intervista di Gianfranco Brevetto
– Ci diamo del tu?
– Ok
– Ma se lo facciamo poi non è più possibile tornare indietro…
– Accetto.
– Guido, mi verrebbe da iniziare con qualche citazione consumata che vorrei evitare del tipo il poeta è un fingitore..
– Sì, un po’ fingitore lo è …
– Allora, se è così, qual è per te il rapporto tra finzione e poesia?
– Bisogna essere sinceri ma per me non è a regola. Parlo molto di me in maniera sincera ma poi invento anche un sacco di cose, però le cose che invento sono legate alla realtà. Per esempio, in una mia poesia d’amore il 70% è vero poi invento qualcosa: per me la poesia è un misto di realtà e fiction… è una docu-fiction. Non bisogna mettersi a scrivere le cose a tavolino solo per colpire la gente, non bisogna fare i furbi, come fanno molti soprattutto ad un certo livello cioè quando scrivi per lavoro. Inizi ad avere un pubblico, capisci che una cosa funziona e rischi magari di ripeterla solo perché ha successo e funziona, come una specie di format… ma se scrivi romanzi è un altro discorso
– Ti dirò sinceramente che ho notato nelle cose che scrivi un doppio registro, sei più serio di quanto appari. Accanto alla battuta facile e alla volontà di accattivarsi il pubblico, c’è un utilizzo sapiente delle tecniche poetiche. Quando fingi? quando porti il pubblico a sorridere o quando fai il poeta serio con la sua cassetta degli attrezzi, mi riferisco all’utilizzo appropriato dell’analessi, le ring construction? Queste cose non si fanno al bar…
– C’è un lavoro sotto che è venuto naturale, non mi sono mai messo a tavolino per dire: io adesso divento poeta. Non sono un comico, per me è strano che la gente rida. Anzi all’inizio mi meravigliavo perché io per lo più parlo di cose tristi. Ho la fortuna di avere questa tendenza all’ironia, al comico. Sin da bambino facevo ridere involontariamente. Non sono una persona allegra
– Dai tutt’altra impressione…
– Mi spaventano quelli che si prendono troppo sul serio, quello che io faccio è un gioco, serissimo ma è un gioco. Per esempio non riesco a parlare d’amore se non mettendoci dentro dell’ironia, serve a salvarsi dalle bruttezze della vita. Io non riesco ad avere rapporti con persone che non hanno le capacità dell’ironia e della comicità, mi annoio, mi viene una pesantezza incredibile…
– Riprendendo la storia del doppio registro delle tue poesie, tu dici che ti viene naturale, ma allora come si diventa poeta? Come si prende la patente di poeta?
– Non ho nemmeno la patente per l’automobile figurati se posso avere quella di poeta. Cos’ è poesia, cosa non lo è. È una domanda alla quale non c’è risposta. Io mi son trovato a fare il poeta ma volevo fare il cantautore, d’altra parte abbiamo dei cantautori terribilmente poetici, anche se la canzone non è poesia. Secondo me poesia e canzone sono cugine molto strette. Io mi sento una specie di cantautore senza musica. Le poesie ora hanno tutte il verso libero come il mio, le figure retoriche sono usate in maniera inconscia…
– ma allora, sei o non sei poeta?
– Non lo so. Io non volevo fare il poeta, così come non volevo iscrivermi alla SIAE, e poi ci sono quelli che si arrabbiamo se tu gli dici io sono poeta. Però poi è successo ed adesso lo sono, è inutile negarlo: sui miei libri c’è scritto poesie. Io scrivo versi e questo è poesia , poesia che può non piacere ma lo è. Un po’ dappertutto la poesia sta esplodendo, soprattutto sui social network: ci sono oggettivamente delle cose imbarazzanti, io non riesco a dire se quei versi sono poesia. Hai un ragno giallo sulla giacca..
– Ah! Sarà di quelli velenosi? Spero di no… ma non cercare di distrarmi. Ecco, tolto!
– … Io ho iniziato dcrivendo testi per canzoni, prima dei vent’anni. Poi ho smesso di fare queste cose e ho capito che bisognava inserire in quello che scrivevo della musica, del ritmo ed è quello che faccio adesso.
– Quindi tu scrivi poesia per dote naturale, senza mai averci studiato su? Stai mentendo spudoratamente…
– Io leggo tanto in generale, più prosa che poesia. Sento più musica italiana di quanto io legga poesia italiana. Io ho amici poeti che hanno una preparazione tecnica cento volte migliore della mia
— …Se la poesia è tecnica…
– … La parte teorica l’ho studiata, ho fatto il liceo classico, ho fatto un esame di retorica e stilistica… ma non mi ricordo niente…
– Scusami se insisto, ma anche nell’utilizzare appropriatamente i luoghi comuni, come nel caso della pasta Pongo, tu evochi qualcosa. Qualcosa che fa parte delle tua generazione, non è solamente far sorridere pensando che tu giochi ancora col Pongo…tu evochi la memoria, un lavoro più profondo di quanto sembri..
– Lo spero…
– Michela Murgia dice che tu ti mantieni tra il performer e il poeta. Chi è il falso il performer o il poeta?
– Nessuno dei due, l’uno non potrebbe fare a meno dell’altro. Non è scontato scrivere le poesie e leggerle in pubblico. Io ho iniziato quando in Italia eravamo pochissimi a farlo. Per me portare la poesia live, davanti al pubblico è davvero fondamentale. All’inizio, per me. l’unico modo per far conoscere quello che scrivevo era leggerlo, a pubblicare non ci pensavo proprio. Se per un mese non vado sul palco a leggere le mie cose mi viene l’ansia.
– Tornando alla bugia, ti faccio una domanda scontata: quando hai detto la prima?
– Io ho un ricordo stranissimo alla prima comunione. Pur non essendo di famiglia cattolica avevo la nonna che se non l’avessi fatta si sarebbe tagliata le vene. Le prime bugie le ho dette nel confessionale, quando mi sono confessato la prima volta: confessavo peccati non fatti perché pensavo che dovevo pur dire qualcosa…
– Sei andato a credito quindi…
– Avevo sette o otto anni, poi non mi sono più confessato. In realtà non sono un gran bugiardo perché non riesco a tenera la parte. La bugia è un’arte ma anche una patologia. Diego De Silva dice che il vero bugiardo mente quando non ce n’è bisogno, altrimenti diventa preoccupante.
– Domanda scontata bis: quando hai detto l’ultima bugia? A parte quelle che stai dicendo adesso…
– Io, ad esempio, fumo ma mia madre non lo sa. Quindi quando vado da lei mento perché non le fumo davanti. In amore ho detto qualche bugia, ma ho tradito pochissimo
– Ti definiscono poeta surreale, è vero?
– Non più, lo sono stato. Ora è cambiato qualcosa, mi è passata la surrealtà…è finita la vena
– Assistendo alle tue performance mi è venuto in mente Gaber, il primo; non so neanche io perché, forse per i finali ad effetto…
– Io li chiamo finali di potenza, quella è roba tecnica: a me piace dare il colpo finale, lo cerco a tavolino. Gaber, non lo so, non sono un esperto ma lo ammiro
– Tu giochi molto sul fatto di chi sei, sul non volerti definire, sulla tua identità, perché?
– io odio le categorizzazioni, io sono un misto di cose: cabarettista, poeta, cantautore fallito, un performer, un attore. Per me essere poeta e basta è controproducente, mi piace molto la fusione delle razze: meglio un cane bastardo, vive di più. La purezza è stupidaggine, preferisco la fusione delle arti, per questo non lavoro mai con altri poeti.
– Hai scritto anche un romanzo.
– Rizzoli mi ha detto: fai un libro di poesia ma poi devi fare un romanzo. È stata un’idea vincente perché mi ha costretto a fare qualcosa di nuovo, io tendo a essere pigro. All’inizio è stato traumatico ma poi mi è piaciuto e ora ne sto scrivendo uno nuovo.
– Quindi dopo ti chiederanno se sei un poeta o uno scrittore.
– Se anche questo secondo romanzo va bene sono anche un romanziere. Scrivere romanzi è fichissimo.
– Insomma alla fine sembrerebbe che ti diverti moltissimo, come i bambini
– Io non ho figli ma mi affascinano molto i bambini che giocano, vorrei guardarli mentre lo fanno e fare solo quello. Io gioco molto, ho la fortuna di lavorare giocando.
– Ti ringrazio, Guido, per il tempo che ci hai dedicato
– Grazie a te
– Ciao
– Ciao
– Guido, ti informo che hai il utilizzato il mio biglietto da visita come posacenere…
– Cavoli, è vero, non me ne sono accorto.
l’intervista è stata realizzata nel corso del Memofest 2018