EXAGERE RIVISTA - Luglio - Agosto - Settembre 2024, n. 7-8-9 anno IX - ISSN 2531-7334

Il benessere come guida all’agire pedagogico

di Lia Fiore

La Cura deve inevitabilmente confrontarsi con la Paura. Prendersi cura e avere cura si incontrano invece con i concetti di Responsabilità e Volontà. Ecco che chi cura è coinvolto interamente, sia da un punto di vista emotivo che cognitivo. Una professione per eccellenza basata sulla cura è indubbiamente l’educatore e insegnante della fascia di bambini 0-6 anni. Il bambino piccolo è per eccellenza soggetto di cura in quanto ancora privo delle necessarie abilità e difese per affrontare il mondo circostante, si può adattare ma lasciato a sé sesso è destinato a morire.

nei nidi e nelle scuole dell’infanzia gran parte del tempo delle educatrici e delle insegnanti viene dedicato al tempo della cura, inteso come insieme di preoccupazioni e attività che hanno a che fare con l’attenzione per il benessere dei bambini.”[1]

Scopo nobile quello di perseguire il benessere ma allo stesso tempo attività ad oggi spesso sminuita e relegata alla marginalità rispetto all’importanza ritenuta ben più necessaria e indispensabile dello sviluppo delle competenze. Ed ecco che anche da parte delle insegnanti, proprio alla luce del nascente “sistema integrato 0-6”, emerge il timore che, dopo anni di lotta per il riconoscimento istituzionale dell’ordine scolastico della Scuola dell’Infanzia e del proprio ruolo all’interno dell’istruzione primaria, ci sia il rischio di essere nuovamente risucchiati al ruolo di semplici dispensatori di cure essendo accostate alle educatrici dei nidi. Per paura di perdere uno status si rischia di smarrire una prerogativa, un importante qualità distintiva dell’educare.

“Queste posizioni tendono a separare gli aspetti affettivi ed emotivi dai saperi formali, quasi che occuparsi del benessere e della cura del bambino non abbia niente a che fare con l’apprendimento e trascurando il fatto che nei processi della conoscenza esiste sempre un intreccio relazionale ed emotivo.”[2]

Da parte delle educatrici, pur consapevoli dell’importanza fondamentale della cura come mezzo funzionale al processo di crescita, la paura è quella di apparire arroganti mostrando la propria visione e sminuire il lavoro sulle competenze portato avanti nella scuola dell’infanzia. Trovare equilibrio tra cura e istruzione vuol dire, forse, trovare il senso dell’educare.

Educare non vuol dire <<dare competenze>> come è specifico dell’istruzione, ma vuol dire – in modo più profondo – creare e alimentare il Sé Competente, cioè i fondamenti strutturanti dell’io di ogni persona.[3]  

La cura fa parte di quelle attività destinate al non detto, all’evanescenza, allo scontato e quindi, non facendo troppo scalpore, non presentandosi con altezzosa presenza, ritenute inesistenti o collaterali ma se venissero a mancare farebbero crollare ogni altra esistenza. La cura non ha grande visibilità perché implica lo spazio dell’intimità, dell’entrare in contatto profondo fatto di ascolto invece che di parola, di accostamento discreto invece che invadente presenza, di farsi strumento invece che sfruttamento. E’ una parola e una condizione che parla il linguaggio dell’attenzione e non della distrazione, della gentilezza e non quello della prevaricazione. Ecco il concetto di paura con il quale ci si deve confrontare parlando della cura, la paura della debolezza nel mettersi a nudo e apparire fragili. E’questo in realtà il grande timore che soggiace ad ogni chiusura, arroccamento sulle conquiste fatte, la perdita di riconoscimento sociale, la perdita della propria identità istituzionale accostandosi ad una pratica ritenuta dalla società stessa priva di importanza, minimizzata. Anche questa visione svalutante è essa stessa prevaricazione da parte di una società superficialmente dedita alla cura dell’apparenza, rispetto ad una vitale e profonda necessità umana di cui siamo in grado di riconoscere e sottolinearne l’essenzialità ma violentemente sviati dalla sua reale pratica nella quotidianità. Di fronte a questa incongruenza, da una parte la ricerca della cura spasmodica dell’esteriorità e dall’altra parte lo svilimento della cura come approfondimento relazionale, c’è da rimanere umanamente disorientati ed è per questo che l’atteggiamento delle insegnanti è da comprendere e aiutare a gestire senza minimamente colpevolizzare. In questa prospettiva può risultare molto interessante il significato che il semiologo Paolo Fabbri[4] adduce alla parola cura:

convivere con l’imprevisto e con l’irrazionale: è un tipo di sapere che si costruisce strada facendo, una procedura di cui non può esistere manuale d’istruzione teorico già pronto, ma che nasce nel continuo rapporto tra stimolo e risposta, errore e correzione, ascolto e intervento. Le parole chiave riscontrate nelle strategie di gestione della cura rinvia alla complessità, all’imprevisto, all’irrazionale, al disordine, si possono riassumere in ascolto, rispetto, intuizione, sagacità, umiltà (saper includere l’insicurezza nel proprio orizzonte), capacità di vivere il reale come un necessario intreccio di disordine e ordine, razionale e irrazionale, prendere parte a questa complessità senza tentare di ridurla, semplificarla, ossificarla, ma lasciandosi guidare, affinare, seguire il filo della propria intelligenza”.

Viene fatto riferimento all’incertezza ma allo stesso tempo si trova una possibile chiave di lettura per la comprensione e l’esperienza arricchente che ne può scaturire. Arrivare ad esplicitare i propri vissuti di insicurezza ma rivendicando la capacità di vivere anche l’inatteso e quindi la complessità, può restituire dignità alla cura in sé e alla sua pratica, per la ricerca e il dono del benessere collettivo. Oggi più che mai le neuroscienze sottolineano l’inscindibile compenetrazione tra lo stato emozionale e cognitivo nel processo di formazione di ogni individuo, allora la cura di tali processi si pone come mezzo fondante nel percorso di crescita di ogni bambino. La rinnovata attenzione alle relazioni, allo spazio e al tempo che circonda i bambini per creare un contesto favorevole allo sviluppo delle inclinazioni e delle abilità di ciascuno, fa parte della cura ed è la condizione imprescindibile perché l’apprendimento, la traccia lasciata dall’esperienza, lasci il proprio segno e generi benessere come sereno adattamento al mondo. Vista da questa prospettiva la cura è forza creatrice. Compito delle inseganti e delle educatrici è, proprio attraverso la cura come attenzione partecipata, documentare, portare alla luce la traccia lasciata dai traguardi raggiunti nelle competenze dai bambini nel loro percorso di crescita. La cura è prestare le mani i pensieri e le parole per accompagnare chi non ha la possibilità di esprimerli, per far sbocciare le potenzialità del vivere e la piena espressione dell’essere.

Per Simone Weil la formazione dovrebbe avere come obiettivo fondamentale l’esercizio dell’attenzione, perché fra le capacità della mente quella che riesce a cogliere la realtà è l’attenzione, <<cosicché più il pensiero è attento, più l’oggetto si riempie di essere>>[5]

Compito della società e delle istituzioni riconoscere, sostenere e valorizzare tale impegno.

La cura dell’infanzia è diventata ai nostri giorni una professionalità con un curriculum formativo definito e completo, e perciò deve essere anche curata e mantenuta con un bagaglio teorico e metodologico adeguato: la supervisione continua, come una manutenzione emotiva e relazionale delle insegnanti /educatrici impegnate costantemente in una relazione molto ravvicinata e coinvolgente con i bambini, ci pare una necessità professionale ineludibile.”[6]

Luigina Mortari, citando Socrate, parla di “cura di sé”

a nulla ci si può dedicare in modo efficace se prima non ci si pone come obiettivo la disciplina dell’aver cura di Sé.”[7]

Ecco che la paura può essere superata attraverso la conoscenza, l’approfondimento e la riflessione personale e collegiale dei propri vissuti, riscoprendo una delle basi fondanti la professione dell’educare, la cura, di sé stessi e dell’altro, per riconquistare sicurezza nel proprio pensare e nel proprio agire.

Un bambino, uno spazio, un tempo, un adulto. È l’inizio e il continuo di una storia. Il bambino possiamo essere ciascuno di noi, lo spazio è la scuola, luogo deputato alla cura della formazione dell’individuo, il tempo è quello che abbiamo a disposizione nel presente dell’azione educativa che deve ricongiungere il passato e portarlo nel futuro e l’adulto è l’essere inconsapevole che solo attraverso il confronto, la pratica e la riflessione su di essa può tentare di guidare il bambino. Se si ha l’umiltà e il desiderio di entrare in un profondo contatto con l’altro, sarà bello e stimolante lasciare che i ruoli si ribaltino e sia il bambino a guidarci in una nuova esperienza di scoperta, anche su noi stessi. Un cambio di prospettiva che deve sempre essere accettato e ridiscusso a livello personale e collegiale ogni qualvolta ci troviamo di fronte, come professionisti della formazione, ad ogni nuova ripartenza scolastica. Il concetto che dobbiamo avere di fronte non è quello di insegnare o istruire ma curare la formazione che vuol dire prendersi cura del nostro sentire perché possa curare il tempo, gli spazi, gli atteggiamenti e le relazioni che favoriscono la formazione dei più piccoli in uno scambio reciproco quindi luogo di crescita per noi stessi, per le famiglie, per la stessa società.

Riconoscere l’importanza e saper allestire uno spazio perché sia accogliente, stimolante, bello non è una capacità da sottovalutare. Riuscire ad individuare tempi dedicati all’ascolto, alla proposta, al silenzio, all’espressione della corporeità non è aspetto da dare per scontato. Riuscire ad entrare in un reale rapporto con l’altro da sé percependone inquietudini, soddisfazioni, paure e attitudini, riuscendo a rilanciarle, è una qualità che esprime sensibilità, curiosità e passione per l’altro. Insegnanti e educatrici, attraverso la cura di tutti questi fondamentali aspetti, ogni giorno, con ogni bambino e famiglia, devono mettere in atto il pensare e il fare educativo. Forniscono alle famiglie un punto di riferimento e di confronto, ai bambini una base sicura da dove poter intraprendere nuove e stimolanti esplorazioni. Insegnanti e educatrici offrono il proprio corpo fisico e mentale come contenitore di emozioni, trampolino di scoperte, limite sicuro alla paura dell’ignoto, specchio per iniziare a conoscersi e comprendersi. Le loro mani accolgono paure e conquiste, accompagnano, rilanciano, guidano verso l’autonomia e la consapevolezza. Al Nido e alla Scuola dell’Infanzia sono stati individuati spazi fisici e mentali dove il percorso di crescita si possa serenamente e naturalmente sviluppare: le routine binario che conduce all’autonomia, il gioco come esperienza cognitiva e palestra emotiva, la narrazione come metafora sicura del vissuto personale e collettivo. la cura si pone come linfa che deve permeare ognuno di questi ambiti trasformandosi in rispetto dell’evoluzione personale di ciascuno.

La formazione continua è la dimostrazione di un immenso non sapere, orientamento e sprono di ogni professione che a che fare con la cura, ossia con l’incertezza. Non sai se i tuoi gesti saranno accolti, se le parole comprese, se le intenzioni condivise dai bambini, dai genitori e dai colleghi. Non rimane che tentare questo salto ponendo continua attenzione a non perdere sé stessi nel darsi agli altri. La cura crea benessere, è questo il principio a guidare ogni azione. Cercare di capire come progettare, organizzare, amalgamare per offrire un luogo in cui poter crescere con serenità, ne è lo scopo. Tessere insieme le reciproche esperienze scoprendo e riscoprendo azioni e riflessioni sull’educare nei Nidi e nelle Scuole dell’Infanzia, quindi la formazione condivisa, ne è la chiave, per restituire forza e valore al concetto di cura come lievito di crescita integrale dell’individuo.

Quando ci si sente disorientati e c’è il rischio di perdere la strada o di non sapere come proseguire, è saggio fermarsi e guardare da dove siamo partiti. La cura, la presa incarico della necessità di cura dei bambini, è il motore che ha dato il via all’“asilo” radice comune dei servizi per l’infanzia da 0 a 6 anni. Un’identità da vantare e non rinnegare, per essere riuscita a dare una risposta necessaria e immediata ad un bisogno impellente della società, poi è cresciuta, si è fortificata e ha integrato e approfondito, forse scoperto, il proprio indispensabile ruolo. Adesso il sistema integrato 0-6 può farsi forte delle proprie specificità acquisite nel tempo e nell’esperienza. Esse parlano di attenzione e progettualità pensata e intenzionale verso l’accoglienza dei bambini e delle loro famiglie, la cura degli aspetti contestuali e relazionali favorevoli all’apprendimento, la cura e l’attenzione rivolta alla documentazione come ricerca condivisa tra bambini e adulti, per i bambini e per gli adulti. A livello teorico l’interconnessione tra gli orientamenti pedagogici per la fascia 0-3 anni e le linee pedagogiche 3-6 anni ne sono la prova, la loro concretizzazione deve essere la prospettiva. Oggi la lotta che si è chiamati a proseguire non è contro la propria identità di ente che si prende cura del bambino nella sua interezza ma rivendicare un riconoscimento di tempi e spazi perché questo sia sempre più frutto di riflessione e progettazione condivisa. Spesso l’educazione 0-6 anni è erroneamente pensata come amorevole improvvisazione, i tempi per la progettazione vengono poco valorizzati anche dal sistema istituzionale, ma come in teatro, è necessario essere bravi per improvvisare. L’improvvisazione non è mai il risultato di scarsa preparazione ma di massima attenzione, consapevolezza e gestione di sé stessi, dello spazio, del tempo, del pubblico, anche dell’imprevisto, proprio perché si basa su una ricerca personale e un’osservazione accurata e curata del contesto. Questi servizi, attraverso la cura dei professionisti che vi operano, se riusciranno a raccogliere la sfida e l’opportunità che hanno di fronte, possono educare la società ad una visione reale e in continua creazione dell’identità e del ruolo dell’infanzia e con un pizzico di ambizione, far crescere l’umanità. Imparare a prendersi cura dell’infanzia è curare il futuro in una prospettiva di prevenzione.


[1] Penso D., Insegnare oggi nella scuola dell’infanzia. Bambini, contesti, progettualità e curricolo, Anicia, Roma, 2022. P. 345.

[2] Penso D., 2022, Tra cura e apprendimento, Scuola dell’Infanzia, n. 21, https://www.giuntiscuola.it/articoli/tra-cura-e-apprendimento?fbclid=IwAR2J3TSsv3sVMBJMwvdjWcgraXbJL4UaiC82PlJRjSxgAeMqbEp8M6GHxNk

[3] Nicolodi G., La risposta della scuola al disagio educativo. Aspetti teorici, strumenti di osservazione e strategie operative al nido e alla scuola dell’infanzia, Erickson, 2022, p. 9.

[4] Fabbri P., Significati e contraddizioni della parola curahttps://www.in-psicoterapia.com in Toni P., Servizi educativi e territorio. Creare connessioni, costruire reti: il ruolo del coordinamento pedagogico, Zerosei, Citta di Castello (PG), 2021, p. 45.

[5] Mortari L., Apprendere dall’esperienza. Il pensare riflessivo nella formazione, Carocci editore, Roma, Ia ristampa Studi superiori 2011, p. 142

[6] Ivi. p. 77.

[7] Ivi. p. 144.

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