EXAGERE RIVISTA - Ottobre - Novembre - Dicembre 2024, n. 10-11-12 anno IX - ISSN 2531-7334

Dal reale al virtuale e ritorno: il fenomeno del bullismo. Colloquio con Tiziana Pozzoli.

di Elisa Puvia

E’ di pochi giorni fa la notizia che il Parlamento italiano ha approvato all’unanimità ed in via definitiva la prima legge per prevenire e contrastare i fenomeni di bullismo e cyberbullismo.

Questo provvedimento – “Disposizioni per la prevenzione e il contrasto dei fenomeni del bullismo e del cyberbullismo”- è importante perché definisce per la prima volta in Italia il fenomeno, regolamenta la rimozione di contenuti offensivi dal web e soprattutto introduce una misura di ammonimento nel caso di reati commessi da minorenni di età superiore ai 14 anni.

A conferma del carattere formativo ed educativo della legge, anche la scuola è chiamata in causa: ogni istituto scolastico dovrà infatti identificare un referente, individuato tra i professori, per le iniziative di prevenzione e contrasto del bullismo e del cyberbullismo.

La legge è stata fortemente voluta anche a seguito dell’episodio di suicidio che ha avuto come protagonista una ragazzina di 14 anni considerata la prima vittima di cyberbullismo, che nel gennaio del 2013 ha deciso di togliersi la vita dopo che il video della violenza sessuale di cui era stata vittima è stato diffuso in rete dagli autori della violenza. Già, perché in tema di bullismo, il reale – la violenza e la decisione di togliersi la vita – e il virtuale – il canale attraverso cui si è protratta l’aggressione – spesso si intrecciano in maniera pericolosa.

L’ultimo dossier pubblicato da Telefono Azzurro su bullismo e cyberbullismo, ci informa che nel corso dell’anno scolastico 2015-2016 (dal 1 settembre 2015 al 30 giugno 2016), l’Associazione ha gestito un totale di 270 casi di bullismo e cyberbullismo, circa il 13% dei 2055 casi trattati. La cifra è in aumento rispetto alla rilevazione effettuata tra febbraio e luglio 2015, in cui la percentuale di casi ascrivibili a bullismo e cyberbullismo era del 10,3%.

Dei 270 casi gestiti, il 62% ha riguardato richieste di aiuto per situazioni di bullismo, mentre il 10% sono ascrivibili a casi di cyberbullismo. Dalla rilevazione di Telefono Azzurro, emerge come l’età media delle vittime si stia abbassando, coinvolgendo bambini sempre più piccoli, anche di 5 anni (22% dei casi). Prendendo in considerazione il genere, anche se i bulli sono generalmente maschi (60% dei casi), in 1 caso su 4 viene segnalata come bulla una femmina. Infine, si evidenzia come il luogo preferito in cui agire comportamenti prepotenti resta la scuola (82% dei casi) ed in misura nettamente inferiore la rete (7%).

I numeri certo sono importanti, perché ci aiutano a fotografare un fenomeno. Tuttavia, occorre tenere presente che il fenomeno del bullismo, per sua natura, porta con sé una “cifra oscura”, ovvero una cifra non conosciuta, dal momento che non tutti gli episodi di aggressione vengono denunciati dalle vittime. D’altra parte, ed in maniera speculare, il rischio a cui potenzialmente si può incorrere è quello di sovrastimare il fenomeno, quando ad esempio, anche un solo episodio di prepotenza subita nell’arco di un anno entra a far parte dei casi conclamati di bullismo.

Il fenomeno del bullismo, indipendentemente dalla sua portata numerica, resta un fatto serio, grave, importante, che risucchia la vittima in una spirale di dolore, di vergogna e sensi di colpa che possono portare a conseguenze estreme. Per questo motivo, ho deciso di affrontare l’argomento ponendomi alcune domande preliminari, che passano attraverso una definizione scientifica del fenomeno, chiedendomi se per i bambini e ragazzi di oggi, nativi digitali, abbia senso distinguere fra reale e virtuale e dunque fra bullismo e cyberbullismo.

Ho deciso di rivolgere la mia prospettiva di analisi verso l’individuazione e l’analisi di quelle variabili personali e di contesto (pari, famiglia ed insegnanti) che la ricerca scientifica ha individuato come determinanti per la comprensione del fenomeno e la sua manifestazione; in ultima analisi ho cercato di capire come queste conoscenze possono essere utilizzate al fine di prevenire e contrastare il bullismo in maniera efficace. In questo percorso, ho coinvolto la dott.ssa Tiziana Pozzoli, esperta di fama nazionale, ricercatrice presso il Dipartimento di Psicologia dello Sviluppo e della Socializzazione dell’Università di Padova, dove tiene un corso di insegnamento a distanza rivolto agli insegnanti su “Bullismo e cyberbullismo: comprenderli e prevenirli”. Autrice di numerosi articoli pubblicati sulle principali riviste di settore a rilevanza nazionale ed internazionale; la dott.ssa Pozzoli ha ricevuto numerosi premi per la qualità delle sue ricerche.

 

  1. Partiamo dalla definizione dei fenomeni di bullismo e cyberbullismo: quali sono le peculiarità e quali le differenze. Esistono contaminazioni fra i due fenomeni?

Nel 2014 un gruppo di esperti chiamati dal Center for Disease Control and Prevention, negli Stati Uniti, ha proposto una definizione esaustiva di bullismo, derivata in gran parte dal lavoro del prof. Olweus, il pioniere degli studi in quest’ambito.

Il bullismo può essere definito come qualsiasi comportamento aggressivo indesiderato, messo in atto da un individuo o da un gruppo di individui (che non sono fratelli o partner sentimentali) caratterizzato da uno squilibrio di potere reale o percepito e che si ripete più volte nel tempo o ha un’elevata probabilità di essere ripetuto.

Le tre caratteristiche fondamentali del bullismo, che consentono di distinguerlo da altre tipologie di comportamento aggressivo, sono quindi:

  1. L’intenzionalità del comportamento aggressivo, che viene messo in atto per raggiungere uno scopo, solitamente il potere all’interno del gruppo dei pari. Un incidente, quindi, non è bullismo, a prescindere dalle conseguenze negative. Nemmeno la reazione aggressiva inappropriata che può seguire una frustrazione (reale o percepita) subita si configura come bullismo, mentre è più corretto parlare di aggressività reattiva.
  2. L’asimmetria di potere, per cui la vittima non riesce a difendersi. Tale asimmetria può dipendere dalla forza fisica, ma anche dallo status sociale nel gruppo o da caratteristiche psicologiche.
  3. La ripetizione nel tempo, sulla quale si fonda il terrore e l’ansia che spesso accompagnano la vittima.

Il bullismo può assumere diverse forme, quali ad esempio:

– fisica (calci, pugni, spinte)

– verbale (prese in giro, minacce)

– relazionale (esclusione dal gruppo, diffusione di maldicenze alle spalle)

Quando il bullismo avviene attraverso l’ausilio di mezzi elettronici, quali il cellulare o internet, parliamo di cyberbullismo. Anche in questo caso può assumere diverse forme, ad esempio verbale (prese in giro, minacce) o relazione (esclusione da gruppi virtuali o da chat).

Il cyberbullismo condivide con il bullismo le tre caratteristiche principali (intenzionalità, asimmetria di potere, ripetizione).

Nonostante le somiglianze tra bullismo tradizione e cyber, le due tipologie di comportamento si distinguono per alcuni aspetti fondamentali. Uno dei problemi centrali del cyberbullismo è la possibilità che il/i bullo/i si trinceri dietro un (presunto) anonimato, fatto che può aumentare il senso di minaccia per la vittima che non può sapere con certezza quante persone si nascondano dietro quell’identità. Inoltre, risulta più difficile per la vittima denunciare alle autorità scolastiche o alla polizia.

Inoltre, contrariamente a quanto accade per il bullismo tradizionale, il prepotente non può vedere le reazioni emotive della vittima. Come conseguenza, le riposte empatiche che potrebbero fermare i bulli dal continuare a mettere in atto comportamenti prevaricatori, sono molto meno probabili.

In terzo luogo, al contrario del bullismo tradizionale che avviene in classe o nel cortile della scuola, il cyberbullismo permette la partecipazione di un pubblico potenzialmente infinito.

Infine, il bullismo tradizionale e il cyberbullismo differiscono anche rispetto alla possibilità di raggiungere la vittima. Nel primo caso il fenomeno si verifica “solo” durante l’orario scolastico, mentre nel secondo caso è possibile agire comportamenti prepotenti 24 ore al giorno, 7 giorni su 7.

Riassumendo, non definirei il cyberbullismo come un fenomeno nuovo, ma come un’altra forma di bullismo. Tuttavia, la natura delle tecnologie può modellare il modo in cui i comportamenti aggressivi si verificano online.

 

  1. Qual è il ruolo dei genitori e degli altri agenti formativi (insegnanti)?

Per quanto riguarda i genitori, è possibile analizzare il loro ruolo nel bullismo prendendo in considerazione diversi aspetti. Mi soffermo su tre in particolare (il supporto genitoriale, il clima affettivo e gli stili parentali) cercando di evidenziare la relazione con il coinvolgimento nel fenomeno come bulli o vittime.

I bambini che agiscono prepotenze di solito percepiscono bassi livelli di supporto sociale da parte dei genitori, in particolar modo per quanto riguarda il supporto emotivo. Inoltre, i genitori dei bambini prepotenti tendono maggiormente ad utilizzare punizioni fisiche come strategia disciplinare primaria e a mostrare uno stile parentale autoritario, dove i comportamenti di controllo e supervisione dei figli non sono affiancati dalla dimostrazione di calore affettivo. Per quanto riguarda il clima affettivo familiare, è emerso che i bulli spesso provengono da famiglie caratterizzate da una carenza di empatia e dove non viene fornito ai bambini alcuno modello efficace per imparare ad interagire con gli altri con sensibilità e attenzione ai bisogni altrui.

Per quanto riguarda le vittime, uno dei risultati più ricorrenti riguarda quello che viene definito “invischiamento”. Nello specifico, l’invischiamento con i genitori, caratterizzato da interazioni positive emotivamente intense e da iperprotezione, è risultato essere associato ad un maggior rischio di vittimizzazione, soprattutto per i maschi. E’ stato ipotizzato che questo tipo di relazioni possa portare i ragazzi ad attuare comportamenti passivi o dipendenti che, di conseguenza, aumentano il rischio di vittimizzazione.

Un secondo aspetto interessante riguarda il livello percepito di supporto sociale genitoriale da parte delle vittime. Infatti, è emerso che percepire supporto da parte dei genitori riduce, nelle vittime, la probabilità di presentare sintomi ansiosi e depressivi.

 

Veniamo ora agli insegnanti e al modo in cui possono influenzare le dinamiche di bullismo. Un fattore chiave è rappresentato dagli atteggiamenti degli insegnanti verso il bullismo. Sappiamo che la maggior parte di loro dichiara di avere un atteggiamento negativo e considera il bullismo un problema sia perché danneggia il benessere degli studenti, sia perché vìola le regole della scuola e rende più difficile l’apprendimento. A volte, però, gli insegnanti sottovalutano la gravità del bullismo, specialmente in alcune sue forme, come quella relazionale (sia in ambito tradizione che virtuale). Il modo in cui gli insegnanti interpretano gli episodi che accadono è importante, in quanto influenza, ad esempio, la decisione degli studenti di intervenire o meno.

Un altro problema è rappresentato da alcune credenze, che non si ritrovano solo negli insegnanti, ma negli adulti in generale. Ad esempio, credere che sia meglio ignorare questi episodi, che siano solo “ragazzate” e che temprino il carattere. Gli studi dimostrano che il manifestarsi di episodi di bullismo è più probabile nelle classi dove tali credenze sono maggiormente diffuse tra gli insegnanti. Al contrario, quando gli insegnanti disapprovano esplicitamente ogni forma di bullismo e sostengono apertamente i comportamenti a favore della vittima, si assiste ad una diminuzione del rischio di vittimizzazione.

 

  1. Quali sono invece i ruoli ed i comportamenti assunti dai pari durante episodi di bullismo?

E’ errato pensare al bullismo come ad una relazione disfunzionale tra bullo e vittima. E’ più corretto, invece, parlare di bullismo come di un fenomeno di gruppo. Per questo, al fine di comprenderne il significato, occorre considerare le dinamiche e le caratteristiche del gruppo dei pari in cui si manifesta, oltra alle caratteristiche personali di chi è direttamente coinvolto.

Infatti, il bullismo è influenzato dal significato che assume all’interno di un determinato gruppo e dalle credenze e dagli atteggiamenti che i singoli membri hanno riguardo al fenomeno.

Occorre ricordare, inoltre, che uno dei motivi principali dell’agire prepotente è rappresentato dal tentativo di elevare il proprio status agli occhi dei compagni. Le norme sociali del gruppo di appartenenza gioca, quindi, un ruolo importante. Il gruppo può rinforzare il comportamento prepotente, ad esempio accettando, tacitamente o in modo esplicito, il comportamento del bullo.

L’importanza di analizzare il ruolo svolto dagli altri compagni è ormai ampiamente riconosciuto in letteratura e il cosiddetto approccio “ruoli dei partecipanti” (proposto nel 1996 dalla prof.ssa Salmivalli in Finlandia) allo studio del fenomeno è adottato dalla quasi totalità dei ricercatori in quest’ambito. Cosa possono fare gli studenti che assistono a episodi di prepotenza?

  1. Possono decidere di sostenere il bullo e possono farlo in due modi diversi: partecipando attivamente alle prepotenze iniziate da altri (es., tenendo ferma la vittima) oppure offrendo feedback positivi a chi agisce in modo prepotente (es., ridendo o incoraggiando a continuare). I primi vengono definiti “assistenti del bullo”, i secondi “sostenitori del bullo”.
  2. Possono difendere le vittime, schierandosi dalla loro parte, sostenendole, consolandole, dicendo al bullo di smetterla o chiamando un adulto perché intervenga.
  3. Possono rimanere in disparte e non fare nulla, limitandosi a osservare passivamente ciò che accade (per questo sono chiamati “osservatori passivi” o “esterni”).

Occorre sottolineare che questi ultimi non possono esser considerati veramente non coinvolti, in quanto si è visto che il loro silenzio tende ad essere interpretato come un sostegno implicito al bullo, andando ad influenzare negativamente il senso di supporto percepito da parte delle vittime e il senso di sicurezza di tutti gli studenti.

 

Approfitto di questa domanda per chiarire cosa si intende con il termine “ruoli” e perché viene utilizzato quando ci si riferisce ai comportamenti messi in atto dagli studenti durante episodi di bullismo. I ruoli sociali sono insiemi di aspettative socialmente definite che gli individui in una data situazione si sentono costretti a rispettare. Quindi, possiamo dire che i ruoli emergono all’interno delle interazioni sociali e sono determinati sia dalle disposizioni individuali, sia dalle aspettative altrui. Quando uno studente si comporta in un certo modo svariate volte, gli altri si aspetteranno che anche in futuro adotterà lo stesso comportamento. Allo stesso tempo, tali aspettative influenzeranno l’individuo stesso, che potrebbe trovarsi anche in difficoltà qualora volesse provare a modificare il suo ruolo nel gruppo.

 

  1. Esiste una fascia di età particolarmente a rischio, in cui il fenomeno si manifesta?

Risponderei a questa domanda con un nì.

Il bullismo può iniziare già nell’infanzia e può poi persistere nel corso degli anni scolastici.

Esistono dei momenti di passaggio, quali il cambio di scuola (es., dalla primaria alla secondaria di primo grado), dove spesso si nota un picco nella presenza di questo fenomeno. Questo perché, generalmente, sono momenti in cui i ruoli e il potere all’interno del gruppo devono essere ristabiliti e questo può portare più facilmente alla messa in atto di prepotenze per acquisire status nel gruppo.

In generale, è possibile affermare che l’uso dell’aggressività nei rapporti solitamente diminuisce quando i bambini imparano che questi rappresentano mezzi inefficaci per il mantenimento delle relazioni sociali. Alcuni ragazzi, tuttavia, persistono nel ricorrere a comportamenti prepotenti anche nella prima e seconda adolescenza.

Occorre poi sottolineare che, a partire dalla prima adolescenza, emergono nuove forme di aggressione. Con l’aumento delle abilità cognitive e sociali, i ragazzi divengono via via più consapevoli delle vulnerabilità altrui e delle diverse modalità con cui esercitare il potere. Le forme di bullismo divengono più “sofisticate” e a fronte di una diminuzione delle prepotenze fisiche, si nota, invece, un maggior ricorso a quelle verbali e relazionali, sia in contesto reale che virtuale.

 

  1. Quali sono le variabili a livello individuale e di gruppo che aumentano il rischio che i comportamenti di bullismo e cyberbullismo si verifichino?

E’ una domanda che presupporrebbe una risposta davvero molto ampia, in quanto abbiamo dati provenienti da quasi quarant’anni di ricerca. Provo a sintetizzare, facendo obbligatoriamente delle scelte rispetto ai temi da approfondire.

Un aspetto che ha ricevuto molta attenzione riguarda le competenze socio-cognitive dei ragazzi che agiscono prepotenze. In particolare, in letteratura sono presenti due modelli principali. Il primo riconduce la messa in atto di azioni prepotenti a disfunzioni specifiche di alcuni processi cognitivi, il secondo, al contrario, al possesso di sofisticate capacità di comprensione delle relazioni sociali. Secondo il primo modello, i bulli sembrano mostrare una preferenza per la scelta di obiettivi strumentali, volti al raggiungimento di vantaggi personali, rispetto ad obiettivi mirati a preservare le relazioni interpersonali. Proprio tale preferenza porterebbe più facilmente all’adozione di comportamenti aggressivi. Il ricorso a tali strategie viene anche giudicato in modo più positivo dai bulli quando, ad esempio, si chiede loro di valutare e scegliere una risposta comportamentale. Al contrario, i sostenitori del secondo modello ritengono che molti bulli possano essere meglio descritti come abili manipolatori delle relazioni sociali invece che individui socialmente incompetenti. Il comportamento prepotente non sarebbe quindi il risultato di una scarsa competenza socio-cognitiva, ma una scelta moralmente scorretta, che mira tuttavia a raggiungere obiettivi socialmente accettabili, quali la leadership all’interno del gruppo.

A sostegno di questo modello vi sono studi che evidenziano come i bulli ottengono buone performance in compiti di elaborazione delle informazioni sociali, ad esempio per quanto riguarda la capacità di comprendere le intenzioni, le credenze o i pensieri degli altri. Inoltre, il ricorso da parte dei bulli a forme più complesse di prepotenza che presuppongono la manipolazione delle relazioni sociali all’interno del gruppo, richiede sicuramente una buona intelligenza sociale, ossia una buona conoscenza delle regole di interazione sociale e l‘abilità di usare tali relazioni a proprio vantaggio.

In altre parole, i bulli sarebbero caratterizzati da una cognizione “fredda”, basata su una forma di pensiero di tipo machiavellico, che porta da una parte a considerare le altre persone come manipolabili e dall’altra a valutare le norme morali come violabili.

Una seconda area particolarmente rilevante per la spiegazione del comportamento prepotente è quella della competenza emotiva. In particolare, molta attenzione è stata dedicata alla responsività empatica, ossia alla capacità di assumere il punto di vista altrui e di esperirne in modo vicario le emozioni. I bulli sono risultati particolarmente carenti in tale abilità, in particolare per quanto riguarda la componente affettiva dell’empatia. In altre parole, benché non si notino particolari deficit nel comprendere le emozioni altrui, le difficoltà emergono quando si tratta di “sentire ciò che sente l’altro”.

Quando uno spettatore si trova faccia a faccia con la sofferenza dell’altro, se è sufficientemente empatico, proverà tristezza o angoscia. Tali sentimenti dovrebbero essere particolarmente forti se lo spettatore è anche stato la causa di tale sofferenza. Tale esperienza vicaria dell’emozione della vittima dovrebbe, quindi, portare l’aggressore ad inibire il proprio comportamento. E’ proprio questo “sentire” che appare deficitario nei bambini e ragazzi prepotenti.

Infine, una terza area di indagine importante riguarda la componente morale. In particolare, molti studi hanno messo in evidenza la tendenza da parte dei bulli a ricorrere a meccanismi di disimpegno morale, che permettono all’individuo di mettersi al riparo da sentimenti di colpa e vergogna solitamente associati alla condotta immorale. In altre parole, i meccanismi di disimpegno morale permettono a chi agisce in maniera immorale di non percepire la gravità né del comportamento agito (con ragionamenti del tipo: “era solo per divertirsi!”) né delle conseguenze di tale comportamento (“non ci è rimasto davvero male!”), di non riconoscere la propria responsabilità (“non sono solo io a comportarmi così) o, in alcuni casi, attribuisca la colpa per quello che ha fatto alla vittima (“se lo meritava!”).

Per quanto riguarda le variabili contestuali, la letteratura ha messo in luce che il bullismo è più probabile quando nel gruppo si hanno atteggiamenti maggiormente positivi nei confronti del bullismo, quando il comportamento di difesa è poco diffuso a favore di comportamenti di osservazione passiva e indifferenza, quando gli studenti pensano che gli altri (i pari, i genitori, gli insegnanti) non si aspettino da loro un intervento. Il bullismo trova terreno fertile anche in gruppi in cui i livelli di disimpegno morale sono elevati e dove il clima di gruppo non è basato sulla cooperazione e il rispetto.

 

  1. Quali sono le conseguenze per le vittime di bullismo e cyberbullismo?

Il bullismo e il cyberbullismo rappresentano un fattore di rischio significativo per lo sviluppo di problemi di salute, psicologici e comportamentali.

La letteratura ha mostrato che le vittime hanno una probabilità due volte maggiore di soffrire di disturbi psicosomatici (es. mal di testa, mal di stomaco, disturbi del sonno, dermatiti) rispetto ai compagni non coinvolti. L’essere vittima di bullismo ha anche conseguenze negative nel dominio psicologico, soprattutto a causa della relativa stabilità nel corso del tempo di queste esperienze traumatizzanti. In particolare, rispetto ai compagni non coinvolti, le vittime mostrano livelli maggiori di stress, ansia e depressione, una maggiore tendenza ad auto-colpevolizzarsi e bassi livelli di autostima. Inoltre, l’essere vittimizzati è risultato essere associato ad un aumento del rischio di ideazione suicidaria, tentativi di suicidio e autolesionismo.

E’ importante sottolineare che queste conseguenze non sono limitate al momento in cui si verificano le prepotenze, ma i problemi possono persistere anche a distanza di molto tempo.

 

  1. Esistono efficaci strumenti di prevenzione e intervento anti-bullismo?

Si, assolutamente.

In breve, anche se i diversi programmi anti-bullismo evidence-based che possiamo trovare in letteratura (e che si sono dimostrati efficaci nella riduzione del bullismo) hanno ciascuno degli aspetti caratterizzanti specifici, è possibile comunque identificare alcuni elementi comuni.

In primo luogo, tutti riconoscono la natura contestuale e relazionale del fenomeno, che si manifesta in un contesto sociale di cui fanno parte gli studenti, gli insegnanti, i genitori e lo stesso ambiente (fisico o virtuale). Questa prospettiva si riflette sugli interventi, ad esempio, nella necessità di definire una politica scolastica e di coinvolgere l’intera comunità.

In secondo luogo, tutti i programmi anti-bullismo includono lo staff della scuola come parte attiva dell’intervento. Quindi, è necessaria un’adeguata formazione degli adulti allo scopo di aumentarne la sensibilità e l’attenzione verso il problema e la capacità di farvi fronte.

Terzo, considerato che il bullismo è un problema relazionale tra pari, i programmi anti-bullismo considerano il gruppo dei pari come target privilegiato dell’intervento. Ciò si riflette nell’implementazione di azioni volte a modificare consapevolezza, atteggiamenti e, infine, i comportamenti di tutti gli studenti facenti parte del gruppo. Così, alcuni programmi si focalizzano in particolare sul tentativo di modificare gli atteggiamenti e il clima del gruppo, altri più specificatamente sulla responsabilizzazione degli spettatori.

Infine, i diversi programmi anti-bullismo riconoscono l’importanza di coinvolgere i genitori nel progetto. Le attività tipicamente rivolte ai genitori riguardano la sensibilizzazione e l’educazione al fenomeno. Tuttavia, il lavoro con i genitori rimane, ad oggi, quello più difficile da integrare in un progetto anti-bullismo.

 

Bibliografia

 

Disposizioni a tutela dei minori per la prevenzione e il contrasto del fenomeno del cyberbullismo. Scaricabile qui:

http://www.camera.it/leg17/126?tab=2&leg=17&idDocumento=3139&sede=&tipo=

 

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Telefono Azzurro: Dossier bullismo e cyberbullismo. Scaricabile qui: http://www.azzurro.it/sites/default/files/Telefono-Azzurro-DossierBullismo-CampagnaBackToSchool-2016.pdf

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