di Giulia Pratelli
Ogni canzone è composta da due elementi fondamentali, che ne determinano l’essenza e ne costituiscono la struttura portante. Melodia e testo sono parti imprescindibili di qualsiasi brano, senza la quali ci troveremmo di fronte ad una poesia, magari, o ad un’esecuzione strumentale.
Il libro di Riccardo Burgazzi, Il maschilismo orecchiabile. Mezzo secolo di sessismo nella musica leggera italiana prende in considerazione l’elemento testuale e, su di esso, propone un’analisi molto interessante. L’autore, infatti, analizzando numerosi brani, sottolinea come nelle canzoni sia possibile ritrovare i modelli prevalenti nel nostro tessuto culturale, effettuando una vera e propria indagine sociologica. Dal piccolo volume, pubblicato da Prospero Editore, emerge (ahimè, senza grandi sorprese) la predominanza di un modello maschilista, diffuso talvolta sotto mentite, o quantomeno addolcite, spoglie.
L’intento alla base di questa operazione letteraria non è quello di puntare il dito ma piuttosto di diffondere una presa di coscienza, talvolta ironica, su un argomento che riguarda da vicino ognuno di noi. Il maschilismo è un fenomeno che si annida anche dove non è facile riconoscerlo: quando va a nascondersi tra le note di una canzone lo canticchiamo, magari distrattamente, in modo inconsapevole e leggero, e così lo interiorizziamo, ogni giorno di più.
Abbiamo posto alcune domande all’autore, filologo e autore di saggi e articoli che, sempre per Prospero Editore, ha scritto anche i due romanzi Storia del Michelasso, che mangia, beve e va a spasso (2016) e Le primavere di Praga (2018).
-Il suo libro accompagna in un approfondimento molto interessante sul rapporto tra i testi delle canzoni e la mentalità di stampo maschilista, spesso diffusa anche grazie a melodie orecchiabili e recepita con ascolti passivi o non del tutto consapevoli. Si tratta, secondo Lei, di un’influenzarsi a vicenda tra musica e società o ritiene che l’arte (visto che fa rifermento anche alla mitologia e alla letteratura antica) abbia delle responsabilità dirette nella diffusione di un modo di pensare misogino e paternalista?
-“Arte” è un termine ombrello: sotto ci possono stare molte cose. Nel libro prendo in considerazione testi di musica leggera, cioè espressione di quella che potrebbe dirsi “arte pop”. L’aggettivo “leggera” è ciò che più aiuta a rispondere alla domanda: essendo testi disimpegnati, non propongono idee nuove o pensieri critici, ma descrivono (o meglio, cantano) la società in cui vengono prodotti, come uno specchio. Non influenzano, rappresentano.
Se un testo con leggerezza afferma “digli a quel coso che se lo rivedo gli spaccherò il muso”, lo fa dando per scontato, logico e perfettamente normale che la fidanzata sia una proprietà da difendere. E lo fa perché evidentemente è un concetto comunemente accettato, pacifico… cantabile con leggerezza.
-Leggendo Il maschilismo orecchiabile e soffermandosi sulle citazioni di numerosi testi, si ha l’impressione che non ci sia poi una grande differenza tra la musica che possiamo considerare pop e quella che chiamiamo “d’autore”, dalla quale potremmo forse aspettarci una maggiore sensibilità e una maggiore capacità di andare oltre gli stereotipi di genere. È una sensazione corretta o in realtà, nella sua analisi, ha potuto riscontrare differenze concrete tra questi due ambiti della musica leggera italiana?
-Mi auguro che l’effetto non sia questo: la musica “d’autore”, proprio al contrario di quella leggera, ha per statuto quella dell’espressione di idee complesse. Un testo di musica leggera può limitarsi a cantare “sole, cuore, amore”: non pretendiamo il contrario, basta che non stoni. Un testo di musica cantautorale ci chiede invece di prestare attenzione alle sue parole. Poi, certo, a volte anche alcuni cantautori, pur impegnandosi, dicono banalità. Come per esempio esprimere il desiderio di volere “una donna con la gonna”.
-La sua analisi sottolinea inoltre che l’uomo lasciato tende ad utilizzare, nella sua narrazione, un linguaggio che richiama, senza molta fantasia, i caratteri dello stalking. In Ricominciamo di Adriano Pappalardo si ascolta “So dove passi le notti” e “Ti seguo, ti curo / Non mollo, lo giuro / Perché sono nel giusto”, in Una rosa blu di Michele Zarrillo troviamo “Ma se fossi mia io ti legherei / con un laccio al cuore che ti faccia male quando te ne vai”. Potremmo ricordare anche Margherita di Cocciante, Ancora di De Crescenzo, Ti Pretendo di Raf e via dicendo.
Uno spunto di riflessione interessante, da lei proposto, riguarda questo atteggiamento possessivo, giustificato dalla bugia del troppo amore, dal quale emerge soprattutto un completo disinteresse nei confronti dei sentimenti e delle volontà della persona oggetto di attenzioni e pretese e dell’esito, talvolta traumatico, cui esse possono dare seguito…
-Il libro cerca di proporsi come un piccolo prontuario per catalogare testi che, all’orecchio, stridono. Le categorie sono otto. Tre per figure femminili (donna angelo, donna immobile, donna Circe), due per relazioni finite (quando lui lascia lei e quando lei lascia lui), tre per figure maschili (playboy, stalker e gran maestro). Gli esempi proposti sono finalizzati ad aiutare, durante un ascolto, a inserire senza fatica un testo in una di queste ‘scatole’. Non per puntare l’indice contro questa o quella canzone, ma semplificare l’azione critica dei fruitori.
-Nel suo libro si getta uno sguardo anche ai casi in cui le interpreti hanno dato voce ad un punto di vista diverso, rispondendo a chi descrive le donne che non mantengono il ruolo di “angelo del focolare” come pericolose, ammaliatrici. Ci sono gli esempi di Caterina Caselli (Nessuno mi può giudicare, 1966) e Raffaella Carrà (Tuca Tuca, 1971). Si può ravvisare, secondo Lei, una risposta a quel modus narrativo maschio-centrico nel vasto mondo della musica d’autrice?
-Credo si debba sempre restare nell’ottica della rappresentazione: ci sono testi che esprimono concetti non maggioritari, perché in ciascuna epoca il pensiero non è mai (fortunatamente) unico.
–Infine, come mai secondo Lei in una società in continua evoluzione, che oggi riceve molteplici spunti e inviti ad essere più attenta e sensibile di fonte a temi come la parità di genere la canzone non riesce a sganciarsi dalla mentalità maschilista?
-Oggi… non so! Io per precauzione mi sono fermato a un’analisi che arriva fino a quindici anni fa. Scherzi a parte, se la canzone leggera è rappresentazione della società che ci circonda, al cambiare della società cambieranno anche i testi. Tanto per fare un esempio, ho notato che qualche mese fa su Rai Uno, in un gioco a quiz, Amadeus ha fatto cantare a Pappalardo il suo brano più celebre, che lei citava prima, ma anziché le parole, dopo l’urlo “Ricominciamo!”, seguiva una serie di “na na na”, così canticchiato anche in coro dal pubblico in studio. Ecco, forse anche in una trasmissione nazional popolare per eccellenza è percepito un po’ stridente cantare “so dove passi le notti, ti seguo, ti curo, non mollo, lo giuro”.
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Riccardo Burgazzi
Il maschilismo orecchiabile.
Mezzo secolo di sessismo nella musica leggera italiana
Prospero Editore, 2021