di Simona Gallo
Che la divisa sia un elemento affascinante se ne parla da sempre, in maniera più o meno scientifica.
Non è raro leggere, sui settimanali femminili, risultati di indagini su campioni di lettrici che ammettono un debole per la divisa in quanto renderebbe l’uomo affidabile e sexy. Si esprime, dunque, il desiderio di avere accanto un uomo capace di salvare e proteggere; la divisa, per l’appunto, in questo caso richiamerebbe il coraggio e la prestanza di un ipotetico Principe Azzurro.
D’altro canto, non sono esenti da sondaggi di costume nemmeno gli uomini, secondo i quali la divisa indossata da donne attrae in quanto personifica la donna autonoma e decisa senza incidere sulla femminilità.
Ma procediamo per gradi. Partiamo dalla considerazione generale secondo cui un artefatto esteticamente attraente induce, in chi ne fa uso, uno stato d’animo positivo, rendendolo, di conseguenza, meglio predisposto alla formulazione di soluzioni alternative e al pensiero creativo. L’estetica avrebbe la funzione, in linea di massima, di farci percepire come più buone le cose più belle e viceversa.
Nelle popolazioni primitive, la donna sceglieva, fra gli uomini cacciatori, il proprio partner in base alla sua forza ed alla sicurezza che questo trasmetteva ai fini di poter generare figli sani e forti. Accade così anche oggi? L’attrazione per la divisa è ancora un retaggio di quella scelta? I sondaggi dei quotidiani femminili e la particolare attenzione a questo aspetto mostrata da recenti articoli di quotidiani online sembrerebbero indicare che, l’uomo in divisa, sia quello dal carattere più determinato e deciso, più forte di altri senza sottovalutare la bellezza della divisa che, già di per sé, è un abbigliamento elegante.
Fatta questa premessa l’argomentazione parrebbe chiusa, invece quando si affrontano tematiche inerenti alla psiche ed alle ragioni di scelta delle donne il discorso si complica. Evidentemente.
Vediamo, ad esempio, cosa Jung pensava del pensiero femminile. Lo psicoanalista svizzero, la cui teoria è definita anche psicologia complessa, sosteneva che il pensiero femminile non parte dall’esame di un particolare, ma dalla contemplazione di un insieme, sempre intensivo e profondo e tendente ad assorbire l’oggetto della conoscenza; il pensiero femminile accoglie in sé ed è capace di intrecciare le relazioni per giungere ad una sintesi e ad elaborare una conoscenza simbolica e induttiva. Il pensiero non è intuizione in quanto è proprio del pensiero femminile il suo essere analogico, il suo funzionare per associazioni, assonanze, collegamenti.
Già da questa prima citazione si comprende come la psicologia femminile sia qualcosa di estremamente complesso, niente affatto comparabile con quella messa in evidenza dalla pubblicistica e dai suoi test pseudoscientifici. Descrizioni ed esiti molti prossimi alla semplicistica descrizione della mente delle donne fatta da una branca popolare della psicologia, la folk psychology.
La psicologia, detta ingenua o popolare(traduzione del termine folk) si focalizza soprattutto sul modo in cui la gente comune- intendendo con questo termine quella priva di un bagaglio specifico di formazione accademica – si comporta nell’attribuzione di stati mentali. E’ dunque una teoria fondata sui luoghi comuni che la gente è incline ad avvallare; usare scorciatoie cognitive per dare significato ad eventi ed a comportamenti è come dare informazioni lacunose od incomplete in quanto alla base non ci sono argomentazioni scientifiche, ma pregiudizi e rappresentazioni stereotipate. Ne è un esempio l’affermazione secondo cui sapere ciò che pensa una donna è realisticamente impossibile.
Utilizzando una terminologia maggiormente aderente alla fisica quantistica si potrebbe affermare che la mente della donna è un sistema complesso di cui non solo la completa conoscenza è impossibile (principio di indeterminazione), ma anche quando si conoscono le leggi che governano il sistema, è quasi sempre impossibile prevedere la sua evoluzione nel tempo. In questo caso è stata variata la forma di presentazione, ma la sostanza del pensiero rimane costante, ovvero che il genere femminile si è sempre allontanato dal principio secondo cui simplex sigillum veri (la semplicità è suggello di verità) rispettando, invece, la base dell’indagine scientifica secondo cui ci sono problemi complessi per i quali esistono tanti procedimenti che possono portare a diverse valide soluzioni.
Analizzando, invece, lo sviluppo psicologico dell’universo maschile si riporta un sistema in cui vi è il dominio della sistematizzazione, del comprendere razionalmente il modo in cui si verifica un evento o si attua il funzionamento delle cose. Nell’uomo, prevale una visione sintetica, che riassume il nocciolo della questione, senza la propensione verso i particolari. Pare che la logica maschile sia maggiormente ordinata e il pensiero sia lineare ed orizzontale.
Tra le caratteristiche della psiche maggiormente studiata, vi è sicuramente la componente non verbale della comunicazione che ha visto l’impegno di numerosi studiosi nella Scuola di Palo Alto. Watzlawick e colleghi scoprirono che ogni interazione tra esseri viventi è un atto comunicativo che si caratterizza da componenti verbali e non verbali, in cui, accanto agli elementi senza parole, come i comportamenti, la prossemica, la cinesica, il paralinguaggio, il tatto e i segnali corporei, si possono inserire i cosiddetti artefatti (abbigliamento, profumi, pettinatura, accessori). La funzione è quella di trasmettere i contenuti mentali impliciti e non lineari.
Proprio questi ultimi elementi possono essere facilmente inseriti nella folk psychology per la quale le donne sono fisicamente più deboli degli uomini, sono più romantiche, sono molto più emotive, chiacchierano di cose futili mentre gli uomini discutono di cose serie, non hanno spirito scientifico in quanto predominerebbe l’emisfero destro più incline alla comunicazione e all’arte, e, per questa stessa ragione, maggiormente inclini al fascino esteriore delle cose piuttosto che alla loro funzionalità.
Un attento esame, di tipo scientifico, porta a criticare le semplicistiche affermazioni riportate poco sopra e ad affermare che, in pratica, nessuno utilizza sempre e solo funzioni appartenenti all’uno o all’altro emisfero; il cervello umano sfrutta entrambi gli emisferi e le corrispettive specializzazioni, anche se, a seconda delle varie situazioni, vengono predilette modalità analitiche piuttosto che emotive e globali. Inoltre, è importante sottolineare come una stessa funzione mentale possa essere di competenza dell’ emisfero sinistro o di quello destro a seconda di ciò che si vuole ottenere. Di fronte alla divisa, se vogliamo lasciarci trasportare dall’emotività e dal sogno l’osserveremo, in modo inconscio, con l’ emisfero destro; al contrario, se vogliamo analizzare ciò che la stessa rappresenta da un punto di vista tecnico interverrà, in modo automatico, l’emisfero sinistro.
I due emisferi sono dunque specializzati, ma condividono ed integrano le informazioni, comunicando attraverso un grande fascio di fibre nervose conosciuto come il corpo calloso.
Se volessimo rendere queste conoscenze all’interno di una reale cornice sociale e quotidiana potremmo facilmente tradurre la teoria in pratica attraverso un breve excursus storico.
Fino alla fine del XX secolo la costituzione ed il mantenimento degli organici appartenenti alle Forze Armate avvenivano essenzialmente tramite il meccanismo del servizio militare di leva; secondo l’art.52 della Costituzione Italiana, lo svolgimento di detto servizio era obbligatorio per tutti gli individui di sesso maschile dichiarati fisicamente idonei. In tempi più recenti, pur modificando le modalità di reclutamento, rimangono ferrei i requisiti relativi all’assenza di sentenze penali e di essere stati licenziati da pubbliche amministrazioni, l’idoneità fisio-psicoattitudinale e gli accertamenti diagnostici (riconosciuti con il termine ormai in disuso di “certificato di sana e robusta costituzione”).
In parole povere, dunque, chi indossa la divisa fa parte di un gruppo di belle e brave persone. Gruppo identificabile, dall’esterno, per il semplice fatto di indossare la divisa. Se volessimo rispondere al luogo comune circa il fascino della divisa arriveremmo alla conclusione che, oltre all’espressione proverbiale, il solo fatto di indossarne una ricopre il duplice scopo di distinguersi dagli altri e contemporaneamente di unirsi ai suoi simili.
Fatta questa premessa appare chiaro che nel vestire uguale per mostrare l’appartenenza vi sia la ricerca di ordine e voglia di sicurezza.
Secondo la Teoria dell’Evoluzione Umana, la donna cerca, più o meno consapevolmente, un maschio combattivo, forte, sano, che sappia proteggere lei e la sua prole. Durante la Rivoluzione Francese, poi, il maschio che veniva scartato alla visita militare non era ritenuto abile neppure per il gentil sesso in quanto chi non era buono per il re, non era buono neppure per la regina.
Quanto detto riporta nettamente al pregiudizio, maturato nei secoli, della donna priva del requisito attitudinale e fisico per le funzioni proprie del Campo di Marte, limitando la presenza femminile a ruoli subalterni di vivandiera, sartina, lavandaia, infermiera e prostituta.
Il fascino per la divisa maschile era dovuto, anche, al fatto che i militari fossero selezionati fisicamente all’arruolamento e tenuti in forma durante il servizio. Anche oggi la disabilità è ancora incompatibile con la realtà militare. All’inizio del 2000 furono pubblicati i primi bandi di concorso per il reclutamento femminile nelle Accademie Militari dell’Esercito, della Marina e dell’Aeronautica. L’Italia si aggiudicò il fanalino di coda, fra i paesi della Nato, ad istituire un servizio militare femminile. Da allora il fenomeno è in continua crescita ed oggi si può affermare che le donne soldato sono una realtà consolidata.
Ma anche le donne in divisa hanno il loro fascino e qui entra in gioco ancora la folk psychology. Se intramontabile rimane il potere ammaliante dell’uomo in divisa che incarna il fascino dell’over forty trasmettendo autorità, senso di sicurezza ed un alone di rispetto, la donna in divisa non sembra essere da meno. Essa incarnerebbe ideali di autonomia decisionale, indipendenza, sicurezza e fisicità; si ritiene che queste siano le amazzoni moderne che non costringeranno i loro uomini a interminabili esperienze di shopping, ai piantini pseudo isterici, e alle continue richieste circa il loro look.
Le donne in divisa sono viste come donne capaci di vivere serenamente con la duplice identità: dure ed incorruttibili sul lavoro, dolci ed apprensive nella vita personale. Di certo queste caratteristiche affascinano l’uomo che già immagina una moderna Nefertiti guidare il carro, ricevere direttamente i raggi del sole, maneggiare lo scettro dell’autorità suprema, consacrare le offerte e punire i nemici. Possono essere facilmente descritte come donne splendide, carismatiche, intelligenti, potenti, affascinanti, ammaliatrici, sexy, conturbanti nel loro indossare una veste che per anni ha avuto esclusive connotazioni maschili senza perdere la loro femminilità.
Dunque l’uomo non cercherebbe qui la principessa da liberare dalla prigionia nella torre, ma una donna con carattere, una partner decisa ma non superiore, ambiziosa ma anche calma, rispettosa anche dell’indipendenza altrui e contemporaneamente complice per il raggiungimento di condivisi obiettivi.
Nonostante queste annotazioni resta il fatto che, ancora oggi nessuno riesca a dare una spiegazione dell’impossibilità di rimanere impassibile di fronte a quelle giacche che hanno le spalle rinforzate (dando l’illusione di un fisico tonico e braccia possenti), le camicie candide (che armonizzano l’incarnato della pelle) con il colletto alto e duro (che evidenzia la linearità delle spalle) ed il cappello che, se calato sugli occhi, sostituisce le sopracciglia aggrottate (conferendo un aspetto misterioso). Gli stivali, se previsti, poi danno l’impressione di polpaccio tornito sui pantaloni che scendono sinuosamente a terra partendo dalle cosce (requisiti essenziali per un buon guerriero e l’amazzone).
Sarebbe ipocrita negare che istintivamente quel che si è appena letto non lo si sia mai vissuto, ma va considerata la possibilità (più ampia di quanto può apparire tra queste righe) di analizzare nuovamente la situazione e sconvolgere il senso comune portando alla luce una diversa verità. All’interno di ogni divisa vi è un uomo o una donna che vestono uniformemente ma il loro essere, il loro valore, la loro autenticità permane. Se l’abito non fa il monaco e la bellezza è negli occhi di chi guarda è però vero che gli aspetti esteriori incidono profondamente nella nostra modalità di percezione dell’altro e ne influenzano i rapporti interpersonali.
Aldilà dei luoghi comuni, è risaputo che l’infatuazione per ciò che sembra e che vorremmo fosse reale solo per noi è un momento della cosiddetta formazione di genere (sia esso maschile o femminile). Diversi sono gli studi, partendo da Bowlby per giungere alla Carli attraverso la Ainsworth, che hanno sottolineato l’importanza degli stili di attaccamento nello sviluppo della funzione esplorativa, delle rappresentazioni mentali relazionali, della scelta del partner e del funzionamento di coppia.
Il fascino e l’ordine della vita quotidiana può essere rappresentato da ideali che non abbagliano, come bottoni dorati al sole.
Il semplice apprezzamento delle fattezze non è sufficiente al buon esito del corteggiamento, né tantomeno alla qualità della scelta e/o al mantenimento della relazione.
Essere maschi o femmine oggi sta assumendo caratteristiche nuove e questo cambiamento sociale deve poter offrire lo spazio per una revisione di quella che è l’idea della mascolinità e della femminilità; ben inteso che categorizzare, inteso come processo attraverso cui dar nome alle cose, non sia un problema in sé.
Il problema risiede nel rischio di voler presentare un ordine eccessivo e strutturare, cosa che è purtroppo già accaduta nella storia e tutt’oggi accade, una società basata sul pregiudizio e sulla discriminazione.
In conclusione si può decisamente affermare che l’uomo e donna hanno pregi e difetti che a ben vedere sono complementari, dove spinge l’una, l’altro arretra, dove l’uno avanza, l’altra fa spazio e in questo sta forse l’eterno segreto della loro attrazione eterna.
Un po’ per divulgazione ed un po’ per solleticare la discussione torniamo alla folk psicology per la quale:
- gli uomini hanno un cervello più grande rispetto alle donne, ma non significa che siano più intelligenti. Nei maschi l’emisfero sinistro è la sede del centro della parola, mentre quello destro dell’orientamento spaziale. Non esiste questo tipo di distinzione per l’altra metà del cielo ed i due emisferi sono molto più collegati.
- i cinque sensi dimostrano delle differenze nei due sessi. Le donne hanno una memoria visiva molto più sviluppata, gli uomini sentono di più i toni acuti e riescono a concentrarsi eliminando i rumori di fondo. Le donne hanno dita più sensibili, una capacità decisamente maggiore di percepire gli odori ed una spiccata tendenza a riconoscere il gusto dell’amaro.
- le donne hanno una capacità verbale più sviluppata ed una innata capacità a tradurre le espressioni facciali, mentre le attitudini matematiche sono prettamente maschili.
- la maggiore quantità di estrogeni nella donna indica una maggiore prudenza durante la guida di un veicolo al contrario del testosterone, tipicamente maschile, che rende gli uomini più impulsivi e più spericolati.
- le donne sono più portate a svolgere diverse attività contemporaneamente (multitasking), anche in virtù di una minore disponibilità a delegare, mentre il sesso opposto si concentra su un obiettivo alla volta.
Purtroppo questi luoghi comuni ci vengono continuamente proposti in tutte le salse, compresi i nuovi media. Per costruire un rapporto gratificante e sereno con l’altro è necessario lasciare le lenti semplicistiche e grossolane del pregiudizio e dei luoghi comuni. Questo implica uno sforzo ed un impegno personale ed affettivo.
Occorre essere consapevoli del fatto che molto spesso l’apparenza inganna, che il pensiero ingenuo non richiede attendibili basi di riflessione e che non esiste un modo per elaborare in maniera neutrale o oggettiva la realtà. Dunque, siamo noi a comunicare all’esterno gli indizi della nostra identità, del nostro essere. Occorre percorrere la faticosa strada in cui si sospende ogni giudizio soggettivo, diffondere una cultura delle differenze, ritrovare spazio per la conoscenza delle varie forme di espressioni del Sé.
Riferimenti
www.lescienze.it/news/2008/05/28/news/psicologia_della_divisa-579389/?refresh_ce
www.menshealth.it/
www.lastampa.it/2010/07/05/societa/…/bradford…/pagina.html
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David M. Buss, L’evoluzione del desiderio, Laterza, Bari 1995
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Fritz Heider, Psicologia delle relazioni interpersonali, Il Mulino, Bologna 2000
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Paul Watzlawick, J.H. Beavin, D.D. Jackson, Pragmatica della comunicazione umana, Astrolabio, Roma 1971
Robin Norwood, Donne che amano troppo, Feltrinelli, Milano 1995
Elena Dusi, Se anche l’aria condizionata può essere maschilista, in D – la Repubblica delle donne di agosto 2015
Monica Coviello, L’abito fa il monaco, in Cosmopolitan di febbraio 2013
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