fino al 25 luglio del 1943 molte persone erano fasciste, poi hanno cambiato idea, diventando antifasciste per l’esperienza avuta dalla guerra e dalle sconfitte. Dare una spiegazione morale quando ci sono numeri così alti di persone che cambiano campo non è semplice. Io, ho una teoria della memoria popolare: la memoria collettiva è come una locomotiva a carbone, si gettano continuamente delle palate d’informazioni e di pratiche, ad esempio le feste civili e religiose, ma mancano i ricordi della marcia su Roma o il genetliaco di sua maestà Vittorio Emanuele III. Noi, ad esempio, ricordiamo solo le date Repubblicane.

C’è nella storia un’amnesia-amnistia, per cui una storia che non è più alimentata (come per esempio la versione ufficiale del fascismo che prima si metteva anche nei compiti delle elementari) non c’è più, resta un vuoto che è stato colmato dal pathos repubblicano per la resistenza. Oggi, lentamente, viene messa in discussione anche questa.

In sostanza quello che succede è che la storia è sempre stata una storia scritta dai vincitori. Però ci sono delle eccezioni dove i vinti la riescono a scrivere, come ad esempio gli ebrei, Israele. C’è una storia che è combattuta, c’è un oblio verticale, molte chiese cristiane sono costruite sui templi pagani. Santa Maria sopra Minerva, la cattedrale di Siracusa, è un tempio di Atena completamente conservato ed inserito nel nuovo. San Martino andava in giro per l’Italia e, dove c’era un tempio pagano, ci costruiva una chiesa cristiana, un oblio verticale, dove i vincitori tendono a schiacciare i vinti, ma anche a fare dimenticare la loro memoria.

Machiavelli[3] fa un’osservazione cinica ma importante: la Chiesa ha commesso un errore, ha vinto sul paganesimo ma ha conservato la lingua dei vinti, il latino. Per questo, a suo tempo, mentre uscivano testi di Lucrezio e di altri autori che non sono propriamente cristiani, le élite si nutrivano di questi testi che erodevano la credibilità della Chiesa. Secondo lui, se la Chiesa fosse stata radicale, avrebbe dovuto “spengere” la lingua latina.

Che parte ha la memoria nella filosofia?

La memoria è uno dei grandi temi affrontati dalla filosofia, da Platone a Aristotele, da Cartesio fino ad oggi.

La memoria è parte integrante della mente o dell’anima. Per esempio in Platone si distingue la mneme che è la memoria normale, una specie di tabula, come la usavano i greci, ricoperta di cera, dove si scriveva e si cancellava. Poi c’è l’anamnesis, che non è come il ricordare il passato, ma è come in un gioco di scacchi, io faccio la mossa del cavallo, io faccio il zig-zag, una cosa mi ricorda l’altra. Ad esempio in Fedone[4] vi sono due personaggi pitagorici Simmia e Cebete, tra di loro vi è un continuo andare in avanti, qualcosa di prussiano, è un passato che spinge in avanti.

Nel De anima[5] di Aristotele, la memoria  è paragonata a una corda di uno strumento musicale, che quando pizzicata, continua a risuonare anche dopo che io l’ho presa tra le dita.

La permanenza delle percezioni nell’animo, che poi vengono rielaborate dall’immaginazione e dalla fantasia che è rafforzativa, viene usata anche dai poeti.

Su questo tema, quali filosofi contemporanei possiamo richiamare?

Oggi abbiamo Maurice Halbwachs[6], che ha approfondito gli studi sulla memoria collettiva, poi abbiamo Friedrich Nietzsche[7], uno dei più grandi filosofi che ha studiato la memoria e che, in sostanza, rivendica l’ oblio. Noi abbiamo bisogno della memoria per ricordare quello che siamo, ma abbiamo bisogno anche dell’oblio per poter ricominciare. Se fossimo schiacciati, dice Nietzsche, dalla memoria, non potremmo andare avanti. Lui paragona la nostra cultura e quella del suo tempo, a un magazzino teatrale di costumi, a qualcosa di morto se non si rinnova con una memoria forzata. Ed aggiungerei che persino per Plotino nelle Eneidi (III secolo d.c.), la memoria non è semplicemente registrazione di fatti. É come nella ginnastica dove il corpo si sviluppa e si allena, così anche la memoria ha bisogno di esercizio, è qualcosa di vivo che si modifica nel tempo.

Io direi che la memoria che registra è simile all’acqua minerale, mentre la memoria plotiniana è sempre attiva, è simile al vino ha bisogno di fermentare. La memoria cambia, se si esercita, altrimenti resta una specie di magazzino di robe vecchie.

I cambiamenti sociali e generazionali, l’invecchiamento, sono tutti elementi che possono influire sulla nostra memoria. Quali strategie possiamo alimentare?

Nell’invecchiamento dell’uomo, ci sono due aspetti: uno è quello che i vecchi ricordano molto di più il passato, l’aveva teorizzato già la legge di Théodule-Armand Ribot[8] in un libro degli anni 80 dell’ottocento. Un secondo aspetto, più tragico, è l’Alzheimer. Una triste statistica ci dice che, a 85 anni, il 30 per cento delle persone è affetto da questa malattia e ad oggi non sono state trovate terapie efficaci. Occorre tenere sempre in esercizio il nostro intelletto, in questo ritengo che una lettura quotidiana di Heiddeger, non possa che esserci utile. Ma, come ha detto Plotino, continuiamo sempre a fare la nostra ginnastica mentale, un esercizio della memoria. Tutto ciò, penso, dovrebbe servire a ritardare l’Alzheimer.

La scuola, l’istruzione, può essere d’aiuto?

L’idea che il cosiddetto nozionismo, imparare le cose a memoria, le date, le poesie, sia sbagliato ed oggi sia stato tolto dalla scuola, ha reso la struttura della memoria come un ectoplasma.

Io sarei dell’idea di reintrodurre l’esercizio di una memoria, in parte nozionistica, anche nella scuola. Se pensiamo a Dell’Utri, che si può ritenere un vero bibliofilo, quando è entrato in carcere in fondo non ne ha sofferto molto, perché è attraverso la memoria che ha ripetuto testi, opere, esercitando così sempre la sua mente.

Anche per i ragazzi è importante coordinare le loro memorie sulla base di un ordine, esiste anche la mnemotecnica, utile per ricordare le cose.

Una tecnica che sembra paradossale perché si raddoppiano le nozioni da ricordare, però è utile per collegare i ricordi ed associarli ordinatamente, questo era noto già all’epoca del poeta greco Simonide[9]. Tutti gli antichi, Agostino o Quintiliano, si basavano anche nel medioevo sull’ars della memoria. Però diversamente da come diceva Umberto Eco, non esiste un’ars oblivionialis.

 

[1] Eric Hobsbawm “Il secolo breve”, Rizzoli, Milano, 1995.

[2] La Gestaltpsychologie, nacque in Germania agli inizi del XX secolo, per proseguire le sue articolazioni in USA, dove i principali esponenti si trasferirono per sfuggire alle persecuzioni naziste. E’ una corrente psicologica incentrata sui temi della percezione e dell’esperienza. I fondatori della psicologia della Gestalt sono: Kurt Koffka, Wolfgang Köhler e Max Wertheimer.

[3] Niccolo Machiavelli “Discorsi sopra la prima Deca di Tito Livio” I,12.

[4] Platone, Il Fedone (369 a.c.)

[5] Aristotele, De Anima, IV sec. a.C.

[6] Maurice Halbwachs, Les cadres sociaux de la memorie, novelle edition, Presses Universitaires de France, I° ed. (s.n.t.), trad. it. di G. Brevetto, L. Carnevale, G. Pecchinenda, I quadri sociali della memoria, Ipermedium, Napoli & Los Angeles 1997

[7] Friedrich Nietzsche, Vom Nutzen und Nachteil der Historie für das Leben (Sull’utilità e il danno della storia per la vita) 1874, I° ed. Originale (s.n.t)

[8] Théodule-Armand Ribot, Les maladies de la mémoire, Paris, Baillière, 1881 (tr. it. di L. Tucci, Palermo, Sandron, 1881)

[9] De oratore che Cicerone racconta la leggenda di Simonide di Ceo, l’inventore dell’arte della memoria: Simonide, sfuggito miracolosamente al crollo di una sala in cui si trovava a banchettare con altri invitati, seppe identificare i corpi dei vari commensali, resi irriconoscibili dalle ferite, ricordandosi del posto che occupavano a tavola. Da questo evento Simonide ricavò l’importanza dell’ordine e delle immagini per la memoria: “Egli Simoniade, pertanto a quanti esercitino questa facoltà dello spirito, consiglia di fissare nel cervello dei luoghi e di disporvi quindi le immagini delle cose che vogliono ricordare. Con questo sistema l’ordine dei luoghi conserverà l’ordine delle idee, le immagini delle cose richiameranno le cose stesse, i luoghi fungeranno da tavolette per scriverci sopra e le immagini serviranno da lettere con cui scrivere”. Da M.T. Cicerone, Dell’oratore, a cura di A. Pacitti, 3 voll., Zanichelli, Bologna 1974, vol.II, libro II, LXXXVI, p.354

Share this Post!
error: Content is protected !!