di Caterina Fiorilli e Ottavia Albanese
- I rischi della professione insegnante
Da un’analisi della letteratura emerge un’incongruenza tra le aspettative e la reale professione che si trova a svolgere l’insegnate negli ultimi anni (Di Nuovo e Monforte, 2004; Bassi, Lombardi e Delle Fave, 2006; Skaalvik e Skaalvik, 2009a,b). Le cause provengono sia da eventi esterni di tipo socio-politico (ad esempio continue riforme scolastiche, precariato, bassi stipendi), sia da eventi interni di tipo più strettamente organizzativo (ad esempio classi numerose, mancanza di supporto da parte di colleghi e dirigente, aggressività degli alunni). Tali fattori mettono a rischio il benessere di chi insegna favorendo lo sviluppo della nota sindrome del burnout, ovvero l’incapacità di adattamento in situazioni di stress emotivo continuo derivato dall’ambiente di lavoro (Maslach e Jackson, 1981).
Letteralmente il termine burnout significa bruciato, fuso, logorato. Christina Maslach e Jackson (1981) ha studiato gli aspetti emotivi di questa sindrome individuando in essa tre dimensioni implicate sia a livello individuale che situazionale: l’esaurimento emotivo, caratterizzato da saturazione emotiva, da incapacità ad accogliere emozioni nuove; la depersonalizzazione, cioè allontanamento dalla relazione con l’altro; la (ridotta) realizzazione professionale, che riguarda il sentimento di efficacia del proprio lavoro, di competenza e di autostima.
Originariamente questa sindrome veniva utilizzata per descrivere lo stato di sofferenza in cui potevano trovarsi i lavoratori di categorie professionali che operavano all’interno di contesti sanitari a contatto con specifiche difficoltà legate alla cura e all’aiuto. Attualmente, il termine descrive anche lo stato di malessere, prevalentemente emotivo, che può caratterizzare la professione insegnante. In effetti, questa professione è cambiata nel corso del tempo anche grazie alle continue e sempre più complesse richieste che vengono poste dalla società all’insegnante.
Oggi, infatti, non sono richieste solo conoscenze che si limitano alla didattica, alla disciplina e alla gestione della classe ma sono necessarie competenze emotivo-relazionali verso tutti gli attori alla vita scolastica (Albanese et al., 2007). Secondo Chan (2007) il burnout potrebbe avere delle conseguenze potenzialmente gravi non solo sulla carriera degli insegnanti ma anche sulla relazione educativa che essi instaurano con gli alunni. In una recente ricerca su 787 insegnanti svizzeri Genoud, Brodard e Reicherts (2009) hanno messo in evidenza il circolo vizioso che può nascere quando un insegnante in burnout si trova a dover gestire alunni che manifestano comportamenti oppositivi e antisociali. In questi casi, lo stress degli insegnanti aumenta il rischio per gli alunni di ricevere reazioni altrettanto violente e aggressive, altamente diseducative per il loro sviluppo. I risultati di uno studio condotto da Kokkinos, Panayiotou e Davazoglou (2005) si muovono nella stessa direzione: gli insegnanti con esaurimento professionale rinforzano i comportamenti antisociali e provocatori dei propri alunni.
Inoltre, la motivazione all’apprendimento degli alunni è connessa, in maniera circolare e reciproca, al grado di percezione che essi stessi hanno del benessere dei propri insegnanti (Evers, Tomic e Brouwers, 2004). Come efficacemente afferma Pines: «Lack of interest in learning on the part of students, talking, shouting and lack of attention in class cause burnout because they let teachers know that they have failed as educators » (Pines, 2002; p. 122).
Dunque, il burnout non solo è in parte predetto dai comportamenti scorretti degli alunni « Classroom discipline is a well-documented source of teacher stress » (Kokkinos, 2006; p. 239), ma il suo persistere nella vita professionale degli insegnanti causa anche una più difficile gestione degli atteggiamenti problematici degli allievi. Van Der Doef e Maes (2002) ritengono che l’aggressività degli alunni sia un correlato importante per la salute ed il benessere degli insegnanti. Bisogna, quindi, essere in grado di costruire relazioni significative con gli alunni, con i colleghi, con i genitori degli allievi, il dirigente, etc. Da esse dipende oltre che la riuscita positiva del processo educativo, anche il benessere personale e professionale di chi insegna. Queste abilità mettono in luce la dimensione relazionale del ruolo di insegnante facendo collocare questa professione tra le helping professions, ovvero professioni basate sulla relazione d’aiuto (come ad esempio quelle degli infermieri, dei medici, degli psicologi), a contatto con la sofferenza e sottoposte ad eventi continui di stress.
Saarni (1999) definiva la competenza emotiva proprio come la capacità di comprendere le proprie e altrui emozioni, di regolarle e controllarle e di utilizzarle al meglio sia nei processi cognitivi che nelle interazioni sociali. La capacità di gestire tali situazioni, di saper mediare nelle situazioni difficili (Mayer, Salovey e Caruso, 2004) può costituire un possibile fattore di protezione rispetto al burnout e contribuire a ristabilire un equilibrio nella relazioni insegnante-allievo. Dal punto di vista emotivo-relazionale, infatti, l’alto livello di esaurimento professionale dell’insegnante rischia di causare un minor investimento delle proprie emozioni e di conseguenza provocare l’aumento del rischio di compromissione del rapporto con i propri allievi. Lo stile di ciascun insegnante nel gestire ed esprimere le emozioni influenza profondamente la qualità della relazione che instaura con gli allievi (Pianta, 2001).
Doudin et al. (2009) in uno studio sulla competenza emotiva degli insegnanti hanno mostrato che docenti con bassi livelli di burnout regolano positivamente le loro emozioni; al contrario, alti livelli di burnout, in particolare rispetto alla dimensione della depersonalizzazione e al distacco dalle relazioni, regolano meno bene le proprie emozioni.
Per gli insegnanti creare relazioni positive è, quindi, una competenza emotiva rilevante, essa contribuisce allo sviluppo di fattori di compensazione per il proprio benessere. La letteratura sul burnout, inoltre, ha dato molta attenzione all’incidenza dei fattori individuali sull’insorgenza della sindrome (Sirigatti e Stefanile, 1993). Gli anni di servizio sembrano collegarsi in modo significativo all’esordio del burnout, anche se non tutte le ricerche concordano sulla direzione di questa relazione.
Un recente studio condotto da Gavish et Friedman (2010) su insegnanti novizi ha rilevato alti livelli di burnout, poca integrazione nell’ambiente lavorativo durante i primi anni di insegnamento e poca soddisfazione del supporto ricevuto dai dirigenti, dai colleghi e dai genitori degli alunni. Secondo altri studi, che si muovono nella stessa direzione, le persone con più anni di insegnamento sono maggiormente sensibili all’insorgenza del burnout e meno soddisfatti. Tuttavia, come detto poc’anzi, l’incidenza degli anni di insegnamento sui livelli di esaurimento professionale non è sempre accertata; alcuni studi, infatti, rilevano l’indipendenza di questi fattori. Numerose ricerche hanno dimostrato, inoltre, che la condizione di sofferenza emotiva degli insegnanti si presenta in culture anche molto diverse tra loro, seppur con manifestazioni dissimili (per una rassegna si veda Fiorilli et al., 2015).
In casi estremi, come rilevato in uno studio di Leung e Lee (2006) condotto su insegnanti di Hong Kong, gli alti livelli di esaurimento emotivo sono predittori di abbandono della professione. Chang (2009) in una recente rassegna sull’argomento ha riportato che negli USA, più del 25% degli insegnanti lascia il posto di lavoro all’inizio del terzo anno di carriera e più del 40% lascia questa professione entro i primi cinque anni di insegnamento. Tali dati non sono confermati in Italia ma ciò costituisce, in un certo senso, un aggravamento della situazione. L’insegnante italiano, poco motivato a lasciare un lavoro che seppur a volte insoddisfacente può garantire una situazione retributiva costante, rimarrà nel contesto educativo in una situazione di sofferenza e di difficoltà.
Un possibile fattore di protezione per evitare il burnout dei docenti e diminuirne il rischio di impatto negativo sugli alunni potrebbe essere lo sviluppo di relazioni educative significative con i propri colleghi.
- Il supporto sociale come fattore di protezione
Un ruolo rilevante per la qualità della vita degli insegnanti a scuola è giocato dalla rete di sostegno sociale a disposizione. Halbesleben (2006) distingue due tipi di fonti di sostegno, quelle interne al contesto scolastico (es. collega, dirigente, alunno) e quelle esterne ad esso (es. amico, marito, moglie, figlio, etc.). Esse possono a loro volta essere distinte in tre macro-categorie di sostegno sociale: supporto extrascolastico, cioè la famiglia, gli amici, i parenti; supporto scolastico, cioè il collega, l’allievo, il direttore, l’insegnante specializzato; nessun supporto.
Uno studio cross-culturale condotto da Pisanti, Gagliardi, Razzino e Bertini (2003) su un gruppo di 169 insegnanti italiani (inserito in una più ampia indagine cross-culturale che ha coinvolto 11 paesi europei e 2.182 insegnanti di scuola secondaria per esaminare la relazione tra condizioni lavorative e benessere), ha dimostrato che rispetto alla media degli altri paesi europei gli insegnanti italiani manifestano da una parte un più alto livello di realizzazione professionale e un minore livello di depersonalizzazione, dall’altra parte hanno un minore grado di supporto sociale e maggiori disturbi somatici.
Studi meno recenti condotti sullo stress degli insegnanti avevano già dimostrato che la mancanza di supporto da parte dei colleghi, dei dirigenti, dei genitori degli alunni, potesse essere un importante elemento di espressione del burnout degli insegnanti. Si era rilevato, inoltre, che l’accessibilità alle risorse offerte dall’ambiente aumentasse il benessere e che insegnanti con un alto grado di supporto sociale avessero migliore salute fisica e mentale. Hakanen, Bakker e Schaufeli (2006) hanno dimostrato che sviluppare le risorse lavorative (controllo lavorativo, supporto del dirigente, aggiornamenti, innovazioni, clima sociale) può essere un buon punto di partenza per favorire il benessere degli insegnanti.
Recenti ricerche (Albanese et al., 2008; 2010; Skaalvik e Skaalvik, 2009a; Gavish e Friedman, 2010) hanno ancora evidenziato una significativa relazione tra la condizione di esaurimento emotivo nella professione di insegnante e la ricerca di supporto sociale, interno ed esterno alla scuola, di fronte alle situazioni problematiche. In una direzione simile vanno gli studi di Skaalvik e Skaalvik (2009b) che hanno condotto un’indagine su 2249 insegnanti Norvegesi dimostrando che l’autoefficacia dell’insegnante è correlata positivamente a buone relazioni con genitori degli alunni. Positive relazioni con i genitori sarebbero predittive negli insegnanti di un forte senso di autoefficacia. Diversamente, difficoltà di cooperazione con i genitori degli allievi ridurrebbero, negli insegnanti, la fiducia nelle proprie abilità di pianificare e organizzare gli obiettivi educativi. I risultati hanno anche indicato che una valutazione positiva dei genitori è un’importante cornice di riferimento per l’autovalutazione degli insegnanti e l’auto-percezione. Inoltre, in una recente ricerca sul burnout di insegnanti svizzeri Genoud, Brodard e Reicherts (2009) hanno riportato che avere relazioni negative con i genitori favorisce un sentimento di depersonalizzazione nei docenti. In questo modo l’insegnante tende (per difesa): a non attivarsi in seguito alle richieste che provengono dall’esterno, ad essere insensibile alle lamentele, ad avere mancanza di empatia fino a sentirsi esaurito emotivamente. I ricercatori, inoltre, dimostrano che gli insegnanti di questo studio riportano più alti livelli di stress in relazione al carico di lavoro amministrativo, al numero elevato di alunni in classe e in rapporto anche alla percentuale di lavoro, come ad esempio il tempo pieno.
Secondo Gavish e Friedman (2010), inoltre, la mancanza di supporto da parte del dirigente è il principale predittore di burnout, soprattutto per gli insegnanti all’inizio della carriera: «school principals are responsible for welcoming new teachers to their schools and easing their acclimatization. The principal is the first professional figure with whom teachers have contact in the school, and is therefore a significant factor in ensuring a smooth adjustment and professional accomplishment » (p. 162).
I rapporti con i colleghi e i superiori possono costituire però, sia elementi di rischio, perché caratterizzati spesso da situazioni interpersonali difficili che favoriscono l’insorgenza del burnout, sia fattori di protezione perché un rapporto di collaborazione e confronto costruttivo con i colleghi e i dirigenti può aiutare a gestire meglio il disagio lavorativo e a ricercare delle strategie adatte a fronteggiare il proprio malessere (Consiglio e Borgogni, 2007).
Hakanen, Bakker e Schaufeli (2006) in uno studio condotto su 2038 insegnanti Finlandesi hanno enfatizzato il duplice ruolo delle risorse lavorative: gli insegnanti che sono in grado di attingere alle risorse presenti nel contesto di lavoro possono dedicarsi e impegnarsi di più nella loro professione, invece la mancanza di risorse può essere associata al burnout e può ulteriormente indebolire l’impegno e l’organizzazione lavorativa degli insegnanti.
Il supporto sociale è, quindi, secondo studi passati e recenti, un potenziale fattore di protezione per il benessere degli insegnanti favorendone l’adattamento nel contesto professionale.
- Quando l’esaurimento emotivo allontana dalla scuola: una ricerca con insegnanti italiani
La riflessione teorica su queste dimensioni ha condotto le autrici a realizzare una ricerca sullo stato emotivo degli insegnanti in relazione alla loro professione, analizzandone le dimensioni prettamente legate allo stress professionale, alle competenze emotive e al tipo di supporto sociale su cui essi possono contare quando sono in difficoltà. L’ipotesi da cui siamo partite è l’esistenza di un forte legame tra il livello di burnout degli insegnanti e la qualità della rete di supporto.
Alla ricerca hanno partecipato 566 insegnanti (90% donne) delle scuole d’Infanzia, Primaria e Secondarie di diverse regioni dell’Italia con un’età compresa tra i 20 ed i 60 anni e con un titolo universitario (66% formazione universitaria). Per quanto riguarda gli anni di insegnamento il 41% degli insegnanti ha un’esperienza professionale tra i 6 anni e i 15 anni, il 44% insegna da più di 15 anni. Il resto degli insegnanti ha pochi e saltuari anni di esperienza di insegnamento.
Gli insegnanti, raggiunti presso le scuole o in contesti formativi, hanno ricevuto un plico contenente due questionari, il Maslach Burnout Inventory (MBI) (Maslach e Jackson, 1981) e il Questionnaire sur le Soutien Social (QSS) (Doudin, Curchod-Ruedi e Moreau, 2011). Il MBI misura tre scale: l’esaurimento emotivo, la depersonalizzazione o distacco e il senso di soddisfazione professionale.
3.1. Risultati sul Burnout
I risultati mettono in luce che circa il 60% degli insegnanti manifesta un basso esaurimento emotivo, mentre il restante 40% è nel medio e alto livello. Si tratta di una percentuale comunque importante. Avere un sentimento di esaurimento emotivo, secondo quanto misurato da questa scala, riguarda il senso di affaticamento e la sensazione di non poter andare avanti perché manca l’energia emotiva per affrontare il proprio lavoro. In particolare, quando l’insegnante si sente esaurito vive le relazioni con grande difficoltà e prova logoramento anche a livello fisico. Una tale sensazione è tanto più grave se si considera che per la professione insegnante la componente emotiva è una dimensione ineludibile nella relazione educativa. Si rischia di minare l’apprendimento degli alunni se il docente manifesta emozioni negative, come lo sconforto, la tristezza e la fatica di affrontare una nuova giornata di lavoro.
Proseguendo con la descrizione dei dati la situazione del nostro gruppo di insegnanti diventa ancora più critica nella scala della depersonalizzazione. In questo caso la percentuale dei professionisti a rischio di burnout sale, sia per il range alto pari al 55% e medio pari al 14%. Molto più della metà del nostro campione avverte una sensazione di distacco e di ritiro dalla relazione con gli alunni, tanto quanto con i colleghi. Questa sotto-scala del MBI valuta esattamente la fatica che l’insegnante avverte in uno degli aspetti centrali del suo lavoro, la relazione sia educativa con gli allievi che professionale con i colleghi. Maslach e Jackson (1981) chiamano questa dimensione del burnout disumanizzazione della relazione, vale a dire un ritiro da parte del soggetto che mantiene il rapporto con gli altri su un piano superficiale e senza mettersi in gioco sul piano emotivo e, in generale, personale. Quando questa dimensione si manifesta in forma esasperata l’insegnante ha ormai intrapreso una strada di ritiro, una strategia che lo spinge a puntare sempre meno sulle relazioni sociali di tipo professionale. Non c’è dubbio che questo aspetto pone egli/ella stesso/a a rischio per il suo personale benessere nel contesto lavorativo; ma minaccia anche la vita scolastica degli alunni che si trovano ad interagire con un insegnante che non è più disponibile alla relazione.
La terza sotto-scala del MBI valuta il senso di soddisfazione professionale degli insegnanti del nostro campione. Come potevamo attenderci grazie ai segnali provenienti dalle altre due scale, questa dimensione positiva del MBI esprime un’ampia percentuale di insegnanti con una bassa (38,5%) e media (25,8%) soddisfazione lavorativa. Il livello di soddisfazione professionale è un importante termometro del benessere di un insegnante. Inoltre, informa sulla motivazione che lo/la sostiene e che gli/le consente di trarre senso dal lavoro che svolge. Nel lavoro educativo la sensazione di essere efficaci con il proprio intervento è centrale ed innesca un circolo virtuoso da cui gli stessi alunni possono trarre beneficio. Il benessere degli alunni, infatti, è molto legato a quello dei propri insegnanti e rende urgente lo studio del burnout allo scopo di intervenire per migliorare la vita professionale degli insegnanti e, di riflesso, quella scolare degli alunni.
3.2. Risultati sul supporto sociale
Il Questionario sul supporto sociale (QSS) di Doudin, Curchod-Ruedi e Moreau (2011) è stato somministrato agli insegnanti allo scopo di rilevare il tipo di supporto a cui si rivolgono con maggiore frequenza in specifiche situazioni professionali. In esso viene chiesto di indicare a chi si rivolgono di fronte a bisogni come affrontare una lezione difficile o gestire un problema relazionale con gli alunni. Le situazioni proposte, quindi, sono particolarmente legate al contesto professionale in cui un insegnante può trovarsi ad interagire e presentano tutte delle condizioni di difficoltà a livello emotivo, relazionale o didattico. Il sostegno indicato dagli insegnanti per ciascuna situazione è stato categorizzato in tre tipi di supporto: extrascolastico, cioè la famiglia, gli amici, i parenti; scolastico, cioè il collega, l’allievo, il direttore, l’insegnante specializzato; nessun supporto. Dai nostri dati emerge che il sostegno scolare è sicuramente il più scelto dagli insegnanti (72%), seguito da quello extra-scolare (17%). Minore frequenze, infine, riceve la categoria nessun sostegno (11%). Si tratta di un risultato che, se preso isolatamente, appare confortante per due ordini di ragioni. Innanzitutto, scegliere prevalentemente il sostegno scolare significa avere una rete di supporto costituita da colleghi, esperti, direttori scolari ed altre figure che ruotano intorno alla scuola. Una scelta che indica un atteggiamento degli insegnanti rivolto alla risoluzione del problema proprio perché si avvalgono di risorse esperte e predisposte a tal fine. Inoltre, un insegnante che possa avvalersi di risorse scolari segnala una condizione di maggiore agio in seno al proprio sistema scolastico e la disponibilità di una rete non occasionale e sempre disponibile a supportare il lavoro educativo. In secondo luogo, il dato che emerge dalle risposte al questionario è confortante anche per la bassa frequenza di sostegno extrascolare e di nessun sostegno scelto dagli insegnanti. Entrambi i tipi di risposta, infatti, segnalano una difficoltà di trovare aiuto nei momenti di difficoltà all’interno del contesto professionale. Rivolgersi ad un sostegno extrascolare o non avere alcun tipo di sostegno sono segnali di isolamento e solitudine che possiamo immaginare non vissuti dall’insegnante come condizione di benessere a scuola.
3.3. Risultati sulla correlazione tra burnout e scelta del supporto sociale
Allo scopo di verificare l’ipotesi che ha ispirato questa ricerca abbiamo provveduto a mettere in relazione i dati provenienti dai due questionari descritti poc’anzi: il MBI e il QSS. In particolare, di nostro interesse è analizzare l’interazione tra le componenti emotive implicate nella professione di insegnante e il tipo di supporto a cui essi possono attingere. Inoltre, pur trattandosi di una esigua percentuale, siamo interessati ad analizzare il livello di burnout degli insegnanti che non hanno un sostegno sociale disponibile nelle situazioni professionali difficili. Attraverso l’impiego di misure statistiche che analizzano il livello di correlazione tra variabili in studio, abbiamo potuto rilevare che l’insegnante esaurito emotivamente, depersonalizzato rispetto alle relazioni e insoddisfatto professionalmente è anche quello che riferisce di non avere alcun sostegno sociale. Un aspetto, questo, che emerge altrettanto chiaramente se consideriamo che i livelli più alti di depersonalizzazione sono significativamente correlati, ancora una volta, con l’assenza di sostegno. Questi dati possono essere interpretati in una doppia valenza. In primo luogo, possiamo cogliere questa direzione: l’insegnante in burnout è colui che può contare poco sul sostegno proveniente da fonti esterne a sé, di tipo professionale quanto personale. In secondo luogo, è possibile anche che la condizione di malessere non sia dovuta all’assenza di sostegno ma ad altre fonti, non direttamente indagate in questa sede, e che porti successivamente ad una chiusura verso l’altro, quindi all’assenza di sostegno. In attesa di una più approfondita analisi in cui questi aspetti possano essere analizzati anche in termini deterministici e/o circolari (è l’assenza di sostegno a provocare il burnout oppure questo stato di malessere spinge alla chiusura relazionale?) ci limitiamo a prendere atto di quanto i dati raccolti ci suggeriscono, vale a dire del forte disagio in cui può trovarsi un insegnante emotivamente logorato e professionalmente solo. Focalizzando l’attenzione sugli insegnanti senza sostegno sociale nelle situazioni professionalmente difficili che, secondo il ragionamento portato avanti fino a questo momento, sono quelli più a rischio, osserviamo un dato che conferma quanto affermato fino ad ora. Nel dettaglio, gli insegnanti senza sostegno sono quelli con i più alti livelli di esaurimento professionale (M=15,41), di depersonalizzazione (M=7,14) e con i livelli più bassi di soddisfazione professionale (M=33,67).
- Riflessioni conclusive e prospettive di intervento
L’analisi delle relazioni tra il livello di burnout e la rete di sostegno sociale disponibile e/o scelta dagli insegnanti, per quello che i nostri dati ci offrono al momento, mette in luce un importante fattore di rischio: l’isolamento dell’insegnante. Per comprendere meglio la valenza di tale aspetto proviamo qui a considerare le sue implicazioni sia come fattore-causa del burnout degli insegnanti che come sua conseguenza.
La letteratura internazionale che sostiene la prima linea interpretativa di questo dato è molto proficua, come abbiamo visto nell’introduzione. Già Nagy e Nagy (1992) individuavano ben 40 fattori tutti riconducibili a tre grandi categorie: fattori di tipo sociale e personale; fattori di tipo relazionale; ed infine, fattori di tipo professionale. Nel primo gruppo, ad esempio, possono rientrare tutte quelle caratteristiche che definiscono un individuo per età, sesso, religione, ma anche dimensioni che ne descrivono aspetti socio-economici, il background culturale, le aspirazioni professionali e gli stili di vita; non ultime, le variabili psicologiche come gli stili cognitivi o il personale sistema di credenze. Nel secondo gruppo rientrano i rapporti che un insegnante intrattiene con gli studenti, le loro famiglie, i colleghi e il dirigente scolastico. Al terzo ed ultimo gruppo appartengono le variabili del sistema scolastico, come la sua organizzazione, quindi le diverse funzioni e compiti da assolvere, le classi affollate, i programmi da svolgere, le risorse didattiche e le progressioni di carriera.
Seguendo questo ragionamento possiamo leggere l’isolamento accusato dai nostri insegnanti come un fattore trasversale alle tre categorie sopra esposte. Sono implicati i fattori personali e sociali, in quanto questi insegnanti escludono la presenza significativa e di sostegno di un entourge privato a cui riferirsi in situazioni di difficoltà. Ancora, sono implicati i fattori squisitamente relazionali di tipo professionale, perché i docenti non indicano colleghi o esperti nella rete di supporto. Infine, sono presenti fattori di tipo organizzativo, in quanto possiamo immaginare che il contesto in cui questi insegnanti operano non offra loro efficaci reti di supporto a causa di problemi strutturali interni ad esso. In sintesi, quando rileviamo un dato di questo tipo, e cioè un insegnante senza una rete di supporto sociale, possiamo aprire molte finestre interpretative e supporre la presenza di più implicazioni a diversi livelli di profondità. Un discorso che rimane particolarmente utile quando si intende affrontare la questione in termini di intervento per ridurre questo fattore di rischio e su cui torneremo in seguito.
Una seconda linea interpretativa al dato significativo che emerge nel nostro studio è quella che vede l’isolamento degli insegnanti in burnout non come fattore di causa ma come effetto di uno stato di malessere. Cooper, Dewe e O’Driscoll (2001) in uno studio condotto su un campione di 2600 dirigenti scolastici avevano individuato tre possibili strategie adottate di fronte allo stress professionale. L’impiego di strategie direttive che hanno l’obiettivo di affrontare e tentare di risolvere le situazioni difficili; l’uso di strategie diversive, vale a dire azioni che consentono al soggetto di allontanarsi dalla situazione fonte di disagio assumendo un atteggiamento freddo e distaccato rispetto al contesto, come l’impiego di strategie di fuga o di vero e proprio abbandono del contesto di lavoro; ed infine, l’uso di strategie palliative, come l’assunzione di sostanze del tipo caffè, fumo, alcool e farmaci. In questo possibile scenario interpretativo l’insegnante che dichiara di non avere una rete di sostegno, né scolastica né extra-scolastica, adotta una strategia di ritiro e di disimpegno, diversiva rispetto alla possibilità di cercare soluzioni costruttive.
Ampliare lo spettro delle possibili interpretazioni sulle cause e sulle conseguenze dello stress emotivo degli insegnanti aiuta a immaginare i possibili interventi da intraprendere per aiutare questa categoria professionale. Sia che l’assenza di rete di sostegno sociale, scolastica o extra-scolastica, rappresenti una causa o piuttosto una conseguenza del burnout, è di sicuro un campanello d’allarme, un segnale forte di malessere che, come detto nell’introduzione, ha delle notevoli implicazioni sulla vita scolastica anche degli alunni.
Dal nostro punto di vista, una possibilità di intervento rimane quella della formazione degli insegnanti. In particolare, sembra sempre più necessario mettere gli insegnanti nella condizione di rilevare il malessere a livello emotivo agendo su due fronti: conoscere e riconoscere i segnali di disagio; intervenire a livello organizzativo aiutando il dirigente scolastico affinché possa costruire reti di sostegno agli insegnanti favorendo un clima di collaborazione e condivisione.
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