EXAGERE RIVISTA - Maggio-Giugno 2025, n. 5-6 anno X - ISSN 2531-7334

Connessione, solitudine, dipendenza. Intervista a Stefano Vicari.

di Federica Biolzi

Sempre connessi, notte, giorno. Difficile allontanarsi dallo smartphone, dallo schermo del computer. Le altre cose da fare possono attendere, all’infinito. Una bolla di solitudine, che lo psicoterapeuta deve saper riconoscere è, in qualche modo, sollevare. Maria Pontillo e Stefano Vicari sono gli autori di La paura di essere disconnessi, Adolescenti e dipendenza dalla rete (Il Mulino , 2025), libro che nasce, come ci dicono gli autori, per affrontare una dipendenza sempre più attuale e diffusa soprattutto tra gli adolescenti, quella da Internet. Dipendenza che non si limita a un uso eccessivo della rete, ma che spesso nasconde difficoltà più profonde e che può compromettere gran parte delle loro relazioni.

Le tecniche che suggeriscono gli autori a sostegno di questo tipo di dipendenza sono quelle cognitivo-comportamentali, quali i diari di utilizzo, la ristrutturazione cognitiva, l’esposizione e prevenzione della risposta e la pianificazione delle attività. Tecniche alle quali si fa riferimento in questo volume che ha il pregio di offrire un’introduzione all’approccio di problematiche e sofferenze oramai fin troppo frequenti.

  • Il vostro interessante libro, inizia con la storia di Federico. Vicenda significativa e emblematica del rapporto degli adolescenti con la rete e con lo smartphone. A Federico viene diagnosticata una dipendenza da internet. Professor Vicari, di che tipo di dipendenza si tratta?

-Federico soffre di una dipendenza da internet, cioè un uso eccessivo e incontrollato della rete e dello smartphone. Non si tratta di una dipendenza da una sostanza, come può essere l’alcol o una droga, ma da un comportamento che diventa quasi un bisogno irrinunciabile. Federico passa troppo tempo online, spesso per isolarsi o per sfuggire a problemi o emozioni difficili, finendo per trascurare la scuola, gli amici e la vita reale.

  • Una delle vostre tesi è che occorre considerare questa dipendenza come l’epifenomeno di una situazione più complessa. Perché e come si lega lo smodato utilizzo di internet ad altre sofferenze concomitanti e pregresse?

-Spesso la dipendenza da smartphone è solo la punta dell’iceberg: sotto ci sono emozioni complesse come ansia, depressione o un senso di vuoto. Molti ragazzi usano il telefono in modo eccessivo per calmarsi, distrarsi o sentirsi meno soli. In questi casi, lo smartphone diventa una sorta di “coperta di Linus” digitale: rassicura, ma non risolve. Allo stesso tempo, però, l’uso smodato dello smartphone può anche diventare causa di ansia e depressione, soprattutto quando compromette il sonno, aumenta il confronto sociale o isola dalla vita reale. È un circolo vizioso: si usa il telefono per stare meglio, ma alla lunga ci si sente peggio. Per questo è importante ascoltare ciò che c’è dietro al comportamento, senza fermarsi solo allo schermo.

  • Seguendo questa tesi, perché proprio il mondo virtuale diventa un rifugio per questo adolescenti? Rifugio da cosa?

-Il mondo virtuale diventa un rifugio perché offre agli adolescenti un senso di controllo, connessione e distrazione immediata da ciò che nella realtà li fa soffrire: solitudine, ansia, insicurezza, difficoltà familiari o scolastiche. Tuttavia, rifugiarsi troppo a lungo in questo spazio può diventare rischioso. Si rischia di isolarsi sempre di più, perdere il contatto con la realtà, con gli altri e con sé stessi. Il sollievo che il virtuale dà è solo momentaneo, mentre le difficoltà vere restano e, anzi, possono peggiorare. È come cercare riparo dalla pioggia sotto un ombrello bucato: sembra aiutare, ma non protegge davvero.

  • Spesso tra chi giudica da adulto questo universo giovanile vi è la tendenza a sottostimare questi fenomeni, considerandoli come un momento transitorio della vita dei nostri ragazzi. E’ proprio così? E soprattutto cosa fare in concreto?

Non è sempre così. Certo, per alcuni ragazzi l’uso intenso dello smartphone è solo una fase, ma per molti altri è il segnale di un disagio più profondo che non va sottovalutato. Liquidare tutto come “una moda passeggera” rischia di farci perdere l’occasione di ascoltare davvero i nostri figli. Cosa fare? Innanzitutto osservare senza giudicare, creare spazi di dialogo autentico e offrire alternative reali di relazione, espressione e riconoscimento. E se il disagio persiste, non aver paura di chiedere aiuto: intervenire presto può fare la differenza.


Maria Pontillo, Stefano Vicari

La Paura di essere disconnessi

Adolescenti e dipendenza dalla rete

2025, Il Mulino

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