EXAGERE RIVISTA - Ottobre - Novembre - Dicembre 2024, n. 10-11-12 anno IX - ISSN 2531-7334

Formazione fra complessità, competenze e contesti

di Giacomo Dallari

“Conoscere comporta necessariamente informazioni,

cioè possibilità di sciogliere delle incertezze.

Ma la conoscenza non si riduce a delle informazioni;

 la conoscenza ha bisogno di strutture teoriche

per poter dare un senso alle informazioni …”

E.Morin, Scienza con coscienza, Franco Angeli,

Milano, 3^Edizione, 1988, p.86.

 

La complessità

 

La complessità è uno degli elementi che caratterizzano in modo assai significativo gli ambienti educativi e didattici e tutti quei luoghi nei quali si instaurano relazioni che tout court potremmo definire pedagogiche. Ciò è dovuto al fatto che in una società caratterizzata da forti mutamenti strutturali, da dinamiche sempre meno prevedibili e da ingranaggi discontinui e in frenetica evoluzione, si avverte la necessità di ripensare la struttura portante dei dispositivi sociali che utilizziamo per dotare i nostri bambini e i giovani  di un apparato strumentale in grado di decodificare e dare significato alla realtà circostante, trovare una propria dimensione collettiva e sociale ed esercitare un buon grado di controllo sulla propria vita privata e lavorativa.

Nelle Indicazioni Nazionali del 2012 tale sfida viene riconosciuta e accettata nel momento in cui si afferma che «in un tempo molto breve, abbiamo vissuto il passaggio da una società relativamente stabile a una società caratterizzata da molteplici cambiamenti e discontinuità. […] Il paesaggio educativo – prosegue il documento – è diventato estremamente complesso. Le funzioni educative sono meno definite di quando è sorta la scuola pubblica»[1]

La linearità dei percorsi scolastici, che per molti decenni ha caratterizzato i nostri sistemi di istruzione, ha lasciato il campo ad una visione della formazione e dell’educazione maggiormente circolare, dinamica e sistemica nella quale i classici costrutti che hanno sorretto l’impianto pedagogico tradizionale hanno subito un radicale cambiamento concettuale e metodologico.

La linearità e la staticità dei percorsi formativi trovavano la loro giustificazione pratica ed operativa nel fatto che la società ricalcava fedelmente tale condizione, era cioè stabile e lineare e ciò lasciava spazio ad una prevedibilità che sorreggeva e strutturava lo stesso assetto comunitario, economico, lavorativo e sociale: erano ben chiare le conoscenze – chiave, gli assetti valoriali di riferimento, le modalità di interrelazione e di comunicazione,  le prassi educativo – didattiche e le richieste provenienti dal mondo del lavoro erano maggiormente definite o, quantomeno, rimanevano immutate per un lungo periodo.

Nel modello tradizionale di istruzione la parola chiave era quella di programma che a sua volta si costituiva sulla base di conoscenze precise, contenuti classici, ripetibili e spendibili sia a livello sociale che a livello culturale, economico e professionale. Ai soggetti era richiesto di trovare il loro spazio all’interno di un corpus didattico predeterminato nel quale, in modo fortemente lineare, i contenuti andavano a definire gli obiettivi che a loro volta erano tradotti e organizzati sistematicamente in modo evidente, suddivisi in un arco temporale definito e verificati attraverso il livello di memorizzazione dei contenuti stessi. Il processo di apprendimento, in tal modo, era dotato di una buona dose di autoreferenzialità metodologica, contenutistica ed esecutiva: le discipline, suddivise in contenuti specifici, andavano a costituire il bagaglio culturale minimo considerato necessario; esse venivano poi comunicate ai soggetti attraverso un impianto di trasmissione codificato e standardizzato; gli alunni dovevano imparare i contenuti, reiterarli e ripeterli attraverso un sistema basato sulla quantità dei contenuti appresi; la parte finale di tale processo era rappresentata dalla valutazione del livello di memorizzazione che assicurava, o meno, il passaggio ad un livello di apprendimento successivo e più complesso.

I sistemi scolastici, dunque, non avvertivano la necessità di mettere in discussione la loro autorità conoscitiva ed operativa in quanto la reiterazione dei contenuti stessi assicurava l’efficacia dell’agito educativo e non necessitavano una forma di negoziazione e di confronto, almeno per ciò che concerneva il loro assetto globale.

Attualmente, in una società che ha smarrito la propria prevedibilità strutturale e che ha modificato sostanzialmente le proprie dinamiche lineari e statiche, ai sistemi di istruzione è richiesto di modificare profondamente il proprio impianto strumentale e le proprie prassi a partire dall’idea degli attori protagonisti stessi di tali sistemi, cioè i soggetti in formazione i quali, da semplici fruitori di un servizio, diventano soggetti attivi del loro percorso di crescita. «Le finalità della scuola – si legge infatti nelle Indicazioni Nazionali del 2012 – devono essere definite a partire dalla persona che apprende. […] Lo studente è posto al centro dell’azione educativa in tutti i suoi aspetti: cognitivi, affettivi, relazionali, corporei, estetici, etici, spirituali e religiosi. In questa prospettiva, i docenti dovranno pensare a realizzare i loro progetti educativi e didattici non per individui astratti, ma per persone che vivono qui e ora, che sollevano precise domande esistenziali e che vanno alla ricerca di orizzonti di significato»[2].

Ovviamente non è mutato l’obiettivo del sistema scolastico, il quale rimane il principale artefice, insieme alle famiglie, del percorso di maturazione dei giovani. Ciò che va mutando riguarda in particolar modo l’impianto metodologico e operativo dei sistemi di istruzione e il rapporto che essi intrecciano con l’assetto comunitario e culturale di riferimento, scandito da fasi temporali attualmente sempre meno determinate e stabili. Il tempo della formazione, per esempio, non è più un costrutto così solido rispetto a qualche decennio fa. Oggi, infatti, il tempo per la formazione, cioè quel periodo che ognuno di noi dedica alla propria crescita culturale, professionale e sociale, ha perso la sua rigidità e ha dilatato la sua efficacia. In una società come quella attuale, dove la formazione diviene una necessità che sempre più spesso ci accompagna per gran parte della nostra vita, si avverte forte il bisogno di ridefinire e ripensare il concetto di apprendimento non solo basato esclusivamente sul paradigma dei contenuti, strutturati in programmi e curricoli, ma centrato sul concetto di esperienze e attitudini personali dove il tempo si dilata e diviene, esso stesso, uno strumento di conoscenza e una risorsa per l’apprendimento.

La parola chiave di tale cambiamento è racchiusa nel concetto, molto complesso e notevolmente più articolato, di competenze che, per la loro natura più profonda, non possono essere rinchiuse nelle strette maglie delle sole conoscenze e non possono trovare nella memorizzazione e nella reiterazione un adeguato strumento di acquisizione, di elaborazione e di valutazione.

Il concetto di competenza, infatti, rimanda ad un insieme integrato e complessivo di risorse che non esclude le conoscenze, ma le include e le integra con le abilità del soggetto e con le sue qualità umane. La competenza, a differenza della nozione acquisita, non è di per sé una risorsa, ma è una modalità più o meno adeguata di utilizzare le risorse nel modo e nel momento migliore. Essa coinvolge l’assetto pluridimensionale della persona che, di fronte a situazioni problematiche, attiva e mette in campo ciò che conosce e ciò che sa fare, senza escludere tutto ciò che lo appassiona e lo motiva, in un continuum che abbraccia e include tutte le componenti evolutive e funzionali proprie del soggetto.

Il fulcro principale di un approccio simile risiede nell’idea che ogni azione umana e ogni atto umano abbiano in sé un valore formativo e che le conoscenze, più che costituite da nozioni stratificate, siano da intendersi quali risorse da utilizzare e modificare continuamente. Di fronte ad un assetto societario che richiede con forza una maggiore attitudine al cambiamento, che ci sprona continuamente a reinventare in nostri ruoli sociali, professionali e individuali, le competenze rivestono un ruolo determinante nel dare forma agli individui intesi come persone, studenti, lavoratori e cittadini.

 

Le competenze

 

È sempre un’impresa ardua definire in modo chiaro ed esaustivo un concetto, tantomeno quando questo – quello di competenza – più che ad un significato ben definito in termini strutturali, rimanda ad un insieme di abilità che collaborano fra loro, che emergono nei differenti contesti di vita, a volte con forme assolutamente eterogenee e dissimili fra loro.

Provando a trovare un punto di sintesi, potremmo definire una competenza come una capacità di mediazione fra gli aspetti interni di un individuo, come le componenti cognitive, affettive, conoscitive e relazionali e le richieste provenienti dall’esterno e le risorse disponibili in un dato momento e in una determinata fase della vita.

Anche se potrà apparire strano, in questa sede prendiamo in prestito il significato etimologico che la competenza ha in ambito medico, in particolare per quanto riguarda lo sviluppo embrionale. Nel linguaggio medico, infatti, la competenza riguarda la capacità del nostro organismo di generare, in una determinata fase dello sviluppo, un determinato organo[3]. Generalizzando potremmo quindi definire la competenza come una forza generatrice, come una struttura che genera altre strutture più complesse.

Tale forza generatrice viene riconosciuta anche all’interno delle pratiche educative e didattiche.«Le competenze sviluppate nell’ambito delle singole discipline – si legge infatti nelle Indicazioni nazionali del 2012 – concorrono a loro volta alla promozione di competenze più ampie e trasversali, che rappresentano una condizione essenziale per la piena realizzazione personale e per la partecipazione attiva alla vita sociale […]»[4].

Nell’ambito dell’educazione e dell’istruzione tale concezione delle competenze ha un grande valore di tipo procedurale e pratico. Spostare l’attenzione sulle competenze, infatti, significa in prima analisi lavorare per dotare gli individui di una capacità di costruire strutture di significato flessibili e spendibili nei diversi contesti con i quali si relazionano. Significa, inoltre, accettare che i tradizionali modelli educativi, basati sulla trasmissione delle conoscenze e sull’autoreferenzialità dei pattern educativi, lascino il campo ad un approccio basato in particolar modo sulle capacità di generare conoscenze, di modificare il proprio assetto comportamentale, di dare vita a nuove reti concettuali non più prese in prestito da qualcuno o apprese come realtà date una volta per tutte e immutabili, ma concepite per rispondere in modo adeguato alle diverse istanze provenienti dal mondo esterno.

Un approccio semplicistico e riduzionista potrebbe far pensare che le competenze si basino sulla tradizionale dicotomia fra pensiero ed azione e sull’opposizione fra il sapere, frutto dell’accumulo di nozioni stratificate e il saper fare, diretta conseguenza dell’azione educativa. In realtà, all’interno del concetto di competenza è contenuto il principio per cui in ogni atto che definiamo competente sono contenute le conoscenze e le abilità che ognuno di noi possiede, compresa la possibilità di attivarle, di utilizzarle e di mobilizzarle nel proprio contesto evolutivo. L’assunto di base consiste nel considerare l’apprendimento come un processo nel quale sapere e saper fare coincidono in quanto i contenuti delle singole discipline e le nozioni sono utili in relazione alle abilità, che in tal modo diventano competenze.

Non è un caso, infatti, che il Parlamento Europeo e il Consiglio dell’Unione Europea nel 2006 abbiano pubblicato una serie di raccomandazioni relative alle competenze chiave per l’apprendimento permanente[5]. Per competenze chiave si intendono quelle competenze fondamentali che consentono l’acquisizione di competenze successive, di tipo specialistico e settoriale. Esse, in particolare,  si basano sul senso di autoefficacia e di autocontrollo, cioè sul fatto che, prima ancora di un bagaglio di conoscenze specifiche, gli individui abbiano bisogno di un senso di padronanza tale da consentirgli di gestire le proprie scelte in modo efficace, di porsi degli obiettivi realistici e di attivare risorse e abilità spendibili.

Le competenze chiave, si legge nel documento, vengono definite come «una combinazione di conoscenze, abilità e attitudini appropriate al contesto. […] sono quelle di cui tutti hanno bisogno per la realizzazione e lo sviluppo personali, la cittadinanza attiva, l’inclusione sociale e l’occupazione». Esse si articolano in otto punti:

  • Comunicazione nella madrelingua;
  • Comunicazione nelle lingue straniere;
  • Competenza matematica e competenze di base in campo scientifico e tecnologico;
  • Competenza digitale;
  • Imparare a imparare;
  • Competenze sociali e civiche;
  • Senso di iniziativa e imprenditorialità;
  • Consapevolezza ed espressione culturale.

 

L’approccio per competenze, di fatto, amplia in modo assai significativo le modalità didattiche possibili e le pratiche connesse ai processi di apprendimento. Introdurre all’interno delle nostre scuole la logica delle competenze non significa eliminare le conoscenze e neppure trascurare i contenuti delle singole discipline, ma creare un contesto didattico che sappia mettere al centro del proprio lavoro la persona che apprende. Il sapere, in questa nuova dimensione, diviene il risultato di una interrelazione, di un interscambio fra il soggetto chiamato ad apprendere e la realtà e l’insegnante diviene un mediatore e una risorsa per la costruzione di situazioni di apprendimento.

In tal senso, l’approccio didattico centrato sulle competenze coinvolge tutti gli attori protagonisti del processo di apprendimento, i quali sono chiamati costruire e a condividere i saperi.

 

I contesti

 

Indipendentemente dalle difficoltà che si possono incontrare nel definire il concetto di competenza, è indispensabile delinearne un contesto di riferimento, cioè un luogo nel quale essa assume un valore formativo ed educativo. La competenza, infatti, è strettamente legata all’aspetto temporale e situazionale delle vicende umane. Essendo un complesso di risorse, la competenza è tale quando emerge nel momento in cui un individuo è chiamato ad affrontare una situazione problematica e agisce come mediatrice fra le risorse personali del soggetto chiamato ad agire, le sue conoscenze e le sue abilità.

Non è un caso, infatti, che oggi il lessico delle scienze dell’educazione e della didattica preferisca adottare termini come “situazione di apprendimento” o “ambiente di apprendimento” in antitesi al modello centrato sul paradigma dell’insegnamento.

In un’accezione abbastanza ampia potremmo definire un ambiente o una situazione come una realtà che abbraccia e include al suo interno sia la realtà fisica vera e propria, sia tutta quella serie di istanze che caratterizzano l’agire delle persone. Un ambiente è anche un luogo mentale, uno spazio relazionale nel quale sono in gioco gli aspetti comunicativi, emotivi, affettivi e relazionali. In esso si verificano interazioni volontarie e organizzate, ma anche interazioni involontarie, dettate dalle circostanze più eterogenee.

La scuola oggi riconosce l’importanza della persona come soggetto in continuo rapporto con le realtà circostanti, inserito in un macrocosmo ampio e complesso nel quale il contesto non è semplicemente uno sfondo dell’agire formativo. «Da un lato tutto ciò che accade nel mondo influenza la vita di ogni persona – viene precisato nelle Indicazioni Nazionali del 2012 – dall’altro, ogni persona tiene nelle sue stesse mani una responsabilità unica e singolare nei confronti del futuro dell’umanità»[6].

Anche in questo caso, però, è opportuno procedere con alcune precisazioni che possano liberare il campo da possibili fraintendimenti circa il vero significato di contesto e, soprattutto, di come esso agisca in rapporto alle funzioni educative.

Già nel 1930 John Dewey aveva affermato che ogni comportamento umano, compreso l’attività del conoscere, non può essere visto come un atto appartenente unicamente al soggetto, ma come un processo che agisce nel sistema organismo – ambiente. Molte volte, nel momento in cui pensiamo al contesto, ci riferiamo ad una serie di elementi separati e statici che interagiscono con il soggetto. In questo senso i processi di apprendimento rimangono un qualcosa che avviene all’interno di determinati contesti, pertanto l’ambiente viene definito a prescindere dal soggetto che vi è inserito. In un’ottica evolutiva e “contestualistica”, al contrario, l’ambiente ha una valenza  pluridimensionale che include ambienti fisici, relazioni sociali, dinamiche relazionali, prodotti materiali e immateriali della cultura di riferimento. In tal senso l’apprendimento non avviene nei diversi contesti ma attraverso essi, essendo soggetto e contesto strutturalmente intrecciati.

Riferendoci agli studi condotti da Gregory Bateson[7] potremmo  parlare di ambiente di apprendimento come un luogo nel quale avviene un processo di coevoluzione  che coinvolge insegnanti e studenti, insegnanti e famiglie, operatori e ambiente.

L’apprendimento situazionale viene quindi ad essere il luogo privilegiato per lo sviluppo delle competenze in quanto il contesto diviene l’occasione per acquisire consapevolezza, per mettere alla prova le proprie potenzialità e per utilizzare le proprie risorse all’interno di uno spazio di azione strutturato e intenzionale nel quale si verificano interazioni, si co-costruiscono reti di significati e nel quale gli studenti possano fare esperienza significative. Un individuo competente, come scrive Trinchero, «non è chi possiede un grosso stock di risorse, ma chi è in grado di mobilitare efficacemente tali risorse per affrontare una situazione  contingente. […] Sviluppare una competenza nel soggetto significa lavorare sulle condizioni che lo portano a mobilitare efficacemente le proprie risorse in relazione ad una situazione – problema, allo scopo di proporre risposte efficaci, che ne esprimono la piena responsabilità ed autonomia»[8].

Tutto ciò, ovviamente, ha bisogno di un cambio di paradigma operativo e teorico che sappia andare oltre l’idea dell’apprendimento come fatto che avviene unicamente nel soggetto e che abbracci l’idea del processo formativo come sistema complesso nel quale il soggetto è strutturalmente considerato insieme a tutto ciò che lo circonda in modo tale che la stessa realtà diventi una risorsa per l’apprendimento. Creando un legame fra gli apprendimenti, la realtà, le esperienze e la vita quotidiana è possibile attribuire ai nostri sistemi di istruzione una nuova e più forte autorevolezza e significatività e riconsegnare alla scuola l’importanza e la centralità che merita e le competenze appaiono, oggi, come l’unico costrutto possibile per favorire e rendere efficaci questi cambiamenti.

[1] Indicazioni Nazionali per il curricolo della scuola dell’infanzia e dl primo ciclo di istruzione, MIUR, Settembre 2012, p.4.

[2] Indicazioni Nazionali per il curricolo della scuola dell’infanzia e dl primo ciclo di istruzione, MIUR, Settembre 2012, p.5.

 

[3] Si veda http://www.treccani.it/vocabolario/competenza/, punto n.3.

[4] Indicazioni Nazionali per il curricolo della scuola dell’infanzia e dl primo ciclo di istruzione, MIUR, Settembre 2012, p.43.

[5] Raccomandazione del Parlamento Europeo e del Consiglio del 18 dicembre 2006 relativa a competenze chiave per l’apprendimento permanente, 2006/962/CE.

[6] Indicazioni Nazionali per il curricolo della scuola dell’infanzia e dl primo ciclo di istruzione, MIUR, Settembre 2012, p.7.

[7] Per un approfondimento si consiglia: Bateson G., Verso un’ecologia della mente, Adelphi, Milano, 1976;  Bateson G., Mente e natura, Adelphi, Milano, 1984.

[8] Trinchero R., Costruire, valutare, certificare competenze. Proposte di attività per la scuola, Franco Angeli, Milano, 2012, pp.34-35.

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