…et nos cedamus amori
(Virgilio, Bucoliche)
L’amore secondo Kafka, questa la traduzione italiana del titolo originale The Glory of Life del lungometraggio dei registi Georg Maas e Judith Kaufmann, ispirato all’ultimo anno di vita dello scrittore praghese Franz Kafka uscito il 31 ottobre 2024 nelle sale cinematografiche italiane quasi a voler concludere idealmente le celebrazioni del centenario della sua morte. Il film trae spunto inoltre dal romanzo Die Herrlichkeit del Lebens (2011) di Michael Kumpfmüller tradotto in Italia con il titolo La meraviglia della vita ed edito da Neri Pozza nel 2013.
La prima inquadratura indugia su un nastro color bordeaux, che sventola in balia dei venti marini, trattenuto e legato alla costola di una panchina. Questo nastro si rivelerà essere un pegno, una promessa d’amore tra lo scrittore (interpretato da Sabin Tambrea) e Dora Diamant (interpretata da Henriette Confurius) la giovane di cui si innamora perdutamente nell’ultimo anno della sua vita e con cui visse a Berlino da fine settembre 1923 fino a metà marzo 1924. Un amore ricambiato e felice malgrado la certezza che la storia sia destinata a naufragare e terminare presto per la tubercolosi che affligge lo scrittore. Da qui ha inizio un lungo flashback in cui è riassunta la breve, seppur intensa, parabola amorosa.
La trama infatti è estremamente essenziale: nel 1923, Kafka, in vacanza con la sorella e i nipoti, presso Graal-Müritz, una località balneare sul mar Baltico, vede una ragazza danzare sulla spiaggia al tramonto con una grazia e una leggiadria che lo rapiscono: è Dora Diamant. La giovane, volontaria nella località presso una colonia di bambini ebrei, inizia a parlare e fare lunghe passeggiate con lo scrittore da cui rimane sedotta per la cultura e per i modi garbati e gentili. I due hanno in comune l’origine ebraica ma vivono condizioni psico-fisiche assai diverse. Lei è fisicamente vitale, lui è prossimo al confronto con la morte a causa della malattia. Lui è sempre elegante e impeccabile all’aspetto, lei è più semplice e rustica sempre presa a cucinare, giocare coi bambini e svolgere tante attività nella colonia. Lei è libera, indipendente con le porte aperte sul futuro, lui è dipendente dalla famiglia e dalle alterne manifestazioni della tubercolosi che lo costringono a vivere nel solo presente. Alcune battute del film condensano in modo poetico questo rapporto d’amore sin dal primo vero colloquio tra i due in cui Kafka dice di voler portare via con sé il nome della ragazza che gli appare particolarmente bello e lei risponde: “E cosa ne sarà di me senza un nome?” o più tardi quando, andando a vivere insieme a Berlino, lei si sorprende della sua valigia colma e pesante chiedendogli “Cosa c’è qui dentro?” e lui risponde “Solo parole e un po’ di carta”.
Proprio durante i mesi di convivenza berlinese, pur nelle ristrettezze economiche e nelle difficoltà materiali tra cui il freddo, la fame e la mancanza di elettricità, Kafka riesce a scrivere di nuovo, trovando energie insperate, finché l’aggravarsi delle sue condizioni non lo costringerà a ricoverarsi in Austria. Qui sono rappresentati in maniera commovente gli ultimi giorni di vita dello scrittore che, ormai incapace di parlare per il diffondersi della tubercolosi sino alla laringe, è costretto a comunicare scrivendo, instaurando così una complicità ancora più stretta con Dora che resterà sempre al suo fianco sino alla morte sopraggiunta il 3 giugno 1924.
Il film pecca forse nel voler addensare frettolosamente alcuni aspetti ormai noti e stereotipati di Kafka: il conflitto con la famiglia e in particolare con il padre, la volontà di distruggere e bruciare i suoi lavori dopo la morte nella lettera-testamento all’amico Max Brod, la presunta incapacità di concludere i suoi lavori per cui il protagonista dichiarerà: “Sono solo incipit, frammenti, non concludo mai nulla!”, fino a soffermarsi sull’episodio aneddotico della bambola Mia, appartenuta ad una bambina di nome Milena di cui lui si fece ghostwriter. Quest’ultimo episodio, narrato dalla Diamant nel suo libro di memorie Mein Leben mit Franz Kafka (1953), ha però il merito di mostrare il carattere bizzarro e toccante dello scrittore rispecchiato nella sua poetica grottesca e struggente al tempo stesso, sempre in sospeso tra la farsa e la tragedia.
Alla fine ciò che più rapisce e coinvolge del lungometraggio è dunque la storia d’amore tra due esseri diversi per età, cultura e prospettive future, l’incontro improvviso tra due anime che si mettono a nudo. Lui, nel suo vampiresco tentativo di attingere al fuoco e alla giovinezza di lei. Lei, avida di scoprire la sensibilità e il mondo poetico di lui, ormai destinato a deflagrare. Ma entrambi fermi e decisi ad abbandonarsi alla meraviglia della vita “sempre a disposizione di ognuno in tutta la sua pienezza, invisibile”, anzi disposti all’abbraccio fatale di vita e morte come in certe figurazioni di Egon Schiele, strazianti e insieme ardenti, passionali.
La morale suggeritaci sembra essere dunque che l’amore e la felicità possono nascere e svilupparsi anche quando tutto sembra ormai destinato alla fine, all’ineluttabilità. Il nastro color bordeaux, sulla cui inquadratura si chiude circolarmente la pellicola, è ancora lì che sventola malgrado i marosi dell’esistenza, come una fiamma che non vuole spegnersi: Omnia vincit amor.
L’amore secondo Kafka, 2024
regia di Georg Maas e Judith Kaufmann
genere drammatico/romantico
titolo originale The glory of Life