di Gianfranco Brevetto
Nel nostro quotidiano avvertiamo il bisogno di dare un motivo, assegnare un perché alle nostre azioni, ai nostri comportamenti. A pensarci bene si tratta di qualcosa che riguarda non solo l’esterno, le nostre relazioni con parenti, amici, estranei, ma anche noi stessi, la valutazione continua e interiore del nostro agire. Flaminia Bolzan, psicologa, criminologa, ci aiuta a orientarci su questo terreno a volte paludoso.
– Innanzitutto, le chiederei del perché esiste questa necessità di giustificarsi, di dare una misura alla maggior parte delle cose che facciamo?
-Spiegare e spiegarsi le proprie azioni ha a che fare con la necessità di conoscersi, farsi conoscere e individuare il motivo per cui ci muoviamo verso qualcosa o qualcuno. La giustificazione, etimologicamente e concettualmente ha un senso e un significato diverso. Quando parliamo di “giustificazione” è come se sottendessimo la natura non proprio condivisibile di un agito, o comunque, facciamo riferimento ad un qualcosa che almeno potenzialmente potrebbe essere criticato. In questo senso, quindi, cerchiamo di costruire o trovare un appiglio. Dotare di senso un comportamento, una scelta, un accadimento è un processo necessario che fa parte della natura antropologica, al contrario, non esisterebbero gli oroscopi e non sarebbero esistiti gli oracoli. Diverso è il bisogno di trovare una spiegazione passe par tout con l’intento di rendere accettabile e condivisibile per gli altri quello che, probabilmente, proprio dentro noi stessi sentiamo di non poter accogliere totalmente.
-Si potrebbe dire che questa esigenza non consiste solo nel giustificarsi, al nostro interno o verso gli altri, ma anche nel valutare le giustificazioni che altri danno al loro operato, nel giustificare, o meno, gli altri. Quando e quanto è importante tenere conto delle motivazioni di chi ci circonda e come possiamo farlo senza aver la sensazione di aver concesso troppo ?
-Comprendere e giustificare non sono affatto sinonimi, anzi, esprimono due aspetti completamente diversi del rapportarsi ad un qualcosa. Tenere conto delle motivazioni altrui, dei perché che guidano verso un’azione trovo sia fondamentale come prodromo di un processo di conoscenza e soprattutto come atteggiamento per poter cercare di andare più in profondità nelle cose. La giustificazione, al contrario, non è dovuta. È soggettiva, possiamo capire senza voler giustificare. Soprattutto possiamo non sentire il “dovere” di assolvere qualcuno in relazione all’analisi degli aspetti che lo hanno condotto ad una determinata azione. La tendenza a voler giustificare a tutti i costi, spesso, ha a che fare con la paura di perdere l’altro. Quindi, per non sperimentare l’ipotesi di un abbandono, preferiamo perdere noi stessi provando appunto la sensazione di cui lei mi chiede, ma cercando di negarla.
-Lei ha analizzato molti dei delitti, anche feroci, accaduti nelle cronache recenti. Quello della giustizia penale è un ambito molto delicato e impatta su dolori e sentimenti che segnano intere esistenze. Il codice penale italiano, pone particolare attenzione all’elemento soggettivo, all’intenzionalità. Esiste, secondo lei, è un rapporto tra giustizia e giustificazione in ambito processuale? Se sì, come garantire un equilibrio tra questi due elementi?
-Esiste un rapporto tra giustizia e cause. Tra analisi e conseguenze di un’azione. La norma, come lei rileva, prevede sempre un elemento soggettivo che ha appunto a che fare con il grado di intenzionalità di un’azione. Chi fa il mio lavoro deve tenere in considerazione l’impatto che moltissime variabili, ambientali, situazionali e soprattutto psicologiche, hanno appunto sul determinarsi di un fatto, ma questo non riporta alla “giustificazione”, quanto più che altro alla possibilità di considerare un delitto nella sua complessità per poter applicare al meglio le previsioni codicistiche. L’equilibrio è appunto garantito da queste.
-Nel suo recente libro, L’Atlante dell’amore, strategie per non perdere la bussola nelle tue relazioni (Rizzoli, 2024) lei tratta di diversi aspetti di una relazione: l’innamoramento, l’idealizzazione, la scelta tra convivenza e matrimonio, il tradimento, le forme di manipolazione… Quanto sono importanti in un rapporto affettivo i meccanismi di giustificazione? Possono essere utili? Entro quali limiti?
-In un rapporto affettivo tendiamo inevitabilmente a giustificare qualcosa nel momento in cui ci rendiamo conto o presumiamo che questa, intesa come azione od omissione, possa causare una reazione emotiva dell’altro. Più che di meccanismi di giustificazione sarebbe importante parlare di accettazione e di possibilità di condividere sè stessi nella relazione, con la giusta autenticità. L’obiettivo dovrebbe essere questo. Tenendo contro del rispetto dell’altro e della costruzione, poter essere liberi, sempre, di agire in linea con il nostro essere e con i nostri valori. Se ci rende conto di aver sbagliato, poi, ci si può giustificare certamente, ma l’importante è che questo non sia fatto in maniera autoassolutoria, al contrario, è importantissimo che si possa tener conto di quello che è il sentire dell’altro.