EXAGERE RIVISTA - Gennaio-Febbraio 2024, n. 1-2 anno IX - ISSN 2531-7334

La funzione strumentale per l’inclusione scolastica: capacità nella relazione

di Francesca Sartor

“Le possibilità vengono presupposte; esse devono trasformarsi in capacità. Questo è lo scopo di ogni educazione”.

Questa frase, scritta da Wolfang Goethe all’inizio del XIX secolo nell’opera Le affinità elettive, compendia in maniera significativa la mission pedagogica dell’Istituzione scolastica di ieri e di oggi. Essa trova attuazione nelle più recenti normative in tema di inclusione scolastica sensibilizzando insegnanti, educatori, genitori e gli stessi alunni (nel principio dell’autodeterminazione) a ricercare e incontrare i propri bisogni, definendo difficoltà e talenti e lavorando con la consapevolezza delle competenze da apprendere e dei cambiamenti che è necessario affrontare nel proprio percorso scolastico, al fine di raggiungere la miglior qualità di vita possibile. La complessità della società odierna, infatti, si riflette inevitabilmente anche sul mondo scolastico.

Nella scuola il termine Pedagogia è tradizionalmente usato per indicare lo studio dei metodi d’insegnamento, che includono tutte le forme di intervento che determinano l’apprendimento; si tratta, dunque, di azioni pedagogiche che rendono possibili, per lo studente, l’acquisizione di conoscenze e competenze che non c’erano prima e che emergono come funzione cognitiva all’interno di una relazione educativa. Ed è proprio in questa relazione che un insegnante, ad un certo punto, può sentire la necessità di essere supervisionato e aiutato a generare risultati educativi e didattici motivanti e autentici. Per curare i propri ragazzi deve innanzitutto avere cura di sé al fine di preservare la propria autoefficacia e poterla trasmettere in differita a ciascuno dei suoi studenti con modalità ad hoc.

Condurre una classe, infatti, è diventato, per gli insegnanti di oggi un compito arduo, come scrive Luigi D’Alonzo: “Gestire le molteplicità di un gruppo è una questione profondamente intrecciata con il modo di insegnare”, che diventa non solo una suddetta azione pedagogica, ma un’azione del cuore. Antichi etimologisti, infatti, ricongiunsero alla radice cor (cuore) la parola latina coera, ovvero cura.

La cura pedagogica è, quindi, una delle azioni del cuore che spinge l’individuo a capire, osservare, allo scopo di prevenire o preservare o anche di trovare una soluzione per rimediare, ricostruire, risolvere un problema.

Ogni professionista coinvolto nella relazione d’aiuto necessita di aver cura di se stesso e del proprio lavoro per agire, ma come cita Margareth Mazzantini in uno dei suoi romanzi: Nessuno si salva da solo, pur volendo, aggiungerei.

E a scuola? Come ci si salva?

Con il Decreto Ministeriale del 27 dicembre 2012 il MIUR ha riconosciuto le enormi difficoltà che si vivono a scuola emanando la prima Direttiva sui Bisogni Educativi Speciali (dicembre 2011) e il successivo Decreto Legislativo n. 107/2015 che ridefinisce il ruolo del personale docente di sostegno. Ogni scuola nomina, inoltre, al proprio interno, un referente per la Funzione Strumentale Inclusione. Esso viene individuato annualmente dal Collegio dei Docenti secondo l’articolo 33 del contratto scuola, e, in genere, la scelta ricade su un docente che possiede un titolo abilitante e di specializzazione su sostegno.

Ai referenti vengono implicitamente richieste diverse competenze specifiche. Una in materia legislativa, mediante lo studio e la conoscenza delle più recenti normative MIUR da condividere con gli altri colleghi; burocratica, mediante la definizione di progetti e il supporto alla compilazione di Bandi Regionali per l’acquisizione di nuove risorse da poter impiegare nella pratica didattica delle classi con alunni BES e la raccolta dei diversi portfoli per conservare i dati in un continuum di azioni cliniche e didattiche che aiutino i colleghi a comprendere i punti di forza e di debolezza nella storia scolastica dell’alunno; cosa può essergli d’aiuto e cosa non ha funzionato come riflesso funzionale. Come scrive Pema Chodron: Il cammino comincia là dove siamo.

Una competenza sociale, nell’aiutare i Dirigenti Scolastici ad organizzare riunioni e incontri con le famiglie e i Servizi di Neuropsichiatria locale pubblici o privati per supportare la progettazione e la valutazione del percorso formativo degli studenti con Bisogni Educativi Speciali.

Infine gli viene richiesta una competenza pedagogica, intesa come conoscenza dei metodi di osservazione e di intervento per fornire consigli utili a docenti e famiglie.

La Funzione Strumentale per l’Inclusione si muove tra gli stakeholder attraverso tecniche di comunicazione assertive, usando al meglio le risorse a disposizione e procurandone di nuove, se necessario e per lo più all’ombra del salice, poiché spesso pure la maggior parte dei docenti operanti all’interno dello stesso Istituto, non è a conoscenza di quante azioni questa Figura si ritrovi ad espletare per garantire un funzionamento armonico.

Durante la mia esperienza di referente mi è capitato spesso di riflettere su questo incarico, cercando risposte oggettive che rispondessero alle difficoltà che ho incontrato e alle mansioni che spettano a chi lo ricopre. Queste ultime sono nate, nel mio caso, come una semplice responsabilità d’area relativa alla disabilità, ma che, nel tempo ho percepito come “un’opera in divenire”, come la definirebbe Ermanno Rea nel romanzo Nostalgia. Si tratta, tuttavia, della mia esperienza, del mio vissuto, diverso, sicuramente, da quello di altri miei colleghi. Secondo la Teoria dei Sistemi, infatti, ogni gruppo/istituzione possiede un’omeostasi, che cambia a seconda degli attori interagenti e delle percezioni che questi ultimi hanno della realtà circostante, rispetto a come la vivono e come reagiscono ad essa.

Nelle scuole, l’incarico sopracitato, può essere denominato anche Figura di sistema per l’Inclusione Scolastica e, solitamente, si dipana su quattro piani, sempre in collaborazione con la Dirigenza Scolastica e le altre figure di coordinamento dell’organigramma scolastico.

Un piano delle possibilità attraverso un’analisi concreta delle risorse interne ed esterne alla scuola; un piano burocratico-organizzativo per la gestione di queste risorse e la loro spendibilità; un piano metodologico-didattico e un piano di counseling a docenti e famiglie

non basato su principi teorici, bensì su empiricità. È necessario fornire indicazioni concrete per rimuovere le difficoltà quotidiane e facilitare l’azione didattica, ad esempio con un approccio cognitivoche aiuti il docente ad adattare i curricoli e il genitore a comprenderne la personalizzazione su misura dei bisogni del proprio figlio. Ciò può avvenire attraverso una modalità diversa di presentazione del contenuto e di valutazione dell’espressione dello studente o attraverso un approccio cognitivo-comportamentale che aiuti docenti e famiglie a capire come contenere i disturbi disregolativi di un singolo, che pervadono l’intero gruppo classe e il normale svolgimento delle lezioni.

Il referente si trova quindi ad ascoltare in modo attivo mettendo in primo piano la visione dell’altro e i suoi bisogni contestuali per fornire strategie utili sia sul piano progettuale, che comportamentale. Per rispondere, deve, quindi investire sulla formazione: per curare e supportare bisogna essere preparati.

Egli cura accompagnando diverse persone coinvolte nei processi educativi a diventare dei problem solver elo fa attraverso la supervisione che acquisisce attraverso una costante formazione ed autoformazione. Tuttavia, anche il Referente è, in primis, un docente e alcuni giorni non sono semplici neppure per lui, che non sempre può beneficiare di una supervisione a sua volta.

Le mie riflessioni hanno portato a dei ragionamenti che possono contribuire a migliorare il lavoro di questa figura.

Il primo consiste nel promuovere la formazione attraverso percorsi mirati che supportino queste figure nell’espletamento della Funzione per poterla accogliere con maggiore serenità.

Il secondo consiste in una divisione equa e chiara dei compiti tra più figure specializzate e formate co-interagenti che abbiano chiaro cosa fare e quali sono i limiti del loro operare.

Il terzo riguarda l’identificazione di un Pedagogista interno alla struttura, ma uber alles rispetto ai compiti didattici e all’insegnamento per dar modo a tutti di attingere alla sua risorsa in modo continuativo nel corso dell’anno scolastico, acquisendo quell’empiricità che è peculiare a questa professione nella promozione del benessere e della salute di tutti.

L’ultimo ragionamento riguarda i concetti di rispetto e gratitudine che nutrono positivamente ogni impiego. Spesso i docenti che rivestono incarichi istituzionali accolgono quotidianamente richieste e investono il proprio tempo libero per fornire risposte di qualità attingendo dalla propria preparazione e dalla propria esperienza: necessitano, quindi, di sentire che il loro impegno viene riconosciuto. Questo serve anche ad allentare quell’emotività di cui sovente si carica e che, a lungo andare, può creare frustrazione e stanchezza.

Le possibilità vengono, quindi, presupposte, ma, per trasformarsi in capacità c’è bisogno della cura reciproca e del riconoscimento autentico delle peculiari mansioni di ciascuna professione per rispondere in maniera adeguata ai diversi bisogni educativi.

Bibliografia

COTTINI L., DE CARIS M., Il progetto individuale. Dal Profilo di Funzionamento su base ICF al PEI, GIUNTI EDU, 2020.

D’ALONZO L, Come fare per gestire la classe nella pratica didattica, GIUNTI EDU, 2016.

DOUGLAS GREER R., CASARINI F., Strategie educative CABAS. Un approccio evolutivo e sistemico all’educazione con ABA, Giovanni Fioriti Editore, 2018.

GOETHE W, Le affinità elettive, Einaudi, 1943.

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