EXAGERE RIVISTA - Marzo-Aprile 2025, n. 3-4 anno X - ISSN 2531-7334

Giovani in eterna attesa di scendere in campo. Intervista a Matteo Lancini

di Federica Biolzi

Assenza di prospettive, la costante fragilità degli adulti, rischiamo di immobilizzare una generazione che attende solo di essere messa alla prova, di liberarsi di strumenti inadeguati. Matteo Lancini in Chiamami adulto ( Cortina editore ) ci fornisce utilissimi consigli ed esempi per imparare a stare in relazione con gli adolescenti. Vediamo quali.

– Il lavoro, di psicologo e psicoterapeuta, le dà la possibilità di incontrare un gran numero di adolescenti e giovani adulti che presentano e manifestano situazioni di disagio. In questi ultimi tempi stiamo assistendo a clamorosi fatti di cronaca che spesso sfociano in crimini, che vanno ben oltre qualsisi apparente logica razionale. Può spiegarci perché dal suo punto di vista, i giovani possono arrivare a compiere questi atti estremi?

-Nonostante qualcuno dica che non c’è un movente, invece bisogna sottolineare che questo esiste sempre ed è la disperazione.

Molto spesso ci si trova di fronte a qualcosa che non ha trovato altri canali di espressione e quindi, da questo punto di vista, credo che, oggi, il tema vero sia legato ad una difficoltà nell’espressione delle emozioni da parte degli adolescenti. I crimini dipendono dal fatto che noi li amiamo troppo e abbiamo dato loro troppo.

La difficoltà a modulare le emozioni in età evolutiva è legata alla difficoltà a mentalizzare, emozioni sperimentate da bambino e da adolescente, proprio da parte di coloro che quotidianamente ne guidano la crescita, in particolare, di quelle emozioni come la tristezza e la rabbia, che sono le più disturbanti nel sentire adulto, a livello individuale e sociale, non solo familiare e scolastico.

Questa è una delle questioni che ci preoccupa. In effetti ascoltiamo i figli e gli studenti molto di più che in passato, perché il vero tema è come mai questi adolescenti si sentono così soli in mezzo agli adulti. Io credo che la favoletta di Internet, che la colpa sia dei social o della pandemia, siano solo un modo per non fare niente come adulti.

Questi adulti fragili devono essere capaci di porsi e di porre le giuste domande, di cercare di comprendere la persona che hanno di fronte, bambino, ragazzo o adolescente, di interessarsi a come lui/lei stesso/a definiscano il loro comportamento. Cercare di educare e sostenere, non vietare. Oggi è importante far sentire al proprio figlio che le emozioni, le ansie, le paure di fallire, di deludere, le sensazioni di inadeguatezza e le vergogne possono essere espresse senza problemi.

Occorre far sentire loro che noi ci siamo davvero, che siamo pronti ad ascoltare cosa hanno da dirci e che riusciamo a stare, indipendentemente da ciò che ci verrà detto.

Tra le varie tematiche che lei affronta nel libro c’è quello dell’approccio dell’adolescente con la famiglia e con i genitori in particolare. Un momento determinante nella  costruzione della relazione. In proposito Lei sottolinea come gli adulti siano molto  centrati sul fare ed abbiano disimparato a stare nel rapporto con l’altro. Come fare a risintonizzare questo rapporto?

Non è che hanno disimparato, il problema è diverso perché mio nonno, non stava, o molto poco, in relazione, coi figli. Allora era necessario crescere i figli per farli lavorare, non c’era questo tipo di educazione, se facevi figli maschi ed eri in campagna, era utile perché serviva la forza-lavoro. La donna, ad esempio mia nonna, se non avesse fatto figli, l’avrebbero trattata come una anziana zitella.

Tutti noi siamo così concentrati sul fare che abbiamo disimparato come “stare”, che non significa rimanere fermi, immobili, ma essere in grado di stare ad ascoltare cosa ha da dire l’altro, anche se è estremamente distante da noi e dalla nostra visione del mondo. Noi abbiamo voluto i nostri figli, li abbiamo amati e li amiamo, spesso chiediamo loro di sottoscrivere un patto d’intesa, senza precedenti, in cui la mamma lavora e il papà è diventato affettivo. Poi accade che, ad un certo punto, i nostri figli possono rompere le scatole,  esprimendo quelle emozioni o quelle sensazioni che ti richiederebbero a questo punto di organizzare una vita , come dire adatta a questo patto , cioè legittimare le loro emozioni . Quando la sera torniamo a casa, dobbiamo guardare nostro figlio adolescente e provare a concentrarci su ciò che lo ha incuriosito, su ciò che lo ha preoccupato. Cercare di aprire una possibilità di dialogo con lui, prepararci ad ascoltarlo, ad accogliere le sue paure, le sue sofferenze e le sue ansie.  Cercare di legittimare i suoi pensieri, facendogli sentire che siamo adulti in grado di riconoscere le sue emozioni. Proviamo a capire nostro figlio, mettendolo al centro dei nostri pensieri e accogliamo ciò che vorrà condividere.

-Metterci in discussione, insomma…

– Dobbiamo accantonare la nostra fragilità di adulti, io la chiamo dissociazione adulta, che sicuramente ha aumentato a dismisura la disperazione delle generazioni.  Un problema non solo della famiglia, un problema degli adulti, di una società che vive dissociata, che vive in Internet. Se ci pensiamo, anche i politici vivono sui social e sono lì, magari a discutere se fare una legge contro Internet, per i danni che provoca ai minorenni o ai  giovani adolescenti. Il problema reale è che stiamo parlando di una società iperconnessa e del fatto che dovremmo educare al digitale, io credo che anche a scuola i ragazzi dovrebbero avere il cellulare sempre acceso e fare le lezioni con questo strumento. E’ il futuro, noi saremo sempre più iperconessi ed utilizzeremmo sempre di più i social e l’intelligenza artificiale.  Per questo sarebbe utile fare le prove open Internet, oppure insegnare come utilizzare l’intelligenza artificiale.. pensi che in questo momento, mentre noi parliamo, in Italia tutti la stanno usando, dall’università, ai politici, alle imprese….

Io credo che quando i ragazzi e le ragazze trovano la possibilità di comunicare rabbia e dolore, non necessariamente ai tecnici (psicologi, psicoanalisti, ecc.), ma ai loro adulti di riferimento.

– In adolescenza, amicizia ed amore comportano, evidentemente, il vivere una relazione con l’altro. Ma, per i giovani, stringere un rapporto, può rappresentare un pericolo: ci si espone alla possibilità, non tollerabile, di sentire di averne bisogno e spesso si ha paura di diventare dipendenti dall’altro.  E’ proprio così?

-Una situazione molto complessa, perché riguarda una sorta di società che alimenta l’individualismo e chi dice che non si deve dipendere da nessuno, una società dove la dipendenza affettiva viene trattata come male sociale, senza rendersi conto che l’essere umano nasce dipendente affettivamente e quindi diviene necessario riconoscerne i bisogni. Dall’altra parte la coppia, è sempre una minaccia, perché implica una rinuncia. Se, in più nasci, con questa idea di non esprimere le emozioni, se ti fidi dell’altro e pensi che ti ami, ma poi l’altro ti lascia, diventa emotivamente un disastro, ma però io mi devo forzare a non  pensare che sia un disastro. Mi chiedo come mai gli adulti dicono che i ragazzi oggi dovrebbero stare in coppia, se non abbiamo creato una società dove la coppia ha il vantaggio di esistere. Molto spesso i giovani  stanno in situazioni,  in relazioni, dove non è necessario costruire una coppia come la intendiamo noi…anche perché poi, quando qualcuno ti lascia, non puoi soffrire.. altrimenti sei tossico e non te lo puoi permettere,  devi essere autonomo,  indipendente. Cioè come al solito, vi è il tema dell’angoscia degli adulti, che ti spiegano come devi essere, come ho scritto nel libro precedente “Sii te stesso a modo mio” (ed. Raffaello Cortina, 2023). In questo momento credo che i ragazzi temano enormemente la coppia, vadano in giro con unghie affilate proprio ed anche per tenere l’altro lontano, non rispondono, tengono alla giusta distanza. L’altro appare minaccioso ed alla fine  conta e prevale  il proprio sé, perché in fondo  l’altro ti può confondere e ti può richiede una mediazione..

Ogni tipo di rapporto, implica sempre una grande fatica, ed implica sacrificio di parti di sé.  Siamo pronti per questo? Nella società attuale non stiamo insegnando questo, anzi stiamo insegnando che il sacrificio è una cosa sbagliata.  Su questo, mi sento di dire, che siamo nei guai, perché la scienza, attraverso la procreazione assistita, ha creato per la prima volta la situazione per la quale la sopravvivenza della specie non è più legata all’atto sessuale…Una roba inimmaginabile ai miei tempi. E lasciatemi dire, tutto ciò non fa che creare una certa confusione nelle nuove generazioni.

-Nel testo lei rimanda alla metafora della panchina. Quella di un calciatore che attende di scendere in campo. Per un giovane, oggi, indica un condizione di apparente immobilità, il vivere in una perenne attesa. Qual è il significato di questa metafora che l’adolescente vive nel rapporto con gli amici e nella coppia?

-Questa metafora è presa da una forma di coppia in cui oggi si tiene l’altro un po’ in panchina (benching). Nasce da questa idea che si ha bisogno dell’altro, ma si cerca sempre di modulare la distanza come si diceva prima, perché l’altro è minaccioso per l’integrità del proprio sé ed è minaccioso per la propria autonomia. Queste due cose portano a tenere l’altro, di cui però in parte abbiamo bisogno, in sospeso.  Questo è uno dei tanti esempi che servono a spiegare cosa è oggi la situationship, cioè il fatto che ai ragazzi non gli interessi più la relazione, ma stare in situazione. Basterebbe dire: grazie ragazzi che avete deciso, non si fanno le coppie, ci si vede quando si ha voglia… tanto i figli si possono fare anche da soli, non è necessario mediare con l’altro, ci si lascia dando come motivazione che è finita, perché è un amore tossico. Ma in che senso è tossico? Quando faccio questa domanda alle persone che incontro, mi viene risposto, si perché devo essere autonomo. Mia madre mi ha insegnato che io devo fare il mio percorso da un’altra parte, devo fare l’università, devo fare quel viaggio e lui vuole fare un’altra cosa e quindi ci lasciamo..

In questo, non vorrei essere critico, ma mi domando che cosa ci aspettiamo nel futuro.  Costruire un rapporto di coppia vuol dire impegnarsi tanto, in due, richiede sempre una mediazione tra i tuoi bisogni e quelli dell’altro. Oggi i ragazzi sono alimentati da una società in cui si pensa solo a sé stessi e l’altro è e diventa un ostacolo.

-Un grande cambiamento del quale non ci stiamo rendendo conto…

-Stiamo assistendo ad un ampio passaggio, dalla concezione romantica dell’amore a un amore che potremmo definire narcisista o postnarcisista, che sta modificando la natura delle relazioni, in cui il benessere dell’individuo prevale sulla necessità di coppia.

Con queste premesse la coppia tradizionalmente intesa, vista come vincolo, potrebbe non esistere più. Per questo penso che sarebbe utile poter aiutare i giovani a velocizzare questo processo, in fondo esistono da tempo molte forme di convivenza diverse e vivere insieme non significa necessariamente essere coppia.

Fermandosi un attimo a riflettere, capiremmo che abbiamo trasformato la coppia in un peso da gestire e non in una risorsa. Forse potremmo imparare a dare un nuovo valore alla relazione, cercando anche di aiutare le nuove generazioni a creare legami significativi con noi adulti, accettando che le loro relazioni di coppia non saranno mai come quelle del passato, potremmo prepararci ad un nuovo modello che valorizzi il vincolo affettivo senza appesantirlo con aspettative irrealistiche.

–  Lei ci mette in guardia da una società centrata sullo spaesamento e sulla dissociazione adulta e richiama sempre più la necessità di puntare sulle relazioni.  Ma su quali valori costruire questi essenziali rapporti? 

La relazione è la più grande attività preventiva, un grosso valore.

Oggi ci sono persone che un giorno dicono una cosa e il giorno dopo un’altra, oggi tu puoi fare quello che vuoi, tanto non esiste  più un sistema valoriale, ognuno ha il proprio.  Lo si potrebbe definire sistema valoriale individuale e unico, infatti viviamo in una realtà dove prevale il continuo richiamo alla propria morale individuale che viene spacciata per assoluta e dove diviene sempre più difficile non screditare le idee diverse dalla propria.

Come io resto attonito davanti a certe affermazioni, altre persone si indigneranno per quello che sto sostenendo: questa è una crisi valoriale senza precedenti.

Quindi in questa inautenticità percepita, in questo individualismo di massa, per essere riconosciuto come adulto dai nostri figli e studenti, dobbiamo puntare tutto sulla relazione, sullo stare nella relazione.

Capisco quanto sia difficile capire l’altro, ma ci si può riuscire solo partendo dalla relazione. Io devo essere convinto di essere un adulto in grado di stare e di relazionarmi con il mio interlocutore in base al suo funzionamento: affettivo, psichico e relazionale.

Non ho mai capito cosa si intenda con l’espressione “felicità”, forse perchè mi sembra che non ci sia un granchè da essere felici in questa vita. Ma penso e mi sento di dire che se ce qualcosa che si avvicina alla felicità è la relazione.

In fondo,  ricordiamoci  che gli adulti hanno bisogno di credere alle illusioni, a volte più dei bambini, sono abitati da un conflitto tremendo. Il bisogno di proteggersi dalle illusioni e la paura della verità che porta a rifugiarsi nella finzione, il bisogno di cullarsi dentro il sogno. Spesso gli adulti ricorrono a una razionalità distaccata dalle emozioni e dai veri affetti ed è proprio qua che come adulto ripartirei, dal bambino interno che c’è in ognuno di noi.

Oggi prima di tutto bisogna sapere stare, impariamo a stare, non fare: è possibile.


Matteo Lancini

Chiamami adulto

Come stare in relazione con gli adolescenti

2025, Raffaello Cortina Editore

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