di Alberto Basoalto
Appare chiaro, ad iniziare dal titolo, che in questo articolo non si parlerà della giustificazione di un omicida, fa parte di materie che non riteniamo di essere in grado di affrontare. Cercheremo solo d’introdurre alcuni spunti sul se si possa giustificare la morte di un uomo per mano di un altro uomo o quella di uomini per mano di altri uomini. Premessa necessaria prima di affrontare un argomento che, di per sé, appare alquanto spinoso.
Negli anni ’60 ebbe, ed ha a tutt’oggi nelle sue successive rappresentazioni, un importante successo (a cui seguì anche una versione cinematografica) una commedia musicale, a firma della coppia Pietro Garinei e Sandro Giovannini, dal titolo Un mandarino per Teo.
Un signore viene avvicinato da un personaggio misterioso che gli promette una somma esorbitante per l’epoca, (un miliardo di lire) se accetta di ammazzare, premendo un semplice campanello, un mandarino (termine che indicava un funzionario delle corte imperiale) in Cina. Inutile sottolineare che l’uccisione di un perfetto sconosciuto, la grande lontananza in cui si sarebbe prodotto l’evento, la totale immunità, la facilità del delitto, la straordinarietà della cifra di compenso, ha allettato non poco il protagonista della commedia. Preferisco, a questo punto, non accennare qui al seguito della trama che è rintracciabile facilmente in rete.
Ero giovinetto quando ho visto per la prima volta in televisione questa gradevole e frizzante commedia. La ricordo con piacere e mi fece, anche all’epoca, molto riflettere. In fondo, cosa c’è di più semplice dell’uccidere una persona lontana, senza nome, senza un volto, a fronte un’altissima ricompensa?
Dalle recentissime cronache apprendiamo di numerosi crimini commessi per motivi apparentemente futili o difficili da individuare in prima battuta.
Quello che colpisce, in questi atti criminosi è, in molti casi, l’estrema prossimità dell’assassino, dovuta all’uso di armi bianche. A questa vicinanza sembra corrispondere un’estrema distanza (un abisso mi verrebbe da scrivere) umana, un’indifferenza, la debolezza o l’assenza di un chiaro movente, le difficoltà nel giustificare dell’atto compiuto.
E’ noto come i miti delle origini si fondino, nella generalità, su atti di disobbedienza. Ad esempio, nella Bibbia, dopo la creazione, perfetta nel suo progressivo apparire e nella sua totalità, le prime azioni umane, trasgressive al dettato divino, ci appaiano, a noi umani del XXI secolo, irrazionali e orrende. Tuttavia, dovevano apparire tali anche all’epoca se hanno avuto necessita di una giustificazione.
Veniamo agli esempi più noti. La sottrazione del frutto nel paradiso terrestre e l’uccisione di Abele per mano del fratello Caino.
Tutti e due casi si caratterizzano per l’inconsistenza della giustificazione.
Nel giardino terrestre, Dio, tra l’altro, ebbe cura di piantare due alberi, l’uno per dare la vita l’altro per dare la conoscenza di tutto.
E gli ordinò: «Puoi mangiare il frutto di qualsiasi albero del giardino, ma non quello dell’albero che infonde la conoscenza di tutto. Se ne mangerai sarai destinato a morire!». (Genesi 2-16 17, usiamo il testo delle Bibbia interconfessionale)
L’uomo rispose:
— Ho udito i tuoi passi nel giardino. Ho avuto paura perché sono nudo e mi sono nascosto.
Gli chiese:
— Ma chi ti ha fatto sapere che sei nudo? Hai mangiato il frutto che ti avevo proibito di mangiare?
L’uomo gli rispose:
— La donna che mi hai messo a fianco mi ha offerto quel frutto e io l’ho mangiato.
Dio, il Signore, si rivolse alla donna: — Che cosa hai fatto?
Rispose la donna:
— Il serpente mi ha ingannata e io ho mangiato. (Genesi 3, 10-13)
Poi Dio, il Signore, disse: «Ecco, l’uomo è diventato come un dio che ha la conoscenza di tutto. Ora bisogna proibirgli di raggiungere anche l’albero della vita: non ne mangerà e così non vivrà per sempre». (Genesi 3.22)
La condizione umana nasce, dunque, legata alla sua condizione mortale. La disobbedienza al divino ci condanna alla morte. E la morte, nemmeno a dirlo, non tarda a incarnarsi per mano umana.
Adamo ed Eva ebbero due figli Caino e Abele. Il primogenito è invidioso dell’attenzione divina per le offerte di Abele e così…
Un giorno, mentre Caino e Abele stavano parlando insieme nei campi, Caino si scagliò contro Abele suo fratello e lo uccise.
Il Signore chiese a Caino: — Dov’è tuo fratello?
— Non lo so — rispose Caino. — Sono forse io il custode di mio fratello?
— Ma che hai fatto? — riprese il Signore; — dalla terra il sangue di tuo fratello mi chiede giustizia. Ora tu sei maledetto, respinto dalla terra bagnata dal sangue di tuo fratello che hai ucciso. Quando la coltiverai non ti darà più le sue ricchezze. Sarai vagabondo e fuggiasco sulla terra.
Caino disse al Signore:
— Il mio castigo è troppo grande; come potrò sopportarlo? Oggi tu mi scacci dalla terra fertile e io dovrò nascondermi lontano da te! Sarò vagabondo e fuggiasco, e chiunque mi troverà potrà uccidermi.
Ma il Signore gli rispose:
— No, chi ucciderà Caino sarà punito sette volte più severamente.
E il Signore mise un segno su Caino: se qualcuno l’incontrava non doveva ucciderlo. Caino andò ad abitare nella terra di Nod, a oriente di Eden, lontano dal Signore. (Genesi 4, 8-16).
Dov’è tuo fratello? Sono forse io il custode? Ma che hai fatto?
Queste le domande che rimbalzano tra Caino e Dio nel testo della Genesi.
Dio non risponde a Caino ma gli chiede conto dell’atto compiuto.
Tuttavia, non si vendica ma ne muta la condizione. Lo allontana. La seconda volta che crea una distanza, sempre maggiore. La prima per la disobbedienza dei genitori, la seconda per l’omicidio del fratello. Vengono allontanati, sempre di più, dalla condizione originaria. Quella divina dell’essere stati creati immagine e somiglianza dal creatore.
È del 1951 la pubblicazione dell’Uomo in rivolta di Albert Camus. Nell’introduzione Camus scrive: comprendere la giustificazione dell’omicidio è comprendere il proprio tempo.
Era da poco terminata la seconda guerra mondiale con 70 milioni di vittime, la maggior parte innocenti. Donne e uomini ammazzati con giustificazioni a cui si è cercato di dare una veste di razionalità.
“Il giorno in cui il delitto si adorna della spoglie dell’innocenza, quella cui viene intimato di fornire le proprie giustificazioni, per una curiosa inversione propria al nostro tempo, è l’innocenza stessa. (…) Si tratta di sapere se l’innocenza, dal momento che agisce, non può impedirsi di uccidere. (…)
Ciò che importa, per ora, non è il risalire alla radice delle cose ma, essendo il mondo qual è, sapere come comportarvisi. Al tempo della negazione, poteva essere utile interrogarsi sul problema del suicidio [cfr. A. Camus, Il mito di Sisifo, n.d.a.]. Al tempo delle ideologie bisogna mettersi in regola con l’omicidio. Se l’omicidio ha le proprie ragioni, la nostra epoca e noi stessi, siamo nella coerenza. Se non le ha, siamo nella pazzia e solo scampo e ritrovare una coerenza o mutar strada” (A.Camus, L’uomo in rivolta, Bompiani 2017, pagg. 5-6).
L’autore ritorna al concetto di assurdo, già ampiamente trattato nel Mito di Sisifo di cui, l’Uomo in Rivolta, ne costituisce la naturale e logica continuazione.
Il senso dell’assurdo, quando si pretenda trarne subito una norma d’azione, rende l’omicidio per lo meno indifferente, quindi possibile. Se a nulla si crede, se nulla ha senso e se non possiamo affermare alcun valore, tutto è possibile e nulla ha più importanza. Non c’è pro né contro, né l’assassino ha torto o ragione. (…) Malizia e virtù sono caso e capriccio. (A. Camus, idem, pag. 7)
Anni fa, a bordo di un treno, mi è capitato di assistere, casualmente, ad un scena che mi ha molto insegnato ed alla quale ho ripetutamente pensato nel corso degli anni.
C’era stato un diverbio tra un passeggero ed un ragazzo. Il passeggero aveva tentato anche di colpire quest’ultimo con uno schiaffo. Il ragazzo non aveva reagito. Era, però, intervenuto il capotreno che aveva richiamato l’adulto dicendogli: basta, potrebbe essere tuo figlio!
Il ragazzo avrà sicuramente letto in quelle parole un potrebbe essere tuo padre.
L’allontanarsi tra uomini, tra esseri umani e il passo successivo dell’allontanarsi da Dio. La solitudine è il culmine della distanza, dell’indifferenza, del vortice che che ci conduce ad essere sempre più distanti dalla nostra condizione umana. Una copia sbiadita di quest’ultima, la copia di una copia di una copia. E se c’è indifferenza tutto è possibile. Tutto è possibile in questa epoca, aggiungerebbe Camus.
Nella propria stanza, dove tutto appare vicinissimo ma terribilmente lontano, tutti sono giustificati nell’uccidere il proprio, lontano e inconsapevole, mandarino.