EXAGERE RIVISTA - Gennaio-Febbraio 2024, n. 1-2 anno IX - ISSN 2531-7334

Epidemia e fine dell’isolamento: come ripensare il labirinto?

di Pascal Neveu

(ITA/FRA – originale in fondo)

          Il labirinto ci ricorda immediatamente uno dei giochi della nostra infanzia, quello in cui dovevamo riuscire a far sortire una pallina da un labirinto senza farla cedere in profondità ignote, usando la nostra destrezza. Il mito di Arianna non è poi così lontano. Teseo la salvò dal Minotauro, mentre Icaro, figlio di Dedalo, avrebbe bruciato le sue ali troppo vicine al sole per fuggire dal labirinto. Al di là del simbolico, come possiamo uscire da un mondo in cui abbiamo vagato per settimane e soprattutto quali lezioni di speranza ne possiamo trarre?

Tutte queste settimane difficili, per non dire questi due mesi, ci hanno rinchiuso, imprigionato, senza poter conoscere una via d’uscita da questa crisi sanitaria. Abbiamo vagato, girovagando per la nostra casa, circolando attraverso le diverse dimensioni dell’appartamento, da soli o con le nostre famiglie … Abbiamo provato nuove, inaspettate, sensazioni psichiche, per alcuni inquietanti.

È la prima volta, dopo la seconda guerra mondiale che viviamo, in Europa e a livello mondiale, un tale labirinto quotidiano, la morte delle nostre abitudini giornaliere e lo spettro della malattia,  le notizie di amici, parenti, genitori malati o addirittura, purtroppo, deceduti.

La nozione di labirinto assume un significato di fronte a ciò che abbiamo vissuto, sofferto e che dobbiamo superare.

Erranti, persi di fronte alle nostre ansie legate al confinamento e anche a quelle legate alla fine di questo, come possiamo uscirne conservando la nostra salute fisica e mentale?

Il labirinto, come sappiamo, è allo stesso tempo una forma, una figura, un’immagine, un mito e un simbolo, molto utilizzato dalle arti. Ricordiamo romanzi come il Nome della rosa di Umberto Eco o la Divina commedia di Dante, senza dimenticare Alice nel paese delle meraviglie di Lewis Carroll o alcuni quadri come quelli di André Masson, in campo musicale  Arianna a Naxos di Monteverdi o Le petit labyrinthe di Marin Marais, nel cinema, ad esempio, Inception di Christopher Nolan, nonché nelle  discipline umanistiche, filosofia  e la psicoanalisi.

Il labirinto è, in definitiva, un invito a un viaggio virtuale, a una riflessione sulla permanenza di un simbolo che esercita sempre lo stesso fascino sull’uomo.

La prima immagine che mi viene in mente, quando parliamo del labirinto, è quella di una figura spaziale, un luogo da cui è molto difficile uscire a causa dell’estrema complicatezza della sua architettura. Questa immagine ha un significato universale e senza tempo. La figura del labirinto è ispirata all’antico mito di Teseo e del Minotauro, alla lotta dell’uomo sulle forze telluriche e sulle sue stesse debolezze. La sua intelligenza, determinazione e ingegnosità lo aiutano a superare tutte le prove per poter rivedere la luce ma, una volta terminato il combattimento, esso riacquista tutta la sua vulnerabilità.

Anche se i primissimi elementi architettonici sembrano provenire dall’antico Egitto, perché la più antica rappresentazione di un labirinto è stata trovata in una tomba risalente al Paleolitico (un labirinto di sette convoluzioni, circondato da quattro doppie spirali, tutte incise su un pezzo di avorio di mammut), sono state trovate varie tracce labirintiche  inscritte anche in luoghi sacri. Un edificio egiziano chiamato da Erodoto “labmrinqoz” è un tempio funerario del re Amenemhat III della XII dinastia (intorno al 2000 a.C.), situato a Hawara, a est di Fayoum.

La storia del Minotauro rimane, comque, uno dei miti fondanti della cultura occidentale. Dall’amore innaturale tra Minosse e Pasifae che nasce Asterios, un bambino mostruoso con un corpo umano e la testa di un toro, soprannominato il Minotauro. Questi, crescendo, sviluppò una tale forza erculea e una tale ferocia omicida che costrinse Minosse a ordinare, al suo architetto Dedalo, di costruirgli un palazzo con una pianta così complicata che il mostro non avrebbe mai potuto uscirne. Il palazzo comprendeva  tante stanze e corridoi con  passaggi inestricabili che non permettevano di trovare l’unica porta di uscita.

Vero percorso iniziatico, il labirinto simboleggia quindi il viaggio che l’uomo deve compiere attraverso le prove e le difficoltà della propria esistenza, dalla vita alla morte. Al centro del labirinto, deve uccidere il Minotauro, il suo Minotauro, simbolo delle forze oscure che ospita in lui, di animalità e di morte. Il labirinto, vale a dire il corpo in cui queste forze oscure sono rinchiuse, è il luogo teatrale di questo confronto. La vittoria sul Minotauro è quindi una vittoria su se stessi. Al suo centro c’è una mutazione, un risultato.

Successivamente ritroviamo, nell’Italia centrale e settentrionale, la presenza nelle chiese, di scene di combattimento raffiguranti il Minotauro o Teseo, come a Pavia o Lucca (XII-XIII secolo). E scene del labirinto sono altrettanto presenti. In Francia, il più grande labirinto è quello rappresentato nella Cattedrale di Chartres che misura quasi tredici metri di diametro e occupa l’intera larghezza della navata. Il suo percorso è lungo 294 metri. Sotto un’apparente semplicità, nasconde una straordinaria complessità di calcoli geometrici e astronomici. Il labirinto è, in questo caso, una rappresentazione del cosmo.

In psicoanalisi, il labirinto rappresenta la ricerca dell’identità, la sua complessità, l’uomo che si interroga sul suo destino. Da dove viene l’uomo, dove sta andando? A cosa serve questo breve sentiero che separa la nascita dalla morte?

E’ questo è il motivo per cui questa immagine è onnipresente nel corso della nostra vita.

Se ritroviamo il tema del labirinto in giochi molto antichi come quello della campana, e dal XVII secolo nei gioco dell’oca derivante dal gioco di Troia romano, è soprattutto nel XIX secolo che il labirinto diventa un hobby e un’attrazione di successo nelle fiere (la casa degli specchi). Il labirinto è definito come una costruzione con accesso unico. Il percorso non offre possibilità di scelta e termina al suo centro. Per uscire, devi seguire lo stesso percorso al contrario. Tuttavia, per molti di noi, il labirinto rinvia a un tragitto complicato in cui è difficile non perdersi.

E non bisogna dimenticare che, già nel XVIII secolo, furono creati labirinti da giardino, incluso quello di Versailles o i labirinti di siepi erano anche teatro d’incontri amorosi.

In psicoanalisi, l’inconscio è molto spesso simboleggiato da labirinti o corridoi (i meandri del pensiero). Nel labirinto, simbolo del subconscio, il Minotauro rappresenta proibizioni morali, sessualità e perversioni represse. Il labirinto s’impone come un sotterraneo o il centro di un luogo complesso destinato a nascondere una realtà vergognosa, le cui molteplici deviazioni devono impedire al Minotauro di andarsene. Teseo è, in definitiva, l’eroe rivelatore che assicura la vittoria dell’uomo sull’animalità e, spezzando la maledizione degli dèi, della luce sull’oscurità.

Pertanto, il labirinto risulta essere il percorso verso la conoscenza e la scoperta del sé, con le sue ombre e le sue bugie. Il suo centro è il luogo del faccia a faccia con se stessi.

Metafora di áncora di salvezza, il filo di Arianna simboleggia la linea di condotta che si deve seguire per realizzare la propria esistenza.

Di fronte alle nostre  prove attuali e alla fine dell’isolamento, come ripensare al  labirinto?

Lungi dal proporre un viaggio attraverso l’oscurità e la paura, il viaggio labirintico invita ciascuno di noi, alla fine di un viaggio nel tempo, a scoprire noi stessi e a riflettere sul destino umano, dimostrando che dobbiamo perseverare e non disperare.

Siamo nel bel mezzo di uno scontro tra un esterno inquietante, visto dai canali TV e purtroppo anche nel conteggio di morti, nel dolore del lutto, nella sofferenza dei caregiver, e un interno che non è mai stato così vivo e stimolante di fronte a tutti i nostri sentimenti.

Per gli egiziani, il labirinto era associato al culto dei morti, la “via” che l’anima del defunto doveva percorrere per ottenere l’immortalità.

Si tratta dunque per l’uomo di raggiungere il suo vero centro: il cuore. Lì può trovare se stesso e trovare la risposta alla sua esistenza.

In qualche modo dobbiamo sognare la nostra nuova vita. Il sorgere dell’ansia può essere una fonte di creatività. Il confronto con la solitudine, ad esempio, ha inevitabilmente generato movimenti psichici per il raggiungimento di altre forme di piacere, di scoperte …

I nostri labirinti onirici prendono spesso le sembianze di corridoi infiniti, gallerie oppressive, navate laterali, scale infinite, porte che si aprono sempre nello stesso posto o di un dedalo di stanze incalcolabili, come quelle di un castello dal quale non riusciamo ad uscire.

E questo è ciò che abbiamo vissuto attraverso questo confinamento.

Un vagare in noi. Un confronto con il meglio e il peggio di noi, senza dimenticare le frustrazioni, l’odio, i confronti, le gelosie …

Ma questa esperienza, almeno per me, e so che non è facile, è stata molto gratificante.

Perché lavorando sulle fonti, la morte che incombe, le nostre domande, tutte le nostre ansie echeggiano in questo labirinto da cui desideriamo venir fuori.

Perché nessuno, medici, politici, al momento può rassicurarci e, le fake news, ci imprigionano ancora di più in questo dedalo.

Nessuno può sapere come usciremo completamente da questo isolamento. Sappiamo che gli impatti psicologici e finanziari saranno catastrofici.

Ma soprattutto, il tuffo in questo labirinto interiore ci permette di pensare alla nostra vita, di pensarla diversamente perché, collettivamente, non dimenticheremo.

Il filo di Arianna è in noi. È quello della resilienza, ma anche della ragione, della padronanza delle proprie passioni, dell’assenza di un desiderio di vendetta inutile, del ritorno al buon vivere insieme e al piacere del dare e del ricevere.

I pensieri positivi sono gli unici in grado di portarci a trovare questo filo e uscire da questo labirinto che ci avrà insegnato tanto, anche se abbiamo dovuto affrontare i peggiori incubi …

« Niente è più tragico che incontrare un individuo senza fiato, perso nel labirinto della vita » (Martin Luther King)

***

(versione originale)

Le labyrinthe du déconfinement : quel fil tirer ?

Le labyrinthe nous rappelle immédiatement un des jeux de notre enfance où nous devions parvenir à faire sortir une bille d’un dédale sans sombrer dans des profondeurs inconnues, en maniant notre dextérité. Mais le mythe d’Ariane n’est pas si loin…  Thésée la délivrant du Minotaure alors que le fils de Dédale, Icare, allait ensuite se bruler les ailes trop proche du soleil. Au delà des symboliques, comment nous sortir d’un monde au sein duquel nous avons erré durant des semaines et surtout quelles leçons d’espoir en tirer ?

Toutes ces semaines éprouvantes, pour ne pas dire ces deux mois, nous ont enfermé, emprisonné, sans connaître la carte d’issue de cette crise sanitaire. Nous avons erré, tourbillonné chez nous, circulant à travers des surfaces d’appartements différentes, seul ou avec nos familles… Nous avons vécu des ressentis psychiques nouveaux, inattendus, pour certains perturbants.

C’est la première fois, depuis la seconde guerre mondiale que nous vivons en Europe et au niveau Mondial un tel labyrinthe de notre vie, de nos habitudes quotidiennes devenues mortes et de ce spectre de la maladie ainsi que l’annonce d’amis, de proches, de parents malades voire hélas décédés.

Et la notion de labyrinthe prend sens face à ce que nous avons vécu, subi et devons dépasser.

Errant, perdus face à nos angoisses liées au confinement mais aussi celles liées au déconfinement, comment en sortir en bonne santé physique et psychique ?

Le labyrinthe, comme nous le savons est tout à la fois une forme, une figure, une image, un mythe et un symbole, repris par les arts (écriture comme le Nom de la rose d’Umberto Eco ou la Divine comédie de Dante sans oublier Alice au pays des merveilles de Lewis Carroll, peinture comme certaines œuvres d’André Masson, musique comme Ariane à Naxos de Monteverdi ou Le petit labyrinthe de Marin Marais, cinéma comme Inception de Christopher Nolan), ainsi que les sciences humaines, de la philosophie à la psychanalyse.

Le labyrinthe est finalement une invitation à un voyage virtuel, à une réflexion sur la permanence d’un symbole qui exerce toujours sur l’homme la même fascination.

La première image qui nous vient à l’esprit quand on évoque le labyrinthe est celle d’une figure spatiale, un lieu d’où il est très difficile de sortir, du fait de l’extrême complication de son architecture, et cette image a une signification dont la portée est universelle et intemporelle. La figure du labyrinthe s’inspire du mythe antique de Thésée et du Minotaure, dans le combat de l’homme sur les forces telluriques et sur ses propres faiblesses. Son intelligence, sa détermination et son ingéniosité l’aident à surmonter toutes les épreuves pour rejoindre le jour, mais une fois le combat achevé, il retrouve toute sa vulnérabilité.

Même si les tous premiers éléments architecturaux semblent venir de l’Egypte ancienne, car la plus ancienne représentation d’un labyrinthe a été trouvée dans une tombe datant du paléolithique (un dédale de sept circonvolutions, entouré de quatre doubles spirales, le tout gravé sur un morceau d’ivoire de mammouth), différents tracés labyrinthiques ont été retrouvés s’inscrivant toujours dans des lieux sacrés. D’ailleurs un bâtiment égyptien appelé par Hérodote « labmrinqoz » est un temple funéraire du roi Amenemhat III de la XIIème dynastie (vers 2000 avant J.C.), situé à Hawara, à l’est du Fayoum

Mais l’histoire du Minotaure reste l’un des mythes fondateurs de la culture occidentale. C’est des amours contre nature entre Minos et Pasiphaé que naît Astérios, un enfant monstrueux au corps humain et à la tête de taureau, surnommé le Minotaure. En grandissant, celui-ci développe une telle force herculéenne et une sauvagerie meurtrière qui contraint Minos à ordonner à son architecte Dédale, de lui construire un palais d’une conception si compliquée que le monstre ne puisse plus jamais en sortir. Le palais comprenant tant de salles, et de couloirs compliqués que les couloirs inextricables ne permettaient pas de retrouver l’unique porte de sortie.

Véritable chemin initiatique, le labyrinthe symbolise donc le voyage que l’homme doit accomplir à travers les épreuves et les difficultés de sa propre existence, de la vie à la mort. Au centre du labyrinthe, il doit tuer le Minotaure, son propre Minotaure, symbole des forces obscures qu’il héberge en lui, de l’animalité et de la mort. Le labyrinthe, c’est à dire le corps où sont enfermées ces forces obscures, est le lieu théâtralisé de cet affrontement. La victoire sur le Minotaure est alors une victoire sur soi-même. En son centre s’opère une mutation, un accomplissement.

On retrouve plus tard, en Italie centrale et du nord, la présence dans les églises, des scènes de combat figurant le Minotaure ou Thésée, comme à Pavie ou Lucques (XIIème- XIIIème siècle). Et les scènes de labyrinthe sont très présentes. En France, le plus grand labyrinthe représenté est celui de la Cathédrale de Chartres qui mesure presque treize mètres de diamètre et occupe toute la largeur de la nef. Son parcours est long de 294 mètres. Sous une apparente simplicité, il cache une extraordinaire complexité de calculs géométriques et astronomiques. Le labyrinthe serait donc une représentation du cosmos.

En psychanalyse, le labyrinthe représente la quête d’identité, sa complexité, l’homme s’interrogeant  sur sa destinée. D’où vient l’homme, où va-t-il ? A quoi sert ce court chemin qui sépare la naissance de la mort ?

C’est la raison pour laquelle il est omniprésent dans notre parcours de vie.

Si on retrouve le thème du labyrinthe dans les jeux très anciens comme celui de la marelle, et à partir du XVIIème siècle dans les jeux de l’oie issu du jeu de Troie romain, c’est surtout au XIXème siècle que le labyrinthe devient un passe-temps et une attraction à succès dans les fêtes foraines (palais des glaces). Le labyrinthe se définit comme une construction ayant un accès unique. Le parcours n’offre aucune possibilité de choix et se termine en son centre. Pour en ressortir, il faut prendre le même chemin en sens inverse. Or, pour beaucoup d’entre nous, le labyrinthe renvoie à un parcours compliqué dans lequel il est difficile de ne pas s’égarer.

Et il ne faut pas oublier que dès le XVIIIème siècle on crée des labyrinthes jardins, dont celui de Versailles ou les labyrinthes de verdure étaient aussi le théâtre des « passions ».

En psychanalyse, l’inconscient est très souvent symbolisé par des labyrinthes ou des couloirs (les méandres de la pensée). Dans le labyrinthe, symbole du subconscient, le Minotaure représente les interdits moraux, la sexualité et les perversions refoulées. Le labyrinthe s’impose alors comme un souterrain ou le centre d’un lieu complexe destiné à cacher une réalité honteuse, dont les multiples détours doivent interdire au Minotaure toute sortie. Thésée est finalement le héros révélateur qui assure la victoire de l’humain sur l’animalité et, rompant la malédiction des dieux, de la lumière sur les ténèbres.

Ainsi, le labyrinthe se révèle être le chemin vers la connaissance et la découverte de soi avec ses ombres et ses mensonges. Son centre est le lieu du face à face avec soi.

Métaphore de l’aide salvatrice, le fil d’Ariane symbolise la ligne de conduite que l’on suit pour accomplir sa vie.

Face à nos épreuves actuelles et au déconfinement, comment penser ce labyrinthe ?

Loin de proposer un cheminement dans les ténèbres et dans l’effroi, le parcours labyrinthique invite chacun d’entre nous, au terme d’un voyage dans le temps, à une découverte de soi et à une réflexion sur la destinée humaine. Et prouvant qu’il faut persévérer et non désespérer.

Nous sommes dans une confrontation entre un dehors inquiétant, seulement vu par les chaînes télés et hélas le nombre de morts, les peines liées au deuil, la souffrance des soignants…,  et un dedans qui n’a jamais été autant vivant et interpelant face à tous nos ressentis.

Pour les Égyptiens, le labyrinthe était d’ailleurs associé au culte des morts, le « chemin » que l’âme du défunt doit parcourir pour gagner l’immortalité.

Il s’agit donc pour l’homme d’atteindre son centre véritable : le cœur. Là, il peut se trouver et trouver la réponse à son existence.

En quelque sorte il nous faut rêver notre nouvelle vie. L’existence d’une anxiété peut être source de créativité. La confrontation à la solitude, par exemple, a forcément engendré des mouvements psychiques de découvertes d’autres formes de plaisir, de découvertes…

Nos labyrinthes oniriques prennent le plus souvent l’expression de couloirs interminables, de galeries oppressantes, d’allées, d’escaliers sans fin, de portes qui s’ouvrent toujours sur le même lieu, ou encore un dédale de pièces incalculables, comme celles d’un château dont nous ne pouvons sortir.

Et c’est bien ce qu’à travers ce confinement nous avons vécu.

Une errance en nous. Une confrontation avec le meilleur et le pire de nous, sans oublier les frustrations, la haine, les comparaisons, les jalousies…

Mais cette expérience, en tout cas pour moi, et je sais qu’elle n‘est pas facile, a été très enrichissante.

Car en travaillant les sources, la mort qui plane sur nous, nos questionnements, toutes nos angoisses font écho avec ce labyrinthe dont nous souhaitons sortir.

Car personne, médecins, politiques, ne peuvent actuellement nous rassurer.

Et les Fake news nous emprisonnent encore davantage dans ce labyrinthe.

Personne n’est capable de savoir comment nous allons sortir totalement de ce confinement. Nous le savons, les impacts psychologiques et financiers seront catastrophiques.

Mais avant tout, cette plongée dans ce labyrinthe intérieur nous permet de penser à notre vie, de la penser différemment car  nous n’oublierons pas… de manière collective.

Et le fil d’Ariane est en nous. C’est celui de la résilience, mais aussi de la raison, de la maîtrise de ses passions, de l’absence de désir de vengeance inutile, du retour du bien vivre ensemble et de l’affect à donner et à recevoir.

Les pensées positives sont les seules capables de nous mener à trouver ce fil d’Ariane… et sortir de ce labyrinthe qui nous aura tant appris… même si nous aurons été confrontés aux pires cauchemars…

« Rien n’est plus tragique que de rencontrer un individu à bout de souffle, perdu dans le labyrinthe de la vie. » (Martin Luther King).

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