di Federica Biolzi
Siamo sempre più connessi senza rendercene conto. L’essere online oramai fa parte di quella ritualità, personale e collettiva, della quale non riusciamo a farne a meno . Al di là delle facili morali, del tipo si stava meglio prima, occorre veramente scandalizzarcene? Oppure è necessario accettare la sfida e imparare a utilizzare la galassia della comunicazione in rete e convivere con il cambiamento?
Tienilo acceso. Posta, commenta, condividi senza spegnere il cervello, il libro scritto a quattro mani da Vera Gheno, sociolinguista, e Bruno Mastroianni, filosofo e giornalista, di fresca stampa presso l’editore Longanesi, è senza alcun dubbio uno strumento che ci insegna a individuare le giuste strategie per non smettere di pensare e continuare a dare valore delle nostre parole.
– Perché è importante scrivere su queste tematiche oggi?
– Perché la connessione è ormai un aspetto ordinario delle nostre vite, tanto che non è possibile una reale separazione tra vita online e vita offline: c’è un’unica vita che viviamo in continuità, sia quando siamo connessi sia quando siamo disconnessi. La sfida è oggi essere umani all’altezza di questa situazione di iperconnessione.
– E’ evidente che siamo sempre più connessi. Perché accade? Riguarda solo i giovani?
– La connessione non è un più momento specifico della nostra vita come lo poteva essere fino a vent’anni fa, quando entravamo in internet attraverso modem e computer solo nel momento in cui decidevamo di dedicare del tempo alla navigazione. Oggi siamo connessi in molti più modi e in modo quasi costante: i messaggi su WhatsApp, il navigatore satellitare che utilizziamo per gli spostamenti, i servizi di car-sharing, scegliamo ristoranti cercandoli online e consultando le recensioni; anche quando non guardiamo attivamente lo schermo del nostro dispositivo, la connessione continua a fare il suo lavoro. E non è qualcosa che riguarda specificamente i giovani, ma chiunque viva in società. Persino coloro che vogliono resistere a tutti i costi rimanendo disconnessi vivono comunque in un mondo in cui i loro vicini, concittadini, parenti, amici, agiscono e prendono decisioni anche in base a ciò che viene dalle loro connessioni. Allora la sfida non è tra una presunta dimensione offline più autentica e sana contro una dimensione online tendenzialmente negativa (come spesso il dibattito ci spinge a pensare); la questione è: quale senso diamo alle azioni che compiamo come esseri umani che vivono connessi? Una domanda che non ci poniamo mai abbastanza. Nel nostro libro abbiamo provato ad affrontarla di petto.
– Bene, accettiamo anche noi di seguirvi in questa sfida: ma cosa occorre fare?
– Anzitutto vedere la connessione per quello che è. Spesso siamo portati a vedere internet in modo riduttivo, come fosse un semplice strumento o un mezzo (infatti parliamo di “buon uso” del web, dei social, della connessione, ecc.). In realtà la connessione è molto di più. C’è chi ne parla come ambiente, come luogo, usa la metafora della “piazza virtuale” o dell’ecosistema digitale. Sono metafore molto significative perché spingono a porsi la domanda su come “stare” in questo ambiente. Noi riteniamo che si debba fare un passo in più vedendo la dimensione relazionale della rete: in essa costruiamo (o distruggiamo) rapporti attraverso i contenuti che incontriamo e che ci scambiamo con gli altri. In quest’ottica, la domanda non è solo sul come “stare” online, ma diventa più profonda: che tipo di vita vogliamo vivere? Che significato vogliamo dare ai nostri incontri con le persone attraverso la connessione? Che tipo di conoscenza del mondo vogliamo costruire attraverso il libero accesso ai contenuti e alle informazioni? Nel nostro libro ci siamo chiesti, insomma: è possibile la buona vita connessa?
– Diciamo quindi che si tratta di imparare a usare meglio le nostre parole, anche sui social. Come non lasciarsi prendere dall’impulsività, dalla rabbia?
– Certo: è una capacità alla portata di tutti. Si tratta di capire che quello della velocità della comunicazione sui social è un mito: nessuno, in realtà, ci costringe, pistola alla tempia, a rispondere entro tempi brevissimi. Ci sono situazioni in cui farlo è essenziale, ma nella maggior parte dei casi siamo noi stessi a imporci velocità perché bruciamo dalla voglia di dire la nostra, o magari di essere i primi a dire una certa cosa. Dobbiamo riprenderci il lusso di quei pochi secondi o minuti in più di riflessione su quello che stiamo per “sganciare” in rete: è molto più produttivo spendere qualche momento in più in fase di elaborazione del messaggio che non a posteriori, per fare gestione dell’eventuale crisi provocata dalla fretta.
– I due diversi punti di vista, quello del filosofo-giornalista da un lato e quello della sociolinguista dall’altro, in quali punti convergono?
– In realtà, la lingua è trasversale a qualsiasi tipo di conoscenza, perché per comunicare ogni argomento dobbiamo servirci sempre del tramite delle parole. Per cui, non si tratta nemmeno di una convergenza, quanto un procedere a braccetto, sullo stesso sentiero cognitivo. La conoscenza non andrebbe mai trattata a compartimenti stagni: l’idea dei “campi del sapere” nasce dal bisogno tutto umano di etichettare in maniera riconoscibile la realtà, ma di fatto il modo migliore che abbiamo trovato per mettere a frutto le nostre competenze è semplicemente lasciare che si intreccino di continuo, fino a non sapere più dove finisce un punto di vista e inizia l’altro.
– Il maestro Manzi, negli anni sessanta, è stato l’esempio più famoso ed efficace di insegnamento a distanza. Adesso, parafrasando il titolo di quella famosa trasmissione, è troppo tardi? Oppure è possibile insegnare a comunicare sui social, attraverso i social?
– Possiamo, prima di tutto, imparare assieme. Ne abbiamo bisogno tutti, indipendentemente dall’età, seppure in maniere diverse. I più giovani hanno le competenze tecniche, ma necessitano di competenze comunicative ed educative in senso ampio. I più vecchi hanno magari acquisito l’educazione e l’esperienza, ma devono lavorare sulla tecnica e su contrastare una certa, inevitabile rigidità mentale. La rete è qui per rimanere: non è un fenomeno “di passaggio”. Dobbiamo prendere atto dell’apertura di una nuova dimensione relazionale che occorre imparare a gestire. Negare il problema, pensare che si debba solo insegnare a spegnere, o vietare, contenere, neutralizzare, è limitante e tutto sommato tranquillizzante, ma non risolve la questione di fondo: che fare quando accendiamo i nostri strumenti elettronici? Occorre ragionare su questo, e sì, insegnare a usare questi strumenti, che sono potentissimi e, di conseguenza, anche potenzialmente pericolosi. Manzi, oltre ad alfabetizzare chi non aveva accesso all’istruzione primaria, insegnava con garbo, gentilezza, infinita pazienza. Con la sua personalità aveva reso “palatabile” una materia che oggi stenteremmo a considerare adatta a un programma televisivo di successo. Si può fare lo stesso con i social, magari dall’interno? Si possono usare i social per insegnare i social, ma anche per fare cultura? Il successo di chi lo fa (Crusca, Treccani, Zanichelli, ecc.) dimostra che c’è voglia di cultura, anche sui social. Perché non approfittarne? In fondo, i social contengono esattamente ciò che decidiamo di metterci dentro.
– Iperconnessi, connessi, online e social network: qual è la nuova lingua che sta emergendo dalla rete?
La lingua segue la realtà; al mutare dell’una, muta anche l’altra. Nuovi termini nascono quando nella realtà che ci circonda compaiono nuovi oggetti e fenomeni da descrivere con le parole. Poiché la realtà ha infinite sfumature, anche la capacità di noi esseri umani di creare termini nuovi per descriverla con precisione è infinita. Ed è bene che sia così. L’evolversi della lingua va visto come una fonte di ricchezza, non come un problema. Non c’è, in realtà, nessuna nuova lingua dei social. C’è un contesto comunicativo – ormai non tanto nuovo – che necessita di nuove parole.
– Il tempo dedicato alla connessione è sempre più importante. Da statistiche recenti risulta che i giovani rinunciano sempre più a prendere la patente, non hanno bisogno di muoversi tanto si rintracciano sui social. Ci chiediamo: ci sono limiti al tempo speso online ?
Più che di misure cronometriche della connessione noi cerchiamo di impostare la valutazione sui significati. Guardare lo smartphone per un’ora o dieci minuti non è giudicabile, se non entrando nel merito del che cosa si sta facendo. In dieci minuti si può perdere tempo, si può insultare qualcuno, si possono fare molte azioni pessime. Allo stesso tempo si possono passare ore online approfondendo argomenti o conducendo discussioni costruttive e significative. Non è lo stare tanto o poco online il criterio di valutazione. Molti ci dicono: “mio figlio perde sempre tempo online!”. Noi di solito chiediamo: “E cosa fa?”, spesso i genitori non sanno rispondere. Il problema è qui: bisogna entrare nel merito di ciò che si fa online, domandare, parlarne. Anche perché poi basta farsi un giro sui profili di quegli stessi genitori per scoprire che sono spesso i primi a fare un uso dei social a dir poco frivolo.
– Riprendendo una delle domande del libro: è possibile vivere insieme felici e connessi ?
Studiare, essere curiosi, non pensare in termini apocalittici che la rete ci distruggerà. L’unica cosa che può davvero distruggerci è l’ignavia cognitiva. Perdersi d’animo perché le cose da conoscere sono troppe, e decidere quindi di non conoscere nulla. Un po’ come nella favoletta dell’asino di Buridano. E invece, per quanto sia impossibile conoscere tutto, la fame di conoscenza non deve mai esaurirsi. Questa, secondo noi, è la strada per vivere felici e connessi.
– In ultimo, la classica domanda da un milione di dollari: cosa ci sarà dopo i social?
Lanciarsi sulle previsioni del futuro è sempre rischioso. Accontentiamoci del presente e del recente passato. C’è molto da fare oggi, adesso, in ogni ambiente sociale, per creare una cultura della comunicazione online davvero umana e costruttiva. I social ci hanno resi tutti più vicini; ora dobbiamo imparare a diventare dei “buoni vicini”. Una sfida che ci terrà impegnati da qui ai prossimi anni, se veramente vogliamo costruire una società sempre più libera e democratica, perché è nella comunicazione (online e offline) che si costruisce da sempre gran parte della socializzazione.
Vera Gheno, Bruno Mastroianni
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2018, Longanesi