di Federica Biolzi
“Durante i periodi più acuti della pandemia, diversi servizi assistenziali per le famiglie sono venuti meno, come ad esempio i servizi domiciliari o alcune forme di sport e terapia. Le ripercussioni sul benessere dei ragazzi con disabilità e delle loro famiglie sono state inevitabili e spesso pesanti.” Con la professoressa Francesca Coin, psicologa dello sviluppo, abbiamo approfondito questo tema di scottante attualità.
–L’emergenza legata al Covid sta mettendo a dura prova il sistema scolastico. Quali sono le ricadute sugli studenti con disabilità?
– La scuola italiana è sempre stata all’avanguardia per quanto riguarda l’inclusione: uno dei primi paesi al mondo a lottare per l’inserimento degli alunni con Bisogni Educativi Speciali nelle classi regolari, nonché a raggiungere grandi traguardi per quanto riguarda gli apprendimenti e la socializzazione. Il Covid ha fatto fare alcuni passi indietro in questo ambito.
Durante il lockdown del 2020 è stata attivata per la prima volta la famosa e tanto discussa Didattica a Distanza (DaD), ma si trattava ancora di una fase emergenziale, una situazione nuova, dove le scelte e le iniziative venivano demandate alla buona volontà dei docenti, nel più completo caos di proposte e regolamenti. In questa prima fase, gli alunni con disabilità sono rimasti a casa come chiunque altro, ma chi non aveva gli strumenti, le possibilità familiari o anche solo il grado di autonomia necessario per collegarsi con la classe, è rimasto quasi del tutto isolato.
Nell’anno successivo (anno scolastico 2020-21), il problema è stato parzialmente risolto, permettendo ai ragazzi con disabilità di continuare a frequentare la scuola anche quando le loro classi si collegavano a distanza. Le famiglie venivano sollevate dal carico di lavoro aggiuntivo, gli strumenti venivano messi a disposizione dalle scuole e i ragazzi, accompagnati da personale esperto, potevano partecipare alle attività della classe o a loro dedicate. A questo punto, però, si è venuta a creare una seconda forma di isolamento e discriminazione: loro erano i soli ad aggirarsi tra le classi e i corridoi, mentre tutti i loro compagni seguivano le lezioni da casa. La differenza era evidente agli occhi di tutti; senza contare che alcune scuole, che accolgono un elevato numero di alunni con disabilità, si sono temporaneamente trasformate in veri e propri centri diurni, dove l’apprendimento e le routine quotidiane venivano garantiti ma l’inclusione e la relazione sono state messe in secondo piano.
È pur vero che la nota ministeriale, a tal proposito, indicava la possibilità di costituire dei piccoli gruppi, al fine di non lasciare gli studenti con disabilità da soli con i rispettivi insegnanti e personale di supporto; la cosa era alquanto auspicabile ai fini inclusivi, ma è risultato chiaro fin da subito che era assai difficile realizzarla, per questioni logistiche e di sicurezza, tant’è che è rimasta sulla carta in quasi tutte le scuole.
Ancora oggi alcune differenze rimangono evidenti: si portano le mascherine, si mantengono le distanze, non è possibile condividere materiali e merende, sono sospesi i lavori di gruppo e le attività aboratori ali, gran parte delle attività sportive, ovvero tutti quei momenti che promuovono la relazione e la collaborazione tra compagni, tanto preziosi per i ragazzi con Bisogni Educativi Speciali.
La scuola non è fatta solo di compiti e lezioni, ma soprattutto di amici, compagni e persone su cui poter contare. Questo lo hanno imparato tutti, ragazzi con e senza disabilità.
– Dalle notizie di cronaca, soprattutto in periodo di lockdown, è emerso che le famiglie di questi studenti sono apparse in forte difficoltà. Quali sono state le principali problematiche?
– La gestione di ragazzi con problematiche di diversa natura, riassumibili sotto la dicitura di “Bisogni educativi speciali” non è mai facile e queste famiglie spesso portano un carico emotivo e organizzativo superiore alle altre. La scuola, come molte altre istituzioni di supporto, fornisce loro un notevole aiuto: garantisce per diverse ore al giorno un contesto protetto, con personale specializzato; propone attività di apprendimento personalizzato, collabora al raggiungimento di determinate autonomie di base e offre occasioni di socializzazione e interazione con i pari.
Durante i momenti di Didattica a distanza, la scuola si è però trasformata in un peso per le famiglie: nonostante il lavoro, le faccende domestiche e tutti gli impegni abituali, i genitori hanno dovuto occuparsi dei figli, spesso non autosufficienti, ventiquattr’ore su ventiquattro, aiutarli a collegarsi alle lezioni online, assisterli nei compiti e nelle attività che la scuola cercava di proporre, per far sì che quelle abitudini, talvolta faticosamente acquisite, non andassero perse, per mantenere almeno un contatto relazionale minimo con compagni e insegnanti.
Inoltre, durante i periodi più acuti della pandemia, diversi servizi assistenziali per le famiglie sono venuti meno, come ad esempio i servizi domiciliari o alcune forme di sport e terapia. Le ripercussioni sul benessere dei ragazzi e delle loro famiglie sono state inevitabili e spesso pesanti.
– In materia di socializzazione, il periodo che viviamo ha messo in luce una evidente contraddizione. Sono proprio le categorie che spesso creano i meccanismi di esclusione, di marginalizzazione e si producono proprio verso quelle categorie per le quali il rapporto con gli altri è vitale. Perché?
– La pandemia e il distanziamento sociale hanno pesantemente spostato le comunicazioni e le relazioni interpersonali nel mondo digitale, tanto caro ai nostri ragazzi, dando ulteriore slancio ad un fenomeno già in corso. Tra le teorie che studiano come le tecnologie digitali influenzano la socializzazione dei ragazzi, troviamo anche l’ipotesi chiamata “Rich Get Richer” (“i ricchi diventano più ricchi”), la quale sostiene che gli individui con un carattere estroverso, che possiedono buone competenze sociali, sono mediamente più abili e propensi a condividere le loro opinioni e a chiedere aiuto online, ottenendo ulteriore sostegno sociale e soddisfazione dalle relazioni che intessono attraverso i social media. Al contrario, gli individui introversi, che hanno scarse abilità sociali e poca fiducia in sé stessi, preferiscono usare meno i social network (in particolare quelli con profilo aperto e pubblici) in quanto temono che si vengano a ripetere le stesse dinamiche di difficile gestione che già li affliggono nelle relazioni in presenza. In questo caso si parla di “Poor Get Poorer” (“i poveri diventano più poveri”). Ovviamente, esistono anche altre teorie che cercano di spiegare il fenomeno della socializzazione online, secondo altre angolazioni e punti di vista. Tuttavia, sembra che questa si adatti particolarmente bene al fenomeno che stiamo vivendo. La scuola e le comunicazioni in generale, per un periodo che essenzialmente è ancora in corso, sono rese possibili solamente grazie alle tecnologie digitali; un grande vantaggio per chi ne ha le possibilità, ma uno svantaggio che va via via aumentando per chi, come accennato precedentemente, non ha gli strumenti, le possibilità economiche o logistiche, o anche solo le autonomie personali per utilizzarle.
Molti ragazzi che avrebbero potuto giovare della didattica a distanza come forma alternativa di apprendimento e di relazione, sono purtroppo rimasti esclusi da queste possibilità.
– Come, in questo campo possono esserci d’aiuto le tecnologie informatiche e la robotica?
– Le tecnologie digitali per la comunicazione (ICT) sono state il perno cruciale di tutto il periodo della pandemia. Volenti o nolenti, tutti abbiamo dovuto imparare a servircene e a sfruttarne le potenzialità per rimanere in contatto con i nostri parenti, amici, alunni. Hanno permesso a moltissime persone di continuare a lavorare, a studiare, tenendoci occupati e mantenendo almeno una parvenza delle abitudini che avevamo prima: alzarci, renderci presentabili e rispondere all’appello dell’insegnante o alle riunioni dell’ufficio, anche se solo attraverso un video. Per alcuni sono stata l’unica possibilità di comunicazione, di contatto umano; l’unico modo per non impazzire in un momento in cui il mondo sembrava essersi fermato in una condizione surreale. Il livello di sofferenza psicologica di tutti, tanto più delle persone fragili e degli adolescenti in generale, è aumentata vertiginosamente, tanto che anche gli specialisti hanno iniziato a fornire consulenze in via telematica.
In quanto membro del CTS di Venezia (Centro Territoriale di Supporto per gli studenti con disabilità della provincia), collaboro a progetti di acquisto e distribuzione di ausili e sussidi che le scuole possono ordinare per venire incontro alle esigenze specifiche dei loro alunni con disabilità. Tali progetti sono possibili grazie a dei bandi che prevedono l’impiego di appositi fondi ministeriali e prevedono l’assegnazione in comodato d’uso di materiali di ogni genere: dai dispositivi per le disabilità sensoriali, a sollevatori e deambulatori per la motricità; da giochi e strumenti che favoriscono l’inclusione, a strumentazioni informatiche per lo studio e la comunicazione. Quest’ultima categoria ha subito negli ultimi anni un aumento di richieste davvero notevole. Si tratta, probabilmente, di un effetto del Covid: ci ha permesso di capire quanto importante sia mantenere un’adeguata e costante comunicazione per e con i nostri alunni e ha dato una forte spinta verso la digitalizzazione anche a quei docenti che in precedenza preferivano metodi didattici più tradizionali.
– Quanto l’emergenza Covid ci ha permesso di imparare nel progresso della didattica delle disabilità e, soprattutto, quante di queste esperienze saranno capitalizzate e non disperse?
– Proprio quest’ultimo aspetto appare incoraggiante per il futuro: la pandemia ha costretto la scuola ad un brusco ingresso nel mondo del digitale, delle comunicazioni a distanza e dell’informatizzazione in generale.
Non è un processo inatteso e di recente comparsa; in realtà ha avuto inizio già dal 2015, con il Piano Nazionale della Scuola Digitale (PNSD); ma si sa, spesso, non affrontiamo le questioni che comportano dei cambiamenti finché non siamo costretti a farlo, finché non ne riconosciamo personalmente la reale necessità. Ebbene, il Covid ci ha messo di fronte a questa svolta, obbligando tutti, alunni e docenti, a prendere confidenza con le tecnologie digitali e con le nuove forme di didattica da esse veicolate. Una didattica più interattiva, più agile, capace di raggiungere tutti, in classe o a casa, fruibile da chiunque secondo i principi della personalizzazione e della classe rovesciata (Flipped Classroom), è sicuramente un aspetto che sarebbe auspicabile mantenere in futuro.
Un’altra cosa che la pandemia ci ha insegnato è, appunto, l’importanza della comunicazione, la possibilità di mantenerci in contatto, di dare parola a tutti, anche a chi solitamente ha delle difficoltà ad esprimersi, a non lasciare indietro nessuno. Perché, dopo tutta questa distanza, anche un solo banco vuoto in classe evoca sentimenti che fino a qualche tempo fa non avremmo mai pensato di provare a scuola e quando il volto del compagno o della compagna compare in un piccolo riquadro sullo schermo della lavagna, un ampio sorriso si allarga sul volto di tutti.