di Gianfranco Brevetto
Gli occhi di un adolescente ci conducono all’interno di una famiglia italiana come ce ne sono tante: una sorella modello, un padre-professore ammirato e desiderato, poi tutto sembra sgretolarsi, implodere. Il racconto di Felix è un diario schietto, disincantato, a volte implacabile. I Giudizi Sospesi (Mondadori) è il romanzo con il quale Silvia Dai Pra’, s’interroga e c’interroga.
– Nel tuo avvincente racconto hai affidato a Felix, protagonista narrante, il compito di descrivere un pezzo di storia di una famiglia della borghesia italiana che dal 1998 al prossimo futuro, il 2023, anche a voler segnare un dopo Covid. Per te, che sei molto attenta al tema delle storie familiari, cosa queste ci dicono e come ci aiutano a interpretare il presente ?
– I romanzi familiari non sono semplici storie personali, in loro la Storia, quella con la maiuscola, entra nella narrazione mostrandosi per ciò che è, non date o battaglie da mandare a memoria, ma vicende umane, generazioni, corpi. Lo scorrere delle generazioni è esso stesso storia: nulla più di quel fluire sa raccontarci, ad esempio, i cambiamenti radicali che sono intercorsi nell’ultimo secolo tra le diverse componenti della società.
– Una famiglia borghese si diceva, che, all’inizio del racconto, appare un modello, almeno una parte di essa, il padre e la figlia, colti e belli. Un nucleo nel quale esplodono, con potenza, le contraddizioni che svelano le apparenze. Cosa c’è nella narrazione di queste famiglie, che la letteratura del secolo scorso, forse troppo ideologica e preconcetta, non è ancora riuscita a cogliere?
– Penso che il romanzo familiare, in realtà, faccia questo da sempre: si sviscerano relazioni in cui spesso l’amore – pur restando presente – diventa anche un velo che si stende sopra a rancori, svalutazioni, competizioni. Oggi non siamo più così ingenui da poter parlare davvero di “famiglie ideali” – sappiamo che difficilmente una famiglia lo è davvero, così come ogni individuo, del resto; e, ogni volta che troviamo quel tipo di famiglie che ci tengono molto a presentarsi come tali, che incarnano alla perfezione il loro ruolo di famiglia-modello, tendiamo subito a chiederci quanto l’affezione a quel ruolo nasconda una disfunzionalità. Penso però che, per quanto i Giovannetti/Grossi, ossia la famiglia protagonista del romanzo, abbia modo nel corso delle pagine di mostrare tutti i suoi difetti e le sue contraddizioni, non possa essere davvero giudicata male. Sono persone comuni, difettosi come tutti noi, sbagliano ma cercano di redimersi, forse hanno semplicemente creduto troppo alle loro virtù – la cultura, l’intelligenza; forse si sono semplicemente illusi che quelle doti fossero sufficienti a metterli in salvo dall’imprevisto.
– Nel racconto, Perla, Perla-la-perla, la figlia che tutti vorrebbero avere e alla quale idealmente potrebbe essere dedicato il libro, svela ben presto un suo lato oscuro che la porta ad incontrare i servizi psichiatrici. Crudelmente, questa vicenda, evoca il vero terrore di un genitore, o di un amante, di fronte ad un figlio adolescente, o a partner: scoprire nella persona amata un altro, imprevedibile, sconosciuto, magari violento. Non è così?
– Quando noi analizziamo un fenomeno storico, spesso sappiamo che, con un altro getto di dadi, forse quegli eventi non sarebbero accaduti, o magari avrebbero preso forme diverse – il nazismo era stato preparato da una lunga tradizione culturale e da diversi eventi, certo, ma non possiamo sapere se si sarebbe manifestato nello stesso modo, se non fosse scattata una scintilla tra la figura di Hitler e la nazione tedesca. Lo stesso, trasposto nella vita umana, è ciò che accade a Perla: il suo disagio adolescenziale esplode tutto in un colpo e con una violenza inaspettata, ma è impossibile sapere se la sua fragilità si sarebbe manifestata in modo diverso, se il suo cammino non avesse incrociato quello di una persona, James, il cui talento principale sembra proprio essere quello di far impazzire gli altri. Sarà ciò che James Tocci e la famiglia Giovannetti si rinfacceranno lungo i decenni: lei era già così, o è stato lui a trasformarla?
– Lasciamo questo dubbio al lettore. In tutti i casi la violenza sulla donna è un tema che attraversa la narrazione di questa famiglia.
– Il tema della violenza sulle donne – o del femminicidio – è diventato un argomento spesso al centro dell’attenzione mediatica, e quindi affrontato con tutti i limiti del caso, spesso ridotto a cronaca nera, a brusio di fondo, a giornate dedicate. Volevo raccontare una storia di violenza sulle donne – perché questa è la storia di Perla, per quanto ne I giudizi sospesi non ci siano quasi mai veri e propri episodi di violenza fisica, ma il modo in cui il marito distrugge capillarmente ogni aspetto di quella che era “la leggenda di Perla” non può non essere definito violenza – allontanandomi sia dalla cronaca che dall’intimismo: volevo che il libro si aprisse, che raccontasse ciò che accade davvero nelle famiglie, dove la rovina di un membro finisce sempre per abbattersi anche su tutti gli altri.
– Un tema centrale in ambito letterario che si inserisce nel tema, come si diceva, del chiaroscuro delle relazioni sentimentali . A quali autori ti sei ispirata?
– Come impostazione della struttura, ho attinto a degli elementi classici della tradizione romanzesca: il tema del disfacimento di una famiglia sotto gli urti degli eventi esterni, ad esempio, ma ho cercato di riprendere anche una figura classica del romanzo ottocentesco – la “malmaritata”, ossia quella donna la cui vita viene travolta, spesso distrutta, da un matrimonio sfortunato, figura meravigliosamente riassumibile con Isabel Archer, la protagonista di Ritratto di Signora di Henry James. La “malmaritata” nel nostro millennio è un concetto che ci arriva con delle sfumature retrò, in fondo il divorzio esiste da cinquant’anni, non c’è più il problema della dote e le donne hanno tutte le risorse, economiche, sociali e psicologiche, per superarlo senza difficoltà – il problema è che, nonostante ciò, e per motivi diversi, ancora troppe donne si ritrovano con la vita distrutta (in senso figurato, ma spesso anche letterale) da una relazione sentimentale.
– il titolo I giudizi sospesi, richiama alla mente l’epoché. Credi che il senso di ciò che viviamo, delle nostre relazioni ed affetti, sia rintracciabile solo attraverso una sospensione del giudizio?
– Non penso che l’epoché possa essere davvero uno stile di vita – di certo, in un momento storico in cui il dibattito pubblico tende a polarizzarsi in curve da stadio e a cancellare ogni possibile sfumatura, andrebbe praticata un po’ di più. Tornando al titolo del romanzo, però, il senso non è tanto quello filosofico, quanto, in un certo modo, più giuridico – i personaggi vorrebbero continuamente imbastire processi, a se stessi e agli altri, ma non arrivano mai nemmeno al primo grado di giudizio, non riescono mai a comprendere chi è colpevole e chi innocente. E’ anche un rimando al mondo della scuola – giudizi sospesi è il modo in cui oggi vengono chiamati i risultati finali degli studenti che devono fare gli esami di riparazione a settembre – un’allusione, quindi, al mestiere dei genitori, entrambi insegnanti, ma anche a quel “palcoscenico” (perché, nella prima parte del libro, il liceo dei Giovannetti diventa un palcoscenico in cui la borghesia di provincia mette in scena se stessa) in cui Perla è rimasta congelata nel ruolo della ragazza modello e Felix in quello del figlio deludente.
Silvia Dai Pra’
I giudizi sospesi
2022, Mondadori