EXAGERE RIVISTA - Ottobre - Novembre - Dicembre 2024, n. 10-11-12 anno IX - ISSN 2531-7334

Famiglie immigrate, appartenenza e identità

di Federica Biolzi – Il numero dei minori stranieri, tra gli anni 2000-2011 ha conosciuto in Italia un incremento del 32%, raggiungendo, attualmente, circa il milione di presenze[1]. La stragrande maggioranza dei minori stranieri, è presente nel nostro territorio nazionale anche in conseguenza delle recenti migrazioni internazionali: minori immigrati al seguito di genitori migranti per lavoro o per motivi umanitari, con essi ricongiunti; minori nati in Italia da genitori immigrati stranieri (cosiddetta seconda generazione);  minori che hanno intrapreso da soli una migrazione, sempre spinti da motivazioni di ordine economico o umanitario (minori stranieri non accompagnati, cioè privi di figure adulte di riferimento) o, ancora, minori vittime dei fenomeni di tratta (human trafficking migrant smuggling) concomitanti alle attuali migrazioni internazionali.

Sicuramente i due maggiori fattori di crescita che permangono negli anni sono: le nuove nascite in Italia  e i ricongiungimenti familiari dall’estero. Di questi, almeno il 35%, riguarda minori che raggiungono i propri genitori.

Questi ragazzi, convivono con tutte le problematiche dovute alla doppia “appartenenza” e alla “disidentificazione” rispetto alla cultura d’origine. Queste possono, nel corso del tempo, sfociare in un’assimilazione incondizionata  ai modelli giovanili  del paese di accoglienza e in conseguenza accrescere tensioni all’interno della famiglia o, all’opposto, in una chiusura iperidentitaria di natura reattiva rispetto ai modelli del Paese di immigrazione.

Favaro[2] parla di ambivalenza identitaria, dove si viene a creare un forte conflitto tra il passato, le origini ed il presente. Perché ciò non accada e non si configuri un conflitto intergenerazionale, è necessaria una sorta di doppia autorizzazione, cioè che i genitori autorizzino  figli a vivere appieno la nuova realtà, la cultura, la lingua italiana e i suoi valori, e che i figli di seconda generazione autorizzino i genitori ad appartenere alla loro cultura d’origine senza rinnegarla.

Bindi (2005)[3] afferma che i conflitti intergenerazionali sono marcati in tutti i contesti in cui la rete allargata della comunità immigrata risulta più debole e in cui i gruppi di adolescenti e persino i bambini sono lasciati soli nell’affrontare il confronto, con i loro coetanei autoctoni. La sociologia relazionale ci insegna che la funzione di bridging (cioè di ponte culturale e generazionale) non può essere separata  da quella di bonding, cioè della creazione e dal mantenimento di legami forti con le famiglie e le comunità d’origine.

Di fatto, come riportato nella ricerca finanziata dal Cnel nel 2011[4], la provenienza culturale e la presenza attiva della famiglia influenzano le scelte di vita, l’accesso o meno a livelli di istruzione che possono essere più o meno elevati, le scelte di genere e di ruolo dei figli, poi di genitori. La posizione di bridging nei ragazzi di seconda generazione, può, da un lato far leva sul senso di riconoscenza per creare il desiderio di saldare il debito che i figli  sentono nei confronti dei propri genitori emigrati, per migliorare la propria qualità di vita e la relazione nel nuovo contesto di vita. Ma soprattutto per consentire ai figli una situazione di maggior benessere. D’altra parte, può dar luogo ad un conflitto con cui la seconda generazione sente di doversi confrontare per la sua doppia appartenenza culturale, con tutto ciò che comporta in termini di “lealtà familiari”[5].

Queste problematiche possono  portare a diverse forme di identificazione, rispettivamente con il ruolo materno o  paterno. Generalmente la madre finisce per incarnare il ruolo di “custode della tradizione”, il momento di confronto ma anche di scontro nella quotidianità  con i propri figli, l’appartenenza o la differenziazione culturale. La figura del padre riveste quella di una particolare visione del mondo maschile e dei “diritti” dello stesso, che può generare conflitti sia  esterni che  interni alla famiglia.

I figli degli immigrati  si trovano ad assumere un ruolo particolare: i genitori possono incontrare difficoltà di integrazione della nuova società, ma per i bambini, per natura più adattabili, il problema non si pone negli stessi termini. Imparano la lingua con relativa facilità e trovano amici tra i compagni di scuola. Per i genitori diventano gli interpreti sia della lingua che dei modi di vita della nuova società.

La presenza dei figli  viene così a creare un legame tra la famiglia, l’ambiente ed il contesto di vita nel paese straniero in cui si ritrovano a vivere. I genitori capiranno meglio la società di cui fanno parte se i bambini condurranno la vita degli altri bambini: andare a  scuola, al parco a giocare, ecc.. In questo senso, il bambino può essere il “canale”  di comunicazione e di interazione  per il genitore adulto appartenente ad un’altra cultura, ma ora in questa cultura.

Al fatto che un bambino sia ben adattato  alla vita del paese in cui si trova, che parli la lingua senza difficoltà, che pensi e si comporti come gli italiani, i francesi, ecc., si contrappone il fatto  che è inadeguato alla vita in famiglia, dove i genitori parlano un’altra lingua, conservano altre tradizioni e non sono in grado di giudicare imparzialmente tipi diversi di comportamento.[6]

“L’immigrato della prima generazione si trova ad affrontare problemi ben definiti, trova molto difficile l’adattamento. Ma per quanto siano grandi le difficoltà, può ricorrere al conforto delle proprie  radici culturali e della sua famiglia d’origine. Può soffrire di nostalgia, può rimpiangere di essere emigrato ma, per lo meno, non ha dubbi sulla propria identità: è fondamentalmente un espatriato che deve trovare la strada per adattarsi al nuovo paese.”

Il figlio dell’immigrato invece si trova di fronte ad un problema più sottile: se è nato nel nuovo paese non ha niente che lo protegga quando si sente respinto dalla società ospite. Si trova nella difficile posizione di chi sta con un piede in due mondi separati. Mentre i genitori pretendono che egli segua la loro cultura e le loro tradizioni e che si senta legato a una “patria” che non ha mai visto, egli cerca disperatamente di appartenere  all’unico paese che conosce. Ma la società di questo paese insiste a consideralo uno straniero, e lui, che vi è nato, si sente a volte dire “torna da dove sei venuto”. I minori immigrati si trovano coinvolti in molteplici passaggi: dal paese di origine a quello che li ospita, dalla cultura familiare a quella della scuola, dal mondo interno della dimora a quello esterno, dai suoni familiari e affettivi della lingua madre alle parole indecifrabili della seconda lingua. Gli studi psicologici, psichiatrici e sociologici hanno mostrato gli effetti traumatici prodotti dall’immigrazione nei minori che ne sono, più o meno direttamente, protagonisti. Effetti che permangono anche dopo il passaggio dalla prima alla seconda generazione. La separazione, l’ elaborazione del lutto ed i processi di rimodellamento identitario, pongono l’accento sul clima di conflitto interetnico e interculturale in cui essi avvengono. Si evidenziano in alcuni studi, aspetti “positivi” dell’immigrazione intesa come evento che mette alla prova la capacità degli individui di superare i traumi che ogni cambiamento ed ogni momento di passaggio comporta.

L’etnopsichiatria e l’etnopsicoanalisi (Nathan  Zajde, 2013[7]; Moro, 2001[8]) mostrano  invece, come nelle famiglie immigrate si possano riscontrare dinamiche affettive e problemi relazionali specifici che condizionano i processi di individuazione e separazione, l’assunzione di ruoli legata all’identità di genere, la trasmissione delle regole, il rapporto tra obiettivi di realizzazione personale e identità sociale . Per questo motivo è molto importante cercare di andare oltre le apparenze e le nostre  convinzioni,  per cogliere il modo in cui si declinano i ruoli affettivi familiari e in cui un adolescente di un’altra cultura realizza i suoi compiti evolutivi.

Una madre sudamericana che lascia un figlio nel paese d’origine può essere mossa da necessità economiche e non da disaffezione, svolgendo anche da lontano il proprio compito di garantirne la sopravvivenza.

La cultura quindi, è lo sfondo  su cui leggere le dinamiche dei ruoli familiari .  In realtà l’approccio multiculturale  non riguarda solo le famiglie dei paesi dell’Est  o extracomunitarie. Ogni famiglia, infatti, ha una sua cultura, se per cultura intendiamo un sistema di valori e dei modi di interpretare i ruoli affettivi, il modo di essere maschio o femmina, padre o madre e quello che ci si aspetta dai figli. In una famiglia italiana questo sfondo si coglie in modo particolare prestando attenzione alla tradizione e alla dimensione transgenerazionale. Per aiutare gli adolescenti e i loro genitori è utile  entrare nella storia della famiglia. Ed è per questo che anche nelle famiglie immigrate, non deve venir meno il dialogo e la narrazione reciproca delle esperienze, di ed in paesi e regioni diversi. Il rischio è quello di adattarsi, o meno,  meccanicamente al paese in cui si vive. Mantenere nella genitorialità, nel dialogo, nella comunicazione, nel confronto e nell’incontrarsi nelle differenze, costituisce il percorso di crescita e di speranza per favorire  la relazione  tra il mondo interno ed  esterno alla stessa famiglia.

BIBLIOGRAFIA

  • Affari Sociali internazionali  IDOS-Quaderno n.1 Immigrazione e seconda generazione, 91-94  anno 2013
  • Bindi L., Bambini, adoloscenti e giovani stranieri. L’indagine qualitativa, in Uscire dall’invisibilità Bambini e adolescenti di origine straniera in italia, Unicef 2005
  • Favaro, Prove di integrazione. Le ragazze e i ragazzi delle terre di mezzo, in AA. VV., Una generazione in movimento. Gli adolescenti e i giovani immigrati, Atti dell’VIII Convegno Nazionale dei Centri Interculturali, Franco Angeli Editore, Milano 2007
  • Fondazione Silvano Andolfi (a cura di), La qualità della vita nelle famiglie immigrate in Italia, Franco Angeli Editore, Milano 2000
  • Fondazione Silvano Andolfi  (Ricerca a cura di), finanziata dal Consiglio Nazionale dell’Economia e del Lavoro, Le seconde generazioni e il problema dell’identità culturale: conflitto culturale o generazionale? Roma 4 Aprile 2011
  • Moro M.R., Bambini Immigrati in cerca di aiuto. I consultori di psicoterapia transulturale, tr. It. Utet, Torino 2002
  • Nathan T.,Zhajde N., Psicoterapia democratica, tr.it. Rafaello, Cortina,Milano 2013
  • Pollini G., Scidà G., Sociologia delle migrazioni e della società multietnica, Franco Angeli Editore, Milano 2002
  • Stephen Castles-Godula Kosack, Immigrazione e struttura di classe in Europa Occidentale, traduzione italiana a cura di Ghilla Roditi, Franco Angeli Editore, Milano 1976

 

            SITOGRAFIA

www.asgi.it

www.cittalia.it

www.dossierimmigrazione.it

www.minoriefamiglia.it

www.secondegenerazioni.it

[1] Da affari sociali internazionali, ed. IDOS- Quaderno n.1 anno 2013 “Immigrazione e seconda generazione”p.91

[2] G. Favaro, Prove di integrazione. Le ragazze e i ragazzi delle “terre di mezzo”, in AA. VV., Una generazione in movimento. Gli adolescenti e i giovani immigrati, Atti dell’VIII Convegno Nazionale dei Centri Interculturali, Franco Angeli, Milano 2007

[3] Bindi L., Bambini, adoloscenti e giovani stranieri. L’indagine qualitativa, in Uscire dall’invisibilità.Bambini e adolescenti di origine straniera in italia, Unicef 2005

[4] Fondazione Silvano Andolfi  (Ricerca a cura di), finanziata dal Consiglio Nazionale dell’Economia e del Lavoro “Le seconde generazioni e il problema dell’identità culturale: conflitto culturale o generazionale?” Roma 4 Aprile  2011

[5] Pollini G., Scidà G., Sociologia delle migrazioni e della società multietnica, Franco Angeli, Milano 2002

[6] Stephen Castles-Godula Kosack Immigrazione e struttura di classe in Europa Occidentale, traduzione italiana a cura di Ghilla Roditi, Franco Angeli Editore, Milano, 1976

[7] Nathan T.,Zhajde N., “Psicoterapia democratica”, Tr.it. Rafaello, Cortina,Milano 2013

[8]Moro M.R., Bambini Immigrati in cerca di aiuto. I consultori di psicoterapia transulturale, tr. It. Utet, Torino 2002

 

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