di Federica Biolzi
Il giovane protagonista del libro di Lisa Willamson, “L’Arte di essere normale” è David Piper un ragazzo di quattordici anni. David, oltre alle problematiche proprie dell’età preadolescenziale, presenta alcune differenze che stenta ad accettare.
La sua famiglia lo sente diverso e lo percepisce come un ragazzo gay e lui sa di essere femmina. Anzi vuole esserlo.
L’incontro di David con il suo nuovo amico Leo (altro protagonista del racconto), lo porta ad affrontare una realtà interiore, forse sempre taciuta ed emarginata.
Un’amicizia inaspettata, ma profonda, dove il sentimento lega sempre di più i due protagonisti.
Il lettore, riga dopo riga, entra in una dinamica reale e oggi molto attuale: un’amicizia, nata per caso, porta i due adolescenti a darsi la mano in un percorso di crescita identitaria.
Questo libro ci consente di riflettere sulla paura del diverso e dell’essere tali. Su come questa paura genera malessere, inadeguatezza e molto spesso emarginazione. La scrittrice, Lisa Williamson, attraverso la sua scrittura autentica e delicata, vuole trasmetterci alcuni messaggi di tolleranza e di rispetto delle differenze.
«David, quella è la mia camicia da notte?»
È quella che ha portato in ospedale quando è nata Livvy. Non credo che da allora l’abbia più messa; lei e papà di solito dormono nudi. Lo so perché le volte in cui li ho incontrati sul pianerottolo nel cuore della notte sono state sufficienti a segnarmi a vita. «Ho pensato che sarei stato più fresco», mi affretto a rispondere. «Tipo quei vestiti lunghi bianchi che portano gli arabi, hai presente?» «Mrnmmh», fa mamma. «Non rispondi?», dico indicando il telefono. Mi tengo la camicia da notte anche a cena, pensando di desta-
re meno sospetti. «Certo che sei proprio strambo, tu», commenta Livvy, stringendo gli occhi con leggero disgusto.
«Livvy, basta», dice mamma. «Ma è vero!», protesta lei. I miei si scambiano un’ occhiata. lo mi concentro con tutte le mie forze nel mantenere in equilibrio i piselli sulla forchetta. Dopo cena vado di sopra. Tiro fuori la lista che ho fatto all’ inizio dell’ estate e mi siedo a gambe incrociate con il foglio davanti.
Obiettivi di David Piper per l’estate: 1.Farmi crescere i capelli tanto da farmi la coda 2.Guardare tutte le stagioni di Project Runway in ordine cronologico 3.Battere papà a tennis con la Wii 4.Insegnare a Phil a ballare così andiamo a Britains Got 5.Finire i compiti di geografia 6.Dirlo a mamma e papà
Inizia così il lento percorso di David, un percorso di piccoli e grandi problemi, come accade a tutti gli adolescenti. Un percorso fatto di bulli, di scuole, di cose che vanno e che non vanno.
Ho avuto un’intera settimana di gloria in cui sono riuscito a legarmi i capelli in una minuscola coda. Ma il regolamento della scuola dice che i ragazzi non possono avere i capelli che superano il colletto, perciò la settimana scorsa mamma mi ha portato dal parrucchiere per farmi tagliare tutto. I punti due e tre li avevo raggiunti senza sforzo nelle prime due settimane di vacanza. Mi ero reso conto quasi subito che il punto quattro era una causa persa: Phil non è un talento naturale.
Non si tratta di una metamorfosi, non c’è alcuna metamorfosi per David, lui è così, lo è sempre stato. I suoi problemi non sono diversi dai suoi coetanei. Si tratta di affermarsi per quello che si è.
I punti cinque e sei li avevo posticipati, a turno. Il sei l’ho provato e riprovato. Ho tutto un discorso pronto. Lo recito fra me sotto la doccia e lo ripeto a bassa voce al buio quando sono a letto. L’altro giorno ho messo a sedere sul cuscino i miei vecchi giocattoli, Big Ted e Barbie Sirena, e gliel’ho recitato tutto. Sono stati molto comprensivi. Ho anche provato a scriverlo. Se i miei genitori avessero cercato bene avrebbero trovato una gran quantità di bozze non finite ammucchiate nei cassetti della mia scrivania. La settimana scorsa, però, sono arrivato in fondo a una lettera. Non solo: l’ho quasi infilata sotto la porta della stanza dei miei. Ero lì
davanti, chino sulla lama sottile di luce, e li ascoltavo mentre si preparavano per andare a letto. Mi sarebbe bastato dare una spintarella, ed era fatta; il mio segreto sarebbe stato lì sulla moquette, pronto per essere scoperto. Ma in quel momento la mia mano era come paralizzata. Alla fine non ce l’ho fatta, e dopo un secondo ero di nuovo in camera mia, con la lettera ancora in mano e il cuore che mi batteva all’impazzata.
Un messaggio interiore : è necessario andare oltre l’apparenza, non considerare il giudizio.
Un segnale importante lo ha dato, a sostegno di questa pubblicazione, Amnesty International Italia. Amnesty ci ricorda che: “siamo tutti nati liberi ed eguali in dignità e diritti” (Articolo l della Dichiarazione universale dei diritti umani), e che dovremmo sempre rispettare e valorizzare le nostre diversità.
Il libro, ambientato nel contesto familiare e scolastico, affronta una realtà quotidiana fatta d’indifferenza ma anche d’intolleranza. I tassi di abbandono scolastico si coniugano con il diffondersi dell’abbandono psicologico: la depressione. Un insieme di segnali che ci indicano “altra sofferenza”.
Ogni individuo ha diritto alla sua identità. La sfida dell’autrice, evidente sin dalle prime righe, è quella di quella di andare oltre. Questa è una sfida culturale, in primo luogo verso il rispetto dell’identità e dell’identità di genere. Qualunque essa sia.
«Un pomeriggio, quando avevo otto anni, tutti i bambini della mia classe hanno dovuto scrivere cosa volevano fare da grandi».
«Ma io non volevo essere nessuna di quelle cose».
Ecco ciò che ho scritto:
«lo voglio essere una femmina».
Lisa Willamson, L’arte di essere normale, Il Castoro, 2017