EXAGERE RIVISTA - Luglio - Agosto - Settembre 2024, n. 7-8-9 anno IX - ISSN 2531-7334

Il dottor Antonio Alcibiade Macchia (racconto)

di Gianfranco Brevetto

Il dottor Antonio Alcibiade Macchia aveva già compiuto quarant’anni quando decise di metter su casa per andare a vivere da solo. Non che non avesse avuto voglia di farlo prima, è che non ci aveva mai pensato.

Aveva avuto da fare. Molto. Infatti aveva studiato tanto per laurearsi. Sì, perché il dottor Antonio Alcibiade Macchia era un dottore in medicina. Una laurea con i fiocchi e i controfiocchi, come gli avevano sempre detto.

Aveva vissuto, fino a quel giorno con la madre, golosa di piccole frittelle al miele.

– Devi prendere moglie, gli diceva la mamma, le farò assaggiare le mie frittelle.

– Sì, mamma, prima mi devo fidanzare.

– Appunto, fidanzati!

Questo discorso, fatto di tanto in tanto, si chiudeva sempre così. Un ritornello al quale, entrambi, rispondevano allo stesso modo. E così era stato, fino al giorno della sospirata laurea, quando, al colmo della soddisfazione, Antonio Alcibiade Macchia poté fregiarsi, finalmente, del titolo di dottore. Tre anziane signore, amiche della mamma, erano le sue uniche clienti. Queste, con la scusa di farsi misurare la pressione, si rimpinzavano di frittelle.

– Mamma non dar le frittelle al miele alle mie pazienti, ingrassano.

– Lo faccio per te figlio mio, lo faccio per te.

– Ma almeno non friggerle per un’ora!

La mamma però friggeva, friggeva e rifriggeva. Tant’è che l’odore arrivava fin nel pianerottolo e si espandeva su e giù per le scale. All’ennesima frittura serale, all’ennesimo camice irrimediabilmente contrassegnato dall’odore acre e persistente delle ciambelle, il dotto Macchia si decise: lasciò mamma e ciambelle ed andò via.

Non molto lontano. Le anziane amiche della madre non avrebbero avuto difficoltà a seguirlo, bastava attraversare la strada per raggiungere il minuscolo appartamento preso in affitto dalla signora Mara.

– Mamma, ho deciso vado in affitto dalla Mara.

– Le frittelle ti arriveranno fredde!

– Le riscalderò.

E, per la prima ed ultima volta, la madre replicò:

– Ma non saranno più le stesse!

Il dottor Antonio Alcibiade Macchia non rispose e il dialogo terminò.

Questa frase dovette comunque a lungo risuonare nella mente del dottor Antonio Alcibiade Macchia quando la sera si ritrovò, per la prima volta, da solo nella nuova casa. Dopo aver mangiato le frittelle riscaldate non riusciva a prendere sonno. Non per i soliti disturbi allo stomaco che gli provocavano le frittelle fritte dalla madre, piuttosto perché aveva un sentimento mai provato in precedenza. La sera, da solo, aveva paura.

Così, la prima notte solitaria del dottor Antonio Alcibiade Macchia non fu una notte tranquilla. Guardò un po’ la televisione, lesse un libro sull’artrosi, bevve un tè e due bicchieri d’acqua. Poi si mise alla finestra, da dove poteva vedere la sua cameretta.

Solo alle prime luce del giorno, si addormentò per un’oretta. Quando si risvegliò, decise che non ne avrebbe parlato con nessuno e sarebbe rimasto lì, nella sua nuova casa, a tutti costi.

Quel mattino vennero, nel suo nuovo studio, le tre arzille vecchiette alle quali misurò, come al solito, la pressione e prescrisse dei farmaci per far crescere le unghie. Consigliò loro di non tingersi i capelli con riflessi turchesi, un verde sarebbe stato più rilassante.

Nel pomeriggio, approfittando dell’assenza delle sue tre clienti, andò in una libreria lì vicino. Voleva acquistare un libro, appena uscito, sulle cure termali nelle mezze stagioni. Approfittò per dare un occhiata in giro, affascinato dai tanti libri in bella mostra sugli scaffali.

– Io le consiglierei quello lì…

Il dottor Antonio Alcibiade Macchia era troppo preso dal guardare un libro sulla vita delle fate dei boschi di piante caducifoglie, per accorgersi che qualcuno gli stava parlando.

… nei boschi caducifloglie le fate, durante la stagione invernale, hanno necessità di mettersi a riparo per cui emigrano altrove o vanno in letargo…

– .. in letargo… bah! rifletteva il dottor Antonio Alcibiade Macchia.

– Io le consiglierei quello lì! riprese quella voce. Signore? Dico a lei! Io le consigliere quel libro lì…

Il dottore Antonio Alcibiade Macchia, non si voltò. Dalla data della sua gloriosa laurea, aveva promesso di voltarsi solo ed allorquando, qualcuno lo avesse chiamato dottore. Quindi non si voltò. Non lo fece anche perché aveva molto sonno.

Un altro cliente gli fece notare, con piccoli colpetti sulla spalla, che qualcuno gli stava parlando allora lui, il dottore, si sentì obbligato a girarsi.

– Buongiorno, mi dica, disse il dottor Antonio Alcibiade Macchia.

– Buongiorno, volevo consigliarle quel libro lì..

– Quale?

– Quello lì, in alto alla sua sinistra.

– Questo?

– Quello a lato…

Solo dopo quel breve colloquio, il dottor Antonio Alcibiade Macchia guardò in direzione di chi gli aveva dato il consiglio. Era una ragazzina dai modi gentili e cortesi, da lei proveniva un senso di tranquillità ed insieme di sfrontatezza. Il dottor Antonio Alcibiade Macchia, sfilò il libro dallo scaffale e lo pose alla distanza giusta per poterlo leggere. In copertina non c’era il nome dell’autore, la sua attenzione fu attirata dal titolo.. il filo della notte

La ragazzina gli parlò di nuovo interrompendo le sue riflessioni:

– Lo legga, lo legga, vedrà è un libro bellissimo …

– Sì, grazie, il titolo è interessante..

– Io l’ho regalato al mio fidanzato, gli è piaciuto tantissimo. Mi chiamo Diletta, e lei?

– Io sono il dottor Antonio Alcibiade Macchia, molto piacere. Ecco, le dicevo, il libro mi sembra interessante…

Il dottor Antonio Alcibiade Macchia, intenzionato a dar alcuna soddisfazione a quella ragazzina, continuava, a guardare e sfogliare il libro. Lo teneva chiuso con una mano e passava rapidamente il pollice dell’altra sul taglio davanti. Quando, infine, si volse di nuovo verso la ragazza, si accorse che questa non c’era più. Si guardò intorno, nulla. Andò a controllare nell’altra sala, nulla. Si sporse fuori dal negozio per vedere in strada, sempre nulla.

– Bah! pensò.

E fu l’unica considerazione che gli venne a mente in quel momento.

In tutto quel cerca cerca il libro gli era rimasto tra le mani. Non solo, alle sue spalle c’era il commesso del negozio. Questi lo aveva pazientemente seguito, insospettito dal quel suo andare fin fuori il negozio con il libro al seguito.

– Facciamo una confezione regalo? propose il commesso.

– Sì, certamente! Un regalo, cos’altro? rispose sorpreso e stizzito il dottor Antonio Alcibiade Macchia, che

non aveva mai pensato di acquistarlo.

Il dottore, dopo una lunga passeggiata, tornò a casa. Dal lato opposto delle strada arrivavano, a piccole ondate portate dal vento intermittente di quel giorno, gli odori delle ciambelle che la mamma non aveva smesso di friggere. Tra tre giorni sarebbe arrivato il suo compleanno.

Il dottor Antonio Alcibiade Macchia aveva sonno, se la trascinava dal mattino quella sensazione. Non aveva molta fame. Preparò una minestra dove galleggiavano due carote lesse e qualche foglia di cavolo verza. Aveva tanto sonno il dottor Antonio Alcibiade Macchia. Ma, più il momento di addormentarsi si avvicinava, più sentiva arrivare un’agitazione che nemmeno lui sapeva da dove venisse. Più guardava il letto, più pensava che anche quella notte non avrebbe dormito. Più pensava che, dopo quella scarsa e insipida cena, sarebbe giunto il momento di lavarsi i denti e andare a letto, più gli veniva voglia di rivestirsi e uscire.

Avrebbe voluto fare una passeggiata, riprendere il giorno dal suo inizio. Si sentiva inquieto, un’inquietudine strana, senza apparente motivo. Si guardava intorno, ripuliva e riassettava il suo piccolo appartamento, guardava la finestra di fronte e scorgeva l’ombra della mamma, indaffarata tra i fornelli e le padelle fumanti.

Il libro distrattamente acquistato era rimasto lì, sul tavolino, nel sacchetto di carta della libreria.

Lo prese, passò due o tre volte il pollice tra le pagine. Poi si decise, si sedette in poltrona ed aprì una pagina a caso, verso la fine. L’aveva scelta perché c’era un disegno di un barattolo con un imbuto verde.

… quindi avrete, ben capito, che il filo delle notte sfugge e, per qualcuno, è difficile afferrarlo. Alcuni fanno proprio tanta fatica, nelle pagine precedenti ne avete trovato le motivazioni e le relative spiegazioni…

– Il filo della notte? Cos’è? si chiese incuriosito il dottor Antonio Alcibiade Macchia.

Tornò indietro di qualche pagina, sempre fermandosi dove vedeva un’illustrazione. Questa volta si trattava di una pecora che sembrava attenderne altre e di una capra che guardava, da lontano, una panca.

Lì, lesse:

… i nostri studi hanno dimostrato, come ben argomentato nelle pagine precedenti, che esiste un solo filo, un solo bandolo, sottile e sfuggente che, una volta afferrato, permette di addormentarsi. E questo bandolo, può e deve essere solo nel luogo indicato a pagina ¥₴ …

– E che pagina è? Questi non sono numeri… forse un errore di stampa..

Il dottore non si dette per vinto e continuò a sfogliare il libro a ritroso per vedere se, tra i numeri delle pagine, ci potesse essere qualcosa che somigliava a quei simboli strani.

Si arrestò, ancora una volta, in una pagina con un’illustrazione, non meno enigmatica delle altre. Qui, una serie di numeri si trasformavano in simboli, simili a quelli che lui cercava, che poi si tuffavano in un grosso pentolone dove bolliva qualcosa.

Andò ancora più indietro, ad un’altra illustrazione: un vaso di fiori con delle rane che sembravano voler parlare e dire qualcosa. Sotto c’era scritto : … potrebbero essere dei ranuncoli…

Ancora indietro. Un’altra illustrazione. C’era una padella ed una ragazza che friggeva, a lato, con lettere sempre più confuse, si leggeva … forse dei libri senza olio…

Ai suoi occhi, quel benedetto libro sembrava complicarsi e confondersi a mano a mano che si procedeva a ritroso.

Ancora più indietro, un’altra illustrazione: un quadro alla parete, dentro una pergamena rilasciata dall’Università, sopra c’era scritto … felice compleanno…. Poi, una foto: lui da bambino… una didascalia : foto di Antonio a 6 anni.

La stanchezza, l’odore acre del fritto, rendeva tutto ancora più incerto e indecifrabile. In una pagina piena di macchie, un’annotazione: … potrebbero essere dei cognomi da medico..

Poi, solo pagine con macchie e luci. Infine una completamente scura. A poterla vedere meglio, proprio tutta scura non era. C’era come una codina di gatto o di topo, un filo o un bandolo che si lasciava finalmente acciuffare.

Fu in quel momento che il dottor Antonio Alcibiade Macchia, medico quarantenne con l’indice infilato a pagina ¥₴, cominciò serenamente a russare.

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