di Federica Biolzi
“A questi uomini che vengono strappati alla loro terra, alla loro famiglia, alla loro cultura, viene richiesta soltanto la forza lavoro. Il resto, non lo si vuole sapere, ma il resto è molto”[1].
(Tahar Ben Jelloun)
In questo mio contributo ho voluto riportare alcune interviste che ho raccolto, nel mese di luglio del 2016, da due stranieri richiedenti asilo ospitati, nell’ambito dello Sprar (Sistema di Protezione per Richiedenti Asilo e Rifugiati a cura del Ministero dell’Interno) nel territorio della Lunigiana, in provincia di Massa-Carrara.
Il Servizio Sprar è attivo su tutto il territorio nazionale ed è stato istituito ai sensi dell’art.32 della l.n. 189/2002, in seguito a un protocollo d’intesa del 2001 stipulato dal Ministero dell’Interno, dall’Anci e dall’Alto Commissariato Onu per i Rifugiati (UNHCR), che hanno cercato di razionalizzare i programmi di accoglienza in precedenza gestiti a livello locale. L’intera rete è coordinata e monitorata da un Servizio Centrale gestito dall’Associazione Nazionale dei Comuni Italiani (ANCI), in seguito ad una convenzione stipulata con il Ministero dell’Interno.
Il Sistema è costituito da una rete di enti locali che per la realizzazione di progetti di accoglienza integrata accedono, nei limiti delle risorse disponibili, al Fondo nazionale per le politiche e i servizi dell’asilo (FNPSA). A livello territoriale, gli enti locali con il supporto delle realtà del terzo settore, garantiscono interventi di “accoglienza integrata e partecipata”. Al richiedente asilo, vengono forniti: vitto, alloggio ed in modo complementare sono garantite misure di informazione, accompagnamento, assistenza e orientamento, attraverso la costruzione di percorsi individuali di inserimento socio-economico.
Dai racconti che seguono, lasciati a libere interpretazioni, emergono sottofondi culturali, tradizioni popolari, abitudini e regole differenti, che ognuno di noi può cogliere ed approfondire.
Jamal – Il pozzo e il paradiso
Il primo ragazzo intervistato di nome Jamal, proviene da una provincia dell’Afghanistan, ha 35 anni ed è in Italia da circa un anno e mezzo.
Ciao, posso farti un’intervista?
Un’intervista su che cosa?
Sulla tua famiglia e sul tuo rapporto con i tuoi genitori
Si va bene
Parlami di voi
Sono stato bene con i miei genitori, quando ero molto piccolo ho vissuto dove sono nato fino all’età di 4 anni, poi ci siamo trasferiti in Iran e successivamente all’età di 9 anni in Pakistan. A 20 anni sono venuto via dalla mia famiglia, dal 2004 vivo solo. Mi sono dapprima spostato in Pakistan e successivamente in Iran, a causa di una persecuzione in cui sono stato vittima in quanto Hazara, fuggito in Turchia, in Grecia, e poi sono partito per l’Italia.
Nella mia famiglia, fino all’età di 4 anni, vivevano anche i nonni paterni, gli zii paterni e materni (i nonni materni vivevano a Kantara dove sono rimasti). Io avevo 5 fratelli (tre maschi e due femmine) il mio fratellino di due anni è morto quando eravamo piccoli. Mentre giocavamo, per colpa mia, io non l’ho visto quando si è avvicinato ad un pozzo, vi è caduto dentro e non sono riuscito a fare nulla.
Segue una pausa di silenzio, la voce si blocca, è emozionato ed improvvisamente si intristisce.
Prosegue nel racconto e gli chiedo di parlarmi dei suoi genitori.
Jamal si appassiona nell’esporre alcuni episodi del suo rapporto con il padre e con la madre.
La figura più importante della mia famiglia è la mamma.
La mamma nella mia cultura “è la chiave che apre al paradiso”, per noi è al di sopra del paradiso.
Lei si è sempre occupata di tutto in casa, anche se non stava bene ed aveva problemi di salute.
Sono andato a scuola per 6 anni e basta. Quando avevo 10 anni, non volevo che la mamma mi accompagnasse, volevo andare solo, tutti lo facevano.
Lei ci sgridava, ma ci educava, l’ho capito dopo, voleva il nostro bene.
Quando nel 2000 dal Pakistan sono tornato in Iran, la mamma si arrabbiò molto con me, perché mi ero allontanato dalla famiglia.
Cosa mi dici di tuo papà e di questa figura
Ricordo che il primo giorno di scuola mi ha accompagnato il papà. Da noi le scuole sono separate, per i maschi e per le femmine.
Mio papà lavorava in miniera e rientrava a casa una volta la settimana. Noi aspettavamo con ansia, il giorno del suo ritorno. E’ uno dei ricordi più belli della mia infanzia, quando lui veniva a casa era molto affettuoso con noi, parlavamo con lui, ci raccontava le sue storie e tutto quello che faceva in miniera, poi giocava con noi.
Cosa farai tu quando sarai padre?
Quando sarò padre vedrò cosa fare. Voglio essere bravo, e vorrei che i miei figli fossero al sicuro, gli voglio garantire sicurezza, vorrei che potessero fare ciò che desiderano. Noi eravamo poveri non potevamo scegliere, vorrei dare un’opportunità ai miei figli.
Cosa deve fare secondo te una madre.
Io penso che la mamma solo perché è tale, vuole un bene superiore ai figli, ti ripeto ” è la chiave che apre al paradiso”.
…Una mamma in salute avrà un figlio in salute…
Il suo bene è superiore a tutti gli altri, anche a quello del padre, è lei la prima scuola per ogni figlio, la prima formazione; ogni volta che vedi una persona capisci che mamma l’ha cresciuto, il figlio è il frutto della buona scuola che ha ricevuto dalla mamma.
A me non piace come fate voi qui, i bambini vengono affidati ad altri, nell’educazione, nella crescita, non è giusto.
Il dovere della donna che si sposa e che ha figli, è occuparsi di loro, stare a casa, curarli e crescerli.
Durante l’intervista Jamal non ha mai pronunciato il nome dei genitori, nella loro cultura chiamare per nome il genitore è mancargli di rispetto.
Siaka- la stoffa, una mucca e la cola…
Il secondo ragazzo intervistato si chiama Siaka, proviene da una provincia della Costa d’Avorio, ha 23 anni, parla e comprende la lingua italiana. Nella sua storia racconta della sua terra e delle sue tradizioni. La sua tribù è il Malinke ed il gruppo etnico appartiene ai Odienneka.
Ciao, posso farti un’intervista?
A me un’intervista? Su che cosa?
Ti chiedo di parlarmi della tua famiglia e del rapporto con i tuoi genitori
Sì certo.
Io ho vissuto fino a 12 anni con i miei genitori, gli zii, c’erano tante persone in casa. Nel 2002, durante la guerra sono andato da mia sorella. La mia famiglia proviene dal nord della Costa d’Avorio, la mamma un giorno mi disse di andare da mia sorella a San Pedro, che si trova a sud-ovest della Costa d’Avorio. Ho viaggiato solo, in autobus, la mamma durante il viaggio, mi ha affidato ad una sua amica. Io sono poi vissuto lì, nel paese di mia sorella e sono cresciuto lì.
Del racconto della vita di mia madre, mi è sempre rimasto in mente che ho tanti fratelli, mi ha detto di aver partorito 11 figli, due morti; quelli con cui ho vissuto e che mi hanno cresciuto sono mia sorella di 49 anni ed mio fratello di 33. Da noi aver così tanti figli è normale, ha anche un significato religioso, qualcuno potrebbe essere scelto da Dio, più figli nascono e più hai la probabilità di essere il prediletto.
Nella nostra cultura le figlie femmine non possono andare a scuola devono aiutare le madri ad accudire i fratelli, spesso la madre spera che le prime nascite siano di femmine!
Quindi da voi vi è una grossa differenza culturale tra maschi e femmine, evidente fin da ragazzi
Si questo dipende anche dalla tribù di appartenenza ed al luogo in cui vivi.
Da me le ragazze devono aiutare in casa ed al massimo possono andare a scuola fino alla maggiore età, non possono frequentare l’università.
A nord ad esempio sono più conservatori e la donna va a scuola solo per pochi anni.
Di solito, in tutto il paese, la donna può sposarsi fin dall’età di 14-15 anni, ma solo all’interno della sua tribù. Lo stato invece, dopo la colonizzazione, ha stabilito con una legge, che la donna si può sposare al compimento della maggiore età. Un po’ come fate voi qui in Italia.
Siaka si diverte a sottolineare l’aspetto più culturale legato al fidanzamento ed al matrimonio nel suo paese. In modo dettagliato, racconta cosa accade quando due giovani si fidanzano e di come venga acquistata la dote.
Da noi è obbligatorio sposarsi. Ogni gruppo, cultura, tribù ha delle tradizioni che vanno rispettate, ma non devono essere contrarie alla religione musulmana ed alle leggi dello stato.
L’uomo da noi si può sposare quando ha i soldi. I genitori della figlia chiedono i soldi per la dote.
Molto spesso viene chiesta la stoffa, una mucca e la cola.
Incuriosita, gli chiedo di spiegarmi meglio cos’è la cola, perché venga utilizzata per richiedere la mano alla futura sposa
La cola è uno dei nostri frutti più prelibati, è un frutto sacro, serve per fidanzarsi. Viene mangiata per due volte insieme ai genitori della donna prescelta per l’uomo che chiede la sua mano.
La prima volta, bisogna portare sei frutti di cola e, se i genitori e gli zii consultandosi sono d’accordo, spezzano la cola e dicono sì. Se invece non sono d’accordo, non spezzando la cola ti dicono no e quindi bisogna rinegoziare e fare una nuova offerta. Solitamente però i genitori si prendono un po’ di tempo, fanno le loro ricerche e poi chiamano e ti chiedono se sei pronto a sposarti, in quel caso, essendo la seconda volta, devi dare loro dieci frutti di cola.
Lo zio e la mamma della ragazza data in sposa, hanno un grosso potere nel determinare il consenso al matrimonio. Il padre invece, in questa scelta, ha un ruolo più marginale.
Nel mio paese il costo per sposarsi è di 45.000 soldi, che corrispondono, più o meno, a 85 euro. Ma non è finita, bisogna donare anche una mucca e della stoffa, che può essere più o meno pregiata. In questo, ogni famiglia, in base ai soldi che possiede, decide che tipo di stoffa acquistare (la più raffinata è la stoffa olandese)…
Dopo questa descrizione, chiedo a Siaka di parlarmi dei suoi genitori.
Da noi il maschio è più affezionato alla figura materna, mentre la femmina vede nella figura paterna un punto di riferimento
La mamma, sta in casa ed il suo compito è prevalentemente quello di curare e crescere i figli. Mentre il padre ha il compito di lavorare per tutta la famiglia, deve garantire il cibo ed i beni di prima necessità per tutti.
La mamma africana è una figura rigorosa e se non le ubbidisci s’impone, ti insegue e ti rincorre con il bastone, ti vuole educare!!
Molto spesso la mamma ti dice cosa fare, se studiare, dove andare, con chi stare. Essa viene aiutata dalle figlie femmine per crescere ed accudire tutti i figli. Per me, mia mamma, è stata una figura molto importante e mi è sempre stata vicina, anche nelle scelte più importanti della mia vita.
Siaka si ferma, il tono di voce si affievolisce e i suoi occhi si intristiscono. Il mediatore, presente durante l’intervista, riferisce che circa un mese fa, Siaka è stato colpito da un lutto in famiglia. Ed è ancora particolarmente scosso.
Riprende nel racconto.
Ricordo il primo giorno di scuola, a 5 anni, mi accompagnò la mamma e mi disse: “Non piangere”, devi essere forte, devi rimanere qua e se non ci riesci e ritorni a casa, io ti sculaccio!!
Quel giorno rimasi a scuola, non ebbi il coraggio di allontanarmi. Ho frequentato la scuola fino a 9 anni ed all’età di 12 mi sono trasferito da mia sorella. Da mia sorella le scuole erano private, io non potevo andare ed è così che ho deciso di iniziare a studiare da solo.
Cosa mi dici di tuo padre
Il papà è una figura importante, lavora ed ha una grossa responsabilità verso tutta la famiglia.
Mio papà l’ho visto fino all’età di 12 anni, quasi tutti i giorni, ma ho trascorso poco tempo con lui.
Ricordo che per motivi di lavoro si spostava spesso ed io rimanevo con la mamma a casa.
Quando lui mancava, lo zio lo sostituiva e mia madre si confrontava con lui, per avere consigli, per vedere come proteggerci…
Mi ricordo quando rientrava a casa, lui ci portava sempre qualcosa, era il suo modo di starci vicino.
Cosa deve fare, secondo te, un padre.
Io vorrei essere un genitore gentile, impegnato, responsabile, attivo, ma anche disponibile con la mia famiglia. Vorrei anche essere forte con i miei figli. Con questo, intendo non una forza fisica, ma vorrei trasmettere ai miei figli una sicurezza ed una stabilità per il loro futuro.
L’intervista si è chiusa qui. Siaka ha voluto esprimere anche alcune considerazioni sulla famiglia e sulle figure dei genitori in Italia, che in alcuni aspetti non condivide.
Alcune considerazioni
Nel corso di queste interviste sono emerse due storie di due territori tra loro lontani. Si tratta di culture diverse, ma dove il ruolo genitoriale è chiaro e definito.
Ci siamo incontrati in situazioni differenti, ma si è notato che in entrambe le interviste, i richiedenti asilo avevano una gran voglia di raccontare la loro storia. In alcuni momenti emergeva il dolore e la fatica nel descrivere alcuni episodi anche tragici, della loro vita.
Da questi testimonianze emerge, contemporaneamente alla narrazione, anche l’aspetto emotivo del racconto che i due giovani hanno consegnato all’intervistatore. La narrazione procede, nei due casi, in modo similare.
Entrambe iniziano con una breve presentazione della situazione attuale dei singoli protagonisti, per ritornare poi sul passato e sul vissuto personale rispetto al tema centrale della “genitorialità”, dal rapporto con i genitori e con la famiglia d’origine all’oggi.
Avvicinarsi a culture diverse significa conoscere e conoscersi per poi poter raccontare nuovamente. Il mio obiettivo è stato quello di ascoltare il vissuto della persona, l’ osservare ogni singola espressione del volto, ogni pausa.
In queste interviste, solo parzialmente strutturate, si è voluto mantenere la centralità del narratore, lasciandogli piena libertà di organizzare il suo racconto. Sono loro che hanno deciso come raccontare il loro vissuto, come inserire le figure genitoriali e come attribuire maggior attenzione alla figura materna o paterna.
Operare in questi ambiti, saper parlare e saper ascoltare i diversi linguaggi, i messaggi che il corpo trasmette, in questo, la comunicazione analogica, ci consente di fornire strumenti di lettura di diverse culture di appartenenza, dove le figure genitoriali hanno un ruolo definito, e determinante anche per le scelte di vita verso i figli.
La cultura, come sottolineato da Oronzo Greco e Umberto Maniglia[2], produce nell’uomo strategie di allevamento della prole che riflettono le pressioni ambientali di un passato recente, codificate in costumi piuttosto che in geni e trasmesse socialmente piuttosto che biologicamente. La cultura umana, basata sul linguaggio e sui valori, determina l’esistenza di norme e di ruoli che influenzano il comportamento degli individui in quanto membri di quella cultura. Le norme hanno il potere di conferire ordine e prevedibilità poiché definiscono i ruoli e i comportamenti che è giusto attendersi in quanto appropriati a quel contesto culturale. Quando medesimi valori, norme e ruoli sono presenti in tutti i gruppi umani si hanno comportamenti universali che risultano adattivi in tutte le culture.
Generalmente i comportamenti parentali che garantiscono la sopravvivenza biologica del bambino, nonostante manifestino strutture leggermente diverse in culture differenti, mantengono un certo grado di uguaglianza e di uniformità di manifestazione in tutte le culture.
Esistono però anche profonde differenze nelle pratiche parentali, le quali riflettono le variazioni di valori proprie di una specifica società. Le società Individualistiche, enfatizzano l’indipendenza e l’autosufficienza dell’individuo per cui i bambini vengono educati ad essere autonomi, assertivi e ad aspirare al successo personale e all’indipendenza. Le società collettivistiche, privilegiano il senso di appartenenza al gruppo, la collaborazione e la dipendenza reciproca. I bambini vengono quindi educati ad essere obbedienti, leali, fiduciosi e collaborativi e ad anteporre la conformità sociale e il senso di appartenenza al gruppo agli obiettivi individuali.
Dai racconti emergono pratiche parentali in cui viene privilegiato il senso di appartenenza al gruppo. Specificità e particolarità quali: l’ambivalenza del ruolo della figura femminile, dapprima sottomessa alla scelta dei genitori nel trovare marito, successivamente nel ruolo di moglie, per poi diventare figura centrale come mamma, responsabile della crescita e dell’educazione di tutti i figli, mi piace ricordare l’espressione usata da Reza:
“Mammy is the key of heaven”.
E la rappresentazione del ruolo paterno: il padre che può anche scomparire, ma che dà comunque la sicurezza e la garanzia di esserci anche se non è visibile, ma come sostiene Luigi Zoja[3]: padre come cultura, programma, forse il primo programma.
Queste sono le storie di “Genitori in valigia”, il contenitore metaforico che raccoglie le memorie e i ricordi di ogni diverso viaggio narrativo.
Bibliografia
Ben Jelloun T., Hospitalité française. Racisme et immigration maghrébine, trad. Stefania Papetti, Editori Riuniti, 1984
Greco O. e Maniglio R., Genitorialità, Profili psicologici, aspetti patologici e criteri di valutazione, Franco Angeli, Milano, 2009
Zoja L. Il gesto di Ettore Preistoria, storia attualità e scomparsa del padre, Bollati Boringhieri,Torino, 2000, nuova ed. rivista aggiornata ed ampliata Torino, 2016
Sitografia: www.sprar.it
[1] Ben Jelloun T., Hospitalité française. Racisme et immigration maghrébine, trad. Stefania Papetti, Editori Riuniti, 1984
[2] Greco O. e Maniglio R., Genitorialità, Profili psicologici, aspetti patologici e criteri di valutazione, Franco Angeli, Milano, 2009
[3] Zoja L. Il gesto di Ettore Preistoria, storia attualità e scomparsa del padre, Bollati Boringhieri,Torino, 2000, nuova ed. r ivista aggiornata ed ampliata Torino, 2016
[wp_objects_pdf]