EXAGERE RIVISTA - Gennaio-Febbraio 2024, n. 1-2 anno IX - ISSN 2531-7334

Il carattere serendipitoso della serendipità. Intervista a Telmo Pievani.

di Federica Biolzi

L’inatteso è parte integrante della natura umana. Telmo Pievani, nel suo ultimo libro dal titolo Serendipità, L’inatteso nella scienza (Cortina editore , 2021) ci aiuta ad approfondire questo fattore che sottende molte scoperte scientifiche.

-La serendipità, vocabolo che in questi anni ha conosciuto una discreta fortuna, è sostanzialmente, come messo in risalto nel titolo del libro, la comparsa dell’inatteso, in primo luogo nell’ambito della ricerca scientifica. Nel suo libro lei scrive che “la serendipità è nata in modo serendipitoso” anche grazie a personaggi come Walpole. Ma come?

-Questo è un po’ il lato ironico che ho scoperto scrivendo il libro. Io ero interessato alla serendipità scientifica e al meccanismo della scienza, poi ho cominciato ad indagare su come è nata l’idea, la storia. Pensavo fosse un’invenzione di Walpole perché l’aveva presa tale e quale da una favola persiana molto bella.

La cosa curiosa è che Walpole in realtà ha frainteso la favola dei tre principi di Serendippo. É una storia di iniziazione, che racconta di questi tre ragazzi che vanno a scoprire il mondo e mettono in mostra le loro capacità poliziesche, investigative, ma non scoprono per caso qualcosa che non stavano cercando. Di sagacia, insomma, ce n’è tanta, ma di caso poco. Walpole, invece, con la sua sensibilità settecentesca, amante delle curiosità, la rielabora da capo e chiama serendipità il cercare qualcosa che arriva in modo inaspettato. Quindi in modo serendipitoso cioè casuale, fraintendendo la favola inventa questo concetto. Il tema della novella di Armeno, a cui si è ispirato, è  l’arte indiziaria, la capacità abduttiva che permette ai tre principi di portare a termine con successo il loro viaggio iniziatico. E’ una vicenda molto interessante perché rimane sotto traccia, nessuno riprende quest’autore per molto tempo. Torna in auge prima nell’ottocento, attraverso gli antiquari ed i bibliofili, e poi nel novecento attraverso gli scienziati.

Il fraintendimento di Walpole è all’origine di molte ambiguità che ancora oggi circondano lo sfuggente concetto di serendipità.

L’idea riceverà le più diverse interpretazioni, ciascuna con un grado diverso di accento sull’accidentalità della scoperta. In fondo, con questo libro, volevo uscire dai soliti aneddoti sulla serendipità, anche perché, diciamolo chiaro, non esiste una teoria sulla serendipità.

-Lei fa riferimento, ad un certo punto, a diversi gradi di serendipità che dipendono dalla sua più o meno accentuata accidentalità. Lei si interessa soprattutto a quella serendipità che dimostra che non sappiamo di non sapere. Perché?

-Di serendipità ve ne sono di tanti tipi diversi, ad esempio quando lo scienziato sta cercando qualcosa con grande tenacia ed insistenza ed alla fine la trova per caso. Ci arriva, ma attraverso l’aiuto della fortuna, dell’evento contingente. Questa si può definire  una serendipità piuttosto debole, perché comunque lo scienziato stava cercando proprio quella cosa lì. 

Un altro caso di serendipità si può trovare quando, ad esempio, il detective intuisce e trova  il colpevole di un crimine,  pensiamo anche ad Umberto Eco nel nome della Rosa e come si arriva al colpevole. Anche qui ci troviamo di fronte ad una serendipità debole, perché gli autori non trovano qualcosa che non stavano cercando, ma sono bravi nel leggere degli indizi.

La serendipità che a me colpisce è quella più forte, quella che accade quando lo scienziato sta cercando qualcosa  per conto suo, ha una sua ossessione, una sua idea,  e,  mentre sta cercando, trova qualcosa che non immaginava prima, qualcosa di totalmente inaspettato. Questo accade più raramente, ma dal mio punto di vista è il tipo di serendipità più affascinante.

Negli tre  ultimi capitoli mi concentro proprio su questa, perché è la dimostrazione che lo scienziato non sa tante cose, è una prova del grande ignoto  e della grande ignoranza dentro la quale questi si muove. E’ come una persona che con una lampada si muove nel buio, scopre tante cose ma il buio è molto grande intorno a lui. Ma, man mano che sposta quella lampada, scopre qualcosa che nemmeno poteva immaginare esistesse. Se ci riflettiamo in fondo tutte le maggiori scoperte più funzionali avvenute nella storia, sono serendipiche. É normale, perché se tu lavori nelle vicinanze di quello che sai già, aumenterai le conoscenze, ma non farai una scoperta rivoluzionaria. Essa può avvenire quando salti nell’ignoto, improvvisamente capisci che non sapevi di non sapere, questo è un punto per me molto importante.

-Eppure la serendipità, come lei stesso dice, non è qualcosa di inafferrabile e fuori dalla metodologia scientifica, quasi fosse qualcosa di insito nel discorso scientifico. La questione pone non pochi problemi per una tipologia di ricerca che procede formulando ipotesi a priori da dimostrare. Ci aiuti a comprendere meglio.

-Secondo me la serendipità ci aiuta a scoprire la logica della serendipità scientifica, ossia il perché tanti scienziati lavorano attorno ad un problema e non trovano nulla di significativo e poi ad un certo punto c’è ne è uno invece che fa la grande scoperta.

Questo é un po’ un mistero, non vi è una spiegazione unica, però la serendipità ti aiuta perché ti fa capire uno degli ingredienti del genio scientifico. In tanti stavano lavorando alla teoria della gravitazione, però ci arriva Newton, perché ci arriva lui? In tanti lavoravano sulle specie biologiche, però è Darwin che capisce l’evoluzione. Perché non l’ha capita un altro? Questa è una domanda interessante della scienza. La serendipità ti aiuta (ed è un’ipotesi che faccio nel libro) nel senso che lo scienziato geniale è quello che sa ascolta gli errori, le anomalie, e quindi è quello che è un po’ più flessibile, non troppo focalizzato sui problemi. 

L’altra cosa molto importante è che la serendipità ti fa capire che quando finanzi la ricerca, devi finanziare la ricerca di base, devi finanziare la ricerca fondata sulla curiosità, non devi essere ossessionato dalle sue applicazioni. Occorre finanziare la ricerca in modo serendipico e quindi anche imprevedibile, affinché  si scopra qualcosa alimentando la curiosità.

Quindi la serendipità è solo apparente, perché le cose sono già nell’aria, oppure dipende dalla nostra capacità di descrivere qualcosa di mai osservato?

-Io non sostengo che tutte le scoperte scientifiche siano serendipiche, forse quelle più importanti, ma non tutte. E’ vero che ce ne sono alcune che erano nell’aria, sono scoperte che nascono da una crescita continua delle nostre conoscenze su un certo problema scientifico e alla fine c’è uno che porta a compimento queste ricerche. In questo caso, l’idea era nell’aria, prima o poi qualcuno ci sarebbe arrivato lo stesso. In questo caso non sono scoperte serendipiche.

La mia tesi è proprio legata a quelle che hanno la caratteristica di imprevedibilità totale per cui, improvvisamente, ti accorgi che non sapevi che c’era una parte del mondo che non avevi mai immaginato di poter indagare.

In fondo la serendipità insegna allo scienziato l’umiltà, dovrebbe insegnare allo scienziato che non può pretendere  di controllare un processo. Deve coltivare l’inaspettato. Basterebbe praticare la scienza più umana, se noi deleghiamo la scienza alle macchine, ai dati, non ci sarà mai serendipità. Il computers non può essere serendipico perché obbedisce al programma che gli hai dato.

La serendipità, in fondo, rende umana e non automatizzabile la ricerca scientifica. Se la sapremo coltivare, le occasioni fortuite continueranno a capitare alle menti preparate e nuove risposte genereranno sempre nuove domande.

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Telmo Pievani

Serendipità

Linatteso nella scienza

Raffaello Cortina Editore, 2021

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