EXAGERE RIVISTA - Marzo-Aprile 2025, n. 3-4 anno X - ISSN 2531-7334

Il santo supereroe dei fumetti: l’iconografia di Don Bosco. Intervista a Roberto Alessandrini.

di Gianfranco Brevetto

È un gioco di continui rinvii. Una fotografia scattata negli anni Ottanta dell’800 viene trasformata in un dipinto, che a sua volta viene fotografato e influenza una serie di figurine Liebig, un fumetto religioso tra i più diffusi di tutti i tempi e persino la produzione filatelica. È l’icona di Don Bosco, la sua immagine più nota, esaminata nel libro Il santo educatore, pubblicato dalla casa editrice Bibliotheka e dedicato al santo piemontese nell’immaginario popolare. Ne parliamo con l’autore, Roberto Alessandrini, docente di Antropologia culturale all’Università Pontificia Salesiana di Roma.

–  Da santo a protagonista di storie a fumetti e la sua immagine impressa su figurine distribuite in alcuni prodotti alimentari. San Giovanni Bosco, uno delle figure più significative e incisive nell’ambito del cristianesimo sociale, a partire dagli anni ’40 del secolo scorso entra a far parte di un campo del tutto nuovo ed inconsueto. Cosa è successo e perché proprio Don Bosco?

Negli anni Quaranta del ‘900 convergono due avvenimenti di grande rilievo per la ricostruzione dell’iconografia di Don Bosco. Il primo è l’edizione di una serie, solo italiana, di figurine Liebig sul santo piemontese, datata 1946 o 1947, ma probabilmente ideata per il decennale della canonizzazione (1944). È composta di sei immagini verticali che mettono in rilievo il profilo educativo del sacerdote e le sue più felici intuizioni: oratori festivi, scuole serali, professionali e agrarie, collegi e missioni salesiane. Le immagini di queste “carte povere”, espressioni di un’iconografia ludica e didattica di impronta borghese, laica e positivista, portano in scena i momenti salienti di una vita esemplare secondo i canoni della letteratura agiografica.

Il secondo avvenimento è la pubblicazione, in Belgio, della monumentale biografia del santo firmata da Joseph Gillain, in arte Jijé, uno dei primi fumetti realisti disegnati in Europa e probabilmente anche la prima agiografia di ampie dimensioni in un contesto dominato da strisce umoristiche. Pubblicata a puntate sul settimanale Spirou dal 6 aprile 1941 al 24 dicembre 1942, l’opera viene riunita in volume e diventa un bestseller con oltre 200 mila esemplari diffusi tra il 1943 e il 1949. 

– Tra la fine degli anni Venti e gli anni Quaranta del Novecento prende forma e si consolida l’immagine di Don Bosco che, tra le tante, diverrà iconica e sarà continuamente riproposta fino ad oggi.

Questo è un aspetto rilevante. La beatificazione del sacerdote piemontese (1929) e la successiva canonizzazione (1934) mettono in moto un processo selettivo a partire dalle fotografie, una in particolare. Don Bosco, infatti, si era messo varie volte in posa per i primi fotografi del suo tempo con l’intento di assecondare il desiderio dei molti amici e benefattori desiderosi di avere un suo ricordo. La foto presa come riferimento per l’immagine ufficiale della beatificazione, rielaborata dal pittore Angelo Enrie nel 1928, e per quella della canonizzazione, rielaborata da Mario Caffaro Rore (1941), è lo scatto Don Bosco in poltrona (1880), detta anche Don Bosco Consigliere, di Michele Schemboche, uno dei pionieri della fotografia in Italia, allievo di Nadar e attivo a Torino, Firenze e Roma.

Le rielaborazioni di quell’immagine fotografica dettano le linee di un nuovo apparato figurativo che presenta Don Bosco ringiovanito, ieratico, dallo sguardo intenso, il sorriso misurato, i capelli un po’ in disordine. In particolare, la rielaborazione pittorica di Caffaro Rore viene fotografata per favorirne la diffusione attraverso immaginette e cartoline fino a divenire, di fatto, l’icona più nota del sacerdote piemontese, utilizzata in tutto il mondo anche in campo filatelico.

Dalla fotografia di un dipinto ispirato a sua volta a una foto si giunge all’immagine di Don Bosco riprodotta a disegno in una delle sei figurine che la Liebig dedica al santo e, come in un gioco di proiezioni, quell’immagine viene adottata, pur con inevitabili varianti, nella biografia a fumetti di Jijé.

Sulla stessa linea si collocano, in seguito, anche le scelte operate dai salesiani per le grandi celebrazioni legate al fondatore, come il manifesto del centenario della morte del santo nel 1988, il logo per il bicentenario della nascita e le emissioni filateliche nel 2015. 

– Ho provato un sentimento di simpatia nel vedere l’immagine riportata sulla copertina del suo prezioso volume: Don Bosco che, brandendo una sedia, si difende dai ladri. Ci troviamo di fronte ad un vero e proprio ribaltamento rispetto ai canoni classici di rappresentazione della santità, il consacrato si muove, assume atteggiamenti molto umani e si comporta come un vero è proprio eroe dei fumetti. Cosa ha significato in termini di prossimità non solo con i fedeli?

Ha ragione. Sorprende vedere un santo con una pistola in mano o mentre agita in aria una sedia per difendersi dai banditi, compie acrobazie da funambolo, lava i piatti, gioca con i ragazzi, cammina sul lungomare di Nizza con la stessa naturalezza con cui incontra papi, ministri e scrittori. Quando si evade dagli angusti confini dell’immagine devozionale, ripetitiva e rassicurante, si entra in un territorio in cui tutto può accadere.

Se gli eroi dei fumetti sono inizialmente borghesi ridicoli o bambini terribili, negli anni Trenta si affaccia sulla scena la figura dell’avventuriero atletico e virile, astuto e senza paura, che mette tutte le sue qualità al servizio dell’ordine, della giustizia e del bene. Don Bosco non sfugge a questo schema e, grazie alla matita di Jijé, diviene un moderno eroe popolare cristiano, innovatore e ottimista, decisamente antiborghese, che mostra il cammino per realizzare nuove organizzazioni sociali in sintonia con nuove visioni ideali, dotato di una plasticità che gli consente di adattarsi ai cambiamenti storici, e talvolta di anticiparli, senza rinunciare a una sana parte di follia.

– Nella prima metà del secolo scorso la scuola dei fumettisti belgi ha goduto di un successo di non poco conto. Ricordiamo in primo luogo Tintin, con il disegnatore Hergé. Tra questi fumettisti di successo vi fu anche Joseph Gillain, noto con lo pseudonimo di Jijé. Gillain accetta l’incarico di produrre una serie di strisce, con protagonista proprio il santo italiano, che sono successivamente divenute, all’epoca, un vero e proprio successo editoriale.  In quale contesto si inserisce questo successo che oggi sembrerebbe impossibile?

La biografia di Don Bosco disegnata da Jijé, probabilmente il fumetto religioso più diffuso di tutti i tempi, inizia con l’ingegnosa intuizione di un devoto editore e con l’iniziale riluttanza di un giovane, promettente disegnatore. Siamo negli anni della seconda guerra mondiale, nel Belgio invaso dalla Germania.  Non è certo il contesto ideale per occuparsi di fumetti, anche perché la pubblicazione di numerosi periodici viene sospesa. Eppure René Matthews, genero dell’editore Dupuis di Marcinelle, intende realizzare una biografia di Don Bosco. Ne parla con Joseph Gillain, allora ventiseienne. È giovane, ma ha già collaborato a vari periodici firmandosi Jijé, trascrizione fonetica delle iniziali del suo nome. Per convincere il refrattario Jijé a disegnare a una biografia di Don Bosco, René Matthews deve faticare non poco, ma quell’avventura editoriale contribuirà alla sopravvivenza della casa editrice Dupuis in anni di guerra.

-La biografia di Don Bosco si può inquadrare nel contesto della cosiddetta “scuola franco-belga” di fumetto, che annovera Hergé e Jijé tra i fondatori.

Esattamente. L’espressione designa l’insieme della produzione francofona, in opposizione ai comics americani e ai manga giapponesi. In modo più preciso, rinvia a uno stile che si sviluppa a partire dagli anni Trenta in Belgio, dove la Chiesa esercita di fatto un monopolio sulla stampa infantile e che conquista il mercato francese dopo il 1945 con i settimanali Spirou e Tintin, periodici non confessionali, ma di ispirazione cattolica, a lungo venduti nelle chiese o attraverso i circuiti del movimento scout. L’orientamento è per la ligne claire, come sarà definita dalla critica negli anni Sessanta, un tratto chiaro, essenziale, pulito, particolarmente leggibile, privo di ombre, di segni inutili o in eccesso. Essa si caratterizza per un rifiuto delle identità nazionali troppo accentuate, per una vocazione didattica, ma non pedante, che svolge un ruolo di “scuola parallela” o di “catechismo parallelo” e, nel suo periodo “classico”, cioè tra il 1930 e il 1950, proprio per il suo rapporto con la cultura cattolica. I personaggi dei grandi racconti cristiani sono spesso preti che indicano ai laici la via da seguire e l’immaginario che traspare sembra largamente riflettere una pietà intransigente, la nostalgia di una cristianità medievale idealizzata, il successo dello scoutismo, una concezione romantica della missione. Narrazioni bibliche, vita e apparizioni della Vergine, storia della Chiesa e del cattolicesimo, vicende degli “eroi” religiosi e soprattutto agiografie alimentano un genere – i fumetti di ispirazione cristiana – che, nonostante diffidenze e sottovalutazioni, si inquadra nella storia dell’iconografia religiosa e dell’iconologia catechetico-didattica.


Roberto Alessandrini

Il santo educatore

Don Bosco nell’immaginario popolare

Bibliotheka edizioni, 2025

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