di Gianfranco Brevetto
Il metodo biografico proposto da Romano Màdera ( Il metodo biografico come formazione, cura, filosofia, Raffaello Cortina Editore), implica un incessante faccia a faccia con il vissuto individuale. Un confronto quotidiano con la centralità dell’umano.
– Professor Màdera, l’incipit del suo coinvolgente saggio contiene una considerazione che ci lascia spiazzati: per trovare un sentiero percorribile occorre riconoscere che viviamo in una nuova grande crisi: un grande caos. Per iniziare occorre partire da se stessi ma non finire con noi stessi. Perché?
-Che ci sia “un grande caos”, che significa un conflitto senza, per ora, indicazioni plausibili di ricomposizioni e di un nuovo, relativamente stabile, modo di pensare ed agire entro coordinate accettate se non da tutti da una gran parte degli attori della politica, della economia, della cultura, mi pare fin troppo evidente. D’altra parte, già scrivendo nel 2020 un altro mio libro, con Gordon Cappelletty, “Il caos del mondo e il caos degli affetti” ( edito da Claudiana), parlavamo di questo passaggio storico. Che non è il primo e non sarà l’ultimo. Nel Novecento, per esempio, potremmo guardare al lungo periodo che va dalla prima guerra mondiale alla fine della seconda come un periodo di caos. Questo non vuol dire che l’ordine sia buono e il caos cattivo, dipende dalla condizioni storiche concrete. Oggi – dopo più di due anni di pandemia, affrontata nel mondo, nella dimensione globale nella quale siamo e che influenza e determina ogni aspetto sociale della nostra vita, senza nessuna vera coordinazione, senza nessuna preparazione nonostante leggi e previsioni sulle possibilità di epidemie – parlare di caos, con la guerra che ha fatto ritorno in Europa ( senza essersene mai andata dal mondo, basta ricordare il Medio Oriente, il Congo, la Libia, il corno d’Africa … ), con le difficoltà di evitare una crisi economica di stagnazione e inflazione congiunte, è quasi scontato. Infatti la parola “caos” è frequentissima in tutti i mezzi di comunicazione di massa.
Perché “partire da sé”? Ma perché ogni fondamento dei nostri progetti e della nostra visione del mondo è stato corroso e consumato da ogni tipo di critica. Non da oggi. E’ un processo che dura da più di duecento anni e che Nietzsche sintetizzò con il detto “Dio è morto”. Cioè ogni direzione, ogni “senso”, stabile, universale, necessario, è diventato non-credibile. Tanto che oggi dobbiamo anche spiegare cosa si potesse intendere come “Dio”, tanto ci ha abbandonato la credenza in una sorta di ordine e di giustizia nella storia. Per questo quando dico “Dio” intendo l’architrave del senso, della direzione di vita delle comunità e dei singoli.
Che non ci si debba fermare al “partire da sé” è altrettanto ovvio: chi sono io se non il risultato di eredità biologiche e culturali, di influenzamenti familiari, sociali, culturali, che mi costituiscono e dai quali soltanto può nascere la possibilità di cercare una direzione di vita che mi sia propria? E questa considerazione, questo modo di sentire e di pensare, è già una indicazione di cura del narcisismo di massa che ci affligge. Che ci condiziona e ci ammalia ma alla fine ci fa vivere in un mondo di fantasmi proiettivi nel quale sembra ci sia solo io … con il risultato, appunto, che poi io sono solo in tutti i sensi della parola.
– Per comprendere lo spazio autobiografico, lei ci dice che bisogna rovesciare i tre termini di cui è composta la parola stessa autobiografia. Cosa significa questo rovesciamento?
-Significa appunto che tutte le modalità, anche spesso quelle cosiddette “terapeutiche”, che non sanno scavare nell’io per trovare il “noi” e “gli altri”, sono inconsapevolmente frutto della malattia che dovrebbero curare: finiscono per rafforzare l’autoriferimento. E poi certo all’inizio c’è la “grafia”, il segno che la vita e gli altri e il passato ha lasciato su di noi: ognuno nasce dentro una eredità sociale e culturale, quindi psicologica. Poi, appunto c’è la vita che porta questi segni, la biografia. Solo alla fine posso arrivare, con una qualche consapevolezza all’ “autobiografia” che non sarà più ingenua ma meditata.
Naturalmente, pedagogicamente, bisogna partire da sé, dall’autobiografia, per poi scoprire, riflessivamente, il movimento opposto.
– Di fronte al caos, a cui accennavano poc’anzi, perché è cosi importante salvare la nostra capacità di raccontare?
-Perché gli umani sono animali sociali che immaginano e trasformano le cose, il mondo dato – guardatevi intorno e troverete dappertutto le tracce del lavoro umano – e che non solo hanno un linguaggio molto complesso e capace di infinite variazioni, ma che lo usano per “raccontare”. E il racconto è una storia, cioè un modo di dare una direzione al tempo e un orientamento allo spazio, è un esercizio del dare “senso” e del poter capire anche i “sensi possibili”, di sperimentarli come parole che comunicano prima di impegnarsi a realizzarle o a trattarle come fantasie o come possibilità di comunicazione a diversi livelli e per diverse funzioni. E bisogna formarsi a saper raccontare e raccontarsi, ad ascoltare i racconti di vita altrui e a dialogare. Al di là delle consuetudini maggioritarie del nostro tempo che vorrebbe farci reagire sempre a shock and spot.
– Ho seguito il suo affascinante percorso e mi ha particolarmente colpito la parte dedicata al sapere psicoanalitico e la terapeutica filosofica. Come possiamo riassumere questo passaggio e come svilupparlo nelle pratiche?
-Metodo biografico vuol dire l’attenzione al contesto dell’insieme della nostra esperienza, al suo intreccio. La psiche è solo una parte di una storia di vita dove società, cultura, corpo, valori e ideali hanno funzioni non meno importanti. E, soprattutto, “filosofico” vuol dire per noi – intendo l’associazione Philo e Sabof ( l’associazione di analisi biografica a orientamento filosofico) – semplicemente che la ricerca del senso, come orientamento di vita, è la cosa fondamentale, la vera cura ( anche se questo lo riconosceva già Jung). Nella pratica quali sarebbero le differenze? Che l’analisi è solo uno degli “esercizi di trasformazione”, o “esercizi spirituali”, che possono essere praticati fuori e dentro lo spazio analitico : esercizi della filosofia antica, esercizi rinnovati e propri del nostro tempo, esercizi delle diverse tradizioni sapienziali etc. etc. L’esercizio è tutto. Ma bisogna, a questo serve l’analisi biografica, costruirsi un percorso, anche tra gli esercizi, “fatto su misura”, adatto a quell’esperienza di vita: questo significa per noi “mitobiografia”, una biografia più consapevole e responsabile che, ricercando un racconto di senso nel quale si può riconoscere, pratica, nella vita quotidiana, esercizi scelti di trasformazione, inserendoli perciò in una pratica complessiva che possiamo chiamare “pratica di umanizzazione”. Su questi esercizi non posso che rimandare a un altro mio libro, dove sono trattati diffusamente, “La carta del senso”, pubblicato da Cortina nel 2012. Il libro sul metodo biografico è la sua ideale continuazione.
Romano Màdera
Il metodo biografico
come formazione, cura, filosofia
Cortina Editore, 2022