EXAGERE RIVISTA - Ottobre - Novembre - Dicembre 2024, n. 10-11-12 anno IX - ISSN 2531-7334

La Medicina del lavoro oggi: i rischi emergenti

di Giovanna Castellini, Maria Grazia Ricci , Luciano Riboldi

 

L’inizio del terzo millennio ha visto affermarsi il fenomeno conosciuto sotto il nome  di “globalizzazione”, fenomeno che tra le altre cose ha avuto un impatto importante sul mondo del lavoro soprattutto in termini di flessibilità. Si sono così affermati nuovi modelli organizzativi e i contratti di lavoro atipici sono diventati una forma non più eccezionale, ma permanente.

Com’è noto però le strategie organizzative hanno impatto sulla qualità del lavoro e sulla salute dei lavoratori facendo spesso emergere nuove tipologie di rischio associate anche a perdite significative di produttività.

All’interno di questa riorganizzazione, la rimodulazione dell’orario di lavoro, in particolare l’estensione  del lavoro notturno a categorie che fino ad ora non lo prevedevano, è uno dei fattori che incidono negativamente sulla salute dei lavoratori favorendo la comparsa di patologie gravi e sottoponendo lo stesso a stress nell’incapacità di conciliare vita professionale, familiare e relazionale.

In questo contesto i giovani, le donne e gli immigrati sono i lavoratori più esposti ai rischi sia quelli tradizionali che ai cosiddetti nuovi rischi. Così come gli ultracinquantenni che, oltre ad una maggiore esposizione ai rischi derivante dal fisiologico processo di invecchiamento, soffrono la difficoltà di adeguamento ai continui cambiamenti di tecnologie e metodi di lavoro.

Da qui la raccomandazione dell’Agenzia Europea per la salute e la sicurezza sul lavoro che identifica nei modelli organizzativi uno dei parametri critici nei lavoratori in età avanzate e invocando invece l’adozione di metodiche di prevenzione per i giovani onde evitare danni di lungo periodo.

Tra i nuovi rischi, una particolare attenzione deve essere dedicata ai rischi “psico-sociali” in quanto correlati all’organizzazione, alla modalità e agli orari di lavoro. Sempre l’Agenzia Europea ascrive la crescita dei rischi psico-sociali: all’uso di contratti precari, al ricorso all’outsourcing, all’invecchiamento, all’insicurezza del posto di lavoro, agli orari e ai ritmi di lavoro, alla crescente inconciliabilità tra vita privata e lavoro.

Tali rischi non si possono considerare “nuovi”, anche se oggi sono visti alla luce di nuove acquisizioni scientifiche o mutate percezioni; certamente il passaggio da un’idea passiva di salute, ovvero assenza di malattia, ad una attiva “stato di benessere psico-fisico”, ha lentamente fatto emergere il concetto di benessere sui luoghi di lavoro inteso come la capacità dell’organizzazione di promuovere e mantenere il benessere fisico, psicologico e sociale dei lavoratori.

La Medicina del Lavoro peraltro da tempo indaga la relazione tra organizzazione del lavoro e tutela della salute focalizzandosi sui fattori di natura psico-patologica e psico-sociale quali il mobbing e lo stress lavoro-correlato perché, citando alcune pubblicazioni della Commissione Europea, la tutela della salute dei lavoratori è propedeutica a maggiori livelli di benessere. Insieme alle tutele giuridiche formali devono però essere implementate prassi e buone pratiche che a fronte di nuovi rischi adottino un approccio integrato e interdisciplinare (medico, psicologico, organizzativo, socio-economico).

Al Centro Stress e Disadattamento Lavorativo, attivo dal 1996 presso la Clinica del Lavoro “L.Devoto” di Milano, viene pubblicato nella rivista La medicina del Lavoro (2001;92,1:61-69) il primo documento di consenso: ”Un nuovo rischio all’attenzione della Medicina del Lavoro: le Molestie Morali (Mobbing)”.

Da allora ad oggi il “Centro” accoglie lavoratori per sospetto stress occupazionale su richiesta del curante (circa 800 persone/anno) sia per valutazioni di secondo livello a supporto del Medico Competente aziendale sia all’interno di prestazioni del Sistema Sanitario Nazionale.

Questa frequenza ci suggerisce che il malessere sul luogo di lavoro è un fenomeno da non sottovalutare anche se le circostanze e le criticità rilevate hanno, nel corso degli anni, subito modifiche sostanziali.

Tale condizione va ricercata nelle problematiche socio-economiche e in primis alla crisi economica e di riflesso del mondo del lavoro già iniziata negli anni ’90, ma percepita solo intorno al 2010 come fattore incidente sul lavoro dell’individuo.

Un’indagine clinica su 1.675 soggetti (57,1% donne, età media per entrambi i sessi di 46 anni) afferenti al Centro Stress e Disadattamento Lavorativo nel periodo Gennaio 2014 – Dicembre 2016 ben illustra  quanto accade.

Il settore maggiormente rappresentato è quello Sanitario (13,4%) seguito dalla Grande Distribuzione (12,2%), dai Servizi (11,2%), dal settore Manifatturiero ed Edilizio (10,4%), dall’Amministrazione Pubblica (enti locali, comuni, regioni, province) per l‘9,1% e da Alberghi, Ristorazione, Pulizie e Mense (8,1%) che da soli rappresentano il 64,4% del campione esaminato.

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Ai primi tre posti per le criticità riscontrate troviamo:

  • azioni avverse subite ad opera di un diretto superiore, azioni che si distinguono dalle conflittualità interpersonali presenti in misura “fisiologica” nei luoghi di lavoro;
  • lacunosità e disfunzionalità dell’impianto organizzativo/gestionale (non chiarezza dei ruoli, direttive ambivalenti, organigrammi disfunzionali) che si differenziano dall’elenco delle “costrittività” organizzative (come riportato dalla circolare Inail n°71 del 2003);
  • svilimento del ruolo e delle competenze acquisite che in genere si associa anche ad una non valorizzazione delle stesse.

L’indagine clinica mostra inoltre che tali criticità possono presentarsi in simultanea e in associazione fra di loro con un conseguente peggioramento del quadro di riferimento.

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La salute

La salute, definita dall’Organizzazione mondiale della sanità (OMS) nel 1946 come uno “stato di completo benessere fisico, psichico e sociale e non semplice assenza di malattia“, viene considerata un diritto e come tale si pone alla base di tutti gli altri diritti fondamentali che spettano alle persone. Questo principio assegna agli Stati e alle loro articolazioni compiti che vanno ben al di là della semplice gestione di un sistema sanitario. Essi dovrebbero farsi carico di individuare e cercare, tramite opportune alleanze, di modificare quei fattori che influiscono negativamente sulla salute collettiva, promuovendo al contempo quelli favorevoli. In tale contesto, la salute viene considerata più un mezzo che un fine e può essere definita come una risorsa di vita quotidiana che consente alle persone di condurre una vita produttiva a livello individuale, sociale ed economico.

La definizione di salute proposta dall’OMS è molto impegnativa…

Molto impegnativa soprattutto quando a destabilizzare una condizione di benessere psicofisico sono le  condizioni del mondo del lavoro. Le ricadute sulla salute, statisticamente significative in ragione dell’indagine già citata presso il nostro Centro, riguardano:

 

  • i disturbi del sonno: sono i primi segnali di allarme e anche quelli più sottovalutati dall’individuo; sono gli ultimi a stabilizzarsi in un tempo molto lungo, stimato in alcuni anni.

Attraverso un buon sonno si recuperano non solo energie psicofisiche, ma soprattutto, anche attraverso l’attività onirica, si riassettano equilibri e si rielaborano situazioni inconsce non risolte.

Inoltre, nel lungo termine, un cattivo sonno produce gravi ripercussioni sul tono dell’umore.

Sono sufficienti poche notti insonni dovute a qualsiasi problema di carattere personale e la visione delle cose cambia, ovviamente in senso peggiorativo e di solito a sfondo depressivo.

Soggetti che hanno sperimentato gravi problemi sul lavoro, durante la notte sono afflitti da risvegli automatici a causa di pensieri intrusivi, da rivisitazioni continue e dolorose anche con incubi, verosimilmente nella ricerca di risposte aggressive di difesa, di fatto non realizzabili nella realtà.

 

  • L’umore si presenta orientato in senso depressivo: fattore che in generale poco ci racconta se non si entra nel vivo della complessità del soggetto come essere unico e non replicabile. Lo stato di depressione si accompagna a una serie di vissuti che vanno dal sentimento di perdita, al restringimento di aree d’interesse, al desiderio di non esistere. Quest’ultimo elemento porta di frequente l’individuo verso una totale abulia e a una chiusura intrapsichica dal campo socio relazionale. Lo stato depressivo genera in aggiunta un senso d’impotenza nelle persone affettivamente vicine al lavoratore, le quali sperimentano spesso un’incapacità a tollerare una condizione psichica poco palpabile, non sempre comprensibile, ma soprattutto non risolvibile.

 

  • L’ansia: è sempre presente e assume diverse forme poiché tensioni e stress, sofferti per lungo periodo, generano stati di allarme in chi è costretto a resistere al lavoro in una situazione avversa con relativa iperattivazione neurovegetativa. Per chi invece si ritrova lontano dalla fonte di disagio/malessere, le ansie assumono le caratteristiche di una maggiore vulnerabilità e, per “effetto alone“, si allargano anche verso altre circostanze esistenziali fino allo sviluppo di fobie o disturbi panici in relazione ad angosce non meglio elaborate.

 

  • Sviluppo di tratti di persecutività: questi sintomi sono spesso presenti nei soggetti che hanno subito situazioni di stress e/o avversatività sul luogo di lavoro: tali sintomi non vanno però confusi con una condizione di paranoia indotta da una condizione psichiatrica, ma come la risposta affermativa a domande di test validati. Infatti, estrapolando le domande che concorrono a innalzare le scale della paranoia, queste, in soggetti che riportano una condizione di stress persecutorio, sono per la maggior parte pertinenti rispetto a quanto vissuto e sperimentato dal soggetto (dato confermato nella letteratura internazionale).

 

  • Somatizzazioni: il corpo, quando la mente è restia a riconoscere una condizione di mal adattamento, si ribella e invia segnali non sempre riconosciuti dal soggetto, anzi talvolta sottovalutati nella speranza di una loro soluzione a breve termine.

Le somatizzazioni coinvolgono diversi distretti organici in base ad una compiacenza individuale. Pertanto per alcuni l’organo bersaglio può essere lo stomaco (con pirosi gastriti ricorrenti e dolore), la testa (cefalee tensive ricorrenti ad esempio), algie diffuse (da tensione emotiva includenti gli arti superiori, collo spalle), intestino (alvo diarroico o stitico), fino a vertigini, senso di confusione, deconcentrazione e spossatezza con astenia ovviamente non giustificata dall’impegno fatica/quotidiana.

 

  • Condotte comportamentali disfunzionali: nessuno s’inventa comportamenti disfunzionali, vengono semmai incentivate alcune abitudini percepite come consolatorie già ampiamente collaudate dal soggetto per far fronte a situazioni di stress. Pertanto chi fuma, in genere ne incrementa l’uso, chi usa il cibo come rilassante sarà necessariamente portato all’iperfagia compulsiva con il classico svuotamento da frigo anche notturno e relativo incremento ponderale, così come l’abuso di alcool e non ultimo l’abuso di psicofarmaci.

 

 

I vissuti

L’attività del Centro Stress e Disadattamento Lavorativo mette in luce anche specifiche tipologie di “vissuto”. Sono vissuti soggettivi, ma vale la pena citarli perché sono quello che ogni giorno i lavoratori riportano con un trasporto emotivo non di poca rilevanza.

 

  • Non sono più capace di fare il mio lavoro = fallimento: tale vissuto, tradotto in psicologica con il termine di non autoefficacia, induce il soggetto verso un bilancio negativo della propria esistenza accompagnato spesso da un senso di completa inutilità.

Tale condizione è stata verosimilmente provocata dalle critiche e dalla denigrazione professionale subita nell’ambiente di lavoro. Ciò contribuisce ad abbassare i livelli di autostima fino alla credenza che forse il “mobber ha ragione”. Vale spendere una parola per dire che si tratta di un sintomo. L’esperienza della clinica del lavoro, nella molteplicità dei casi analizzati, ne ha rilevato la presenza in molti soggetti alcuni dei quali con ruoli anche di elevata professionalità di cui nulla fa pensare a un decadimento nelle competenze acquisite. Si tratta di una distorsione dell’esame di realtà indotto da una condizione emotiva depressiva, ma che condiziona anche la possibilità di un recupero di energie performanti.

 

  • Mi sento matto … voglio sapere se sono io o sono gli altri: affermazione che si presenta molto più frequente di quello che si crede. Sussiste un marcato desiderio di capire meglio e di ricevere il “giusto” da chi non essendo di parte può offrire un verdetto di assoluzione in chi si sarebbe sentito come il diverso o peggio additato come il “folle”. Si ravvisa una certa difficoltà a narrare situazioni estremamente cruente nel timore di non essere compresi.

 

  • Non voglio nulla solo le scuse per quanto ho subito, mi basterebbero e/o vorrei fare qualcosa affinché nessuno sperimenti quanto è capitato a me. I lavoratori vedono nella propria storia la lesione di un diritto e vorrebbero farsi da una parte i paladini della giustizia e dall’altra coltivano il desiderio di un riscatto soprattutto di dignità identitaria. Accade spesso che il lavoratore venga preso come capro espiatorio oppure usato con il fine di “punirne uno per educarne cento”. Quando la situazione si fa critica, e l’isolamento sia personale sia professionale si realizza, appare facile additare la persona come il diverso.

 

  • Altri eventi traumatici: Nelle batterie di test e nel colloquio clinico/psicologico si chiede al lavoratore d’indicare altri eventi traumatici della vita. Spesso si apprendono traumi esistenziali di gravissimo impatto, quale ad esempio la perdita dei figli, gravissime condizioni di salute del lavoratore e/o dei congiunti etc. Eppure ogni volta quanto patito nell’ambiente di lavoro è raccontato dagli stessi come una condizione insuperabile.

Ciò vale almeno una riflessione. Aver subito sul lavoro una condizione di mobbing e/o di stress svalutativo, provoca una crisi esistenziale gravissima più di altre gravi vicissitudini della vita.

È quindi importante sottolineare che l’identificazione con il lavoro quale espressione della nostra identità individuale, se messa in discussione in senso peggiorativo, causa una completa e  non sanabile destabilizzazione esistenziale.

Dal punto di vista psicologico sono spesso situazioni non ragionevolmente comprensibili, di frequente solo abusanti e nelle quali l’individuo, sviluppando impotenza appresa, può solo subire. Diverso è con altri traumi esistenziali dove nel grande dolore non verrebbe percepita una intenzionalità lesiva, ma l’accettazione della vita nelle sue incognite a volte crudeli.

 

L’identikit del mobber

Non è possibile fare un identikit del mobber; verosimilmente non si nasce tali, ma lo si diventa.

L’esperienza della Centro Stress e Disadattamento Lavorativo identifica l’abusante sempre in un individuo che ha un potere e che si sentirebbe al “sicuro” nelle sue funzioni. Può essere lo stesso titolare dell’azienda, tale comportamento si osserva soprattutto nelle aziende a conduzione padronale/famigliare o piccole realtà come ad esempio gli studi professionali. “In fondo è la sua e fa come gli pare” o anche “ti dà da mangiare” sono alcune delle frasi più ricorrenti.

Oppure un dirigente o un capo officina o qualsivoglia ruolo intermedio che, nella strategia aziendale, ne è a volte il mandante; o invece non lo è, ma sa che può esprimersi nella sua malvagità senza alcuna ripercussione. Ovvero avere il potere significa avere l’abilitazione a condotte inurbane e vessatorie anche verso persone semplicemente “antipatiche”, o magari migliori che concorrono a oscurare la propria incompetenza. Chi soccombe purtroppo è costretto ad attivare molte strategie per contrastare quanto sperimentato anche nell’ottica di mantenere il posto di lavoro, in genere fino alla resa finale.

Le logiche di potere riguardano, nel settore privato, modalità palesemente “grette” nella loro esplicazione, seppure non ne rappresentino un vanto. Più peculiare è nel settore pubblico, qui le logiche sono molto più complesse, le azioni vessatorie hanno caratteristiche omertose, silenti, a goccia lenta, ma sempre indirettamente segnate dal potere. Le ricadute sono molto pesanti soprattutto per la perdita di professionalità e dei conseguenti costi economici che coinvolgono invece la collettività.

 

L’identikit dello stressato/mobbizzato

 

  • Si tratta in genere di una persona iperemotivata nel lavoro.

Un numero importante di lavoratori afferenti al Centro hanno investito molto nel lavoro conseguendo spesso  avanzamenti di carriera significativi in ragione anche dell’età media che è tra i 40 e i 60 anni. Soggetti che si sono impegnati nell’ottica di costruire qualcosa e soprattutto di sentirsi utili. Questo aspetto del “sentirsi utili” non è da sottovalutare, fa parte dell’essere umano e dà significato all’esistenza indipendentemente dal trattamento economico.

 

  • Si tratta di persone che hanno senso civico ed etica professionale: pertanto infrangere o non acconsentire a operazioni ritenute poco trasparenti e/o illegittime e/o di corruzione, porta a severe ricadute sull’attività lavorativa del soggetto fino alla sua esclusione (sia nel pubblico che nel privato). Tale condizione comporta notevoli ripercussioni dal punto di vista emotivo quando ovviamente la situazione si modifica a svantaggio del soggetto con un sovvertimento di tutto il suo sistema valoriale.

 

  • Si tratta di persone che avrebbero investito, ma come succede nella vita potrebbero non risultare più “appetibili” poiché malate o invalide e quindi meno performanti. Da qui il tentativo dell’azienda nel favorirne l’uscita con mezzi e metodi non sempre etici.

 

  • Si tratta di persone che non si sarebbero risparmiate a favore dell’azienda anche a fronte di gravi condizioni di salute o in occasione della maternità, ma che l’azienda non riconosce nel momento in cui questa dedizione viene a mancare.

 

La Prevenzione

Forse le uniche domande che dobbiamo porci sono le seguenti:

  • L’azienda ha la voglia di essere sana?
  • Ha voglia di mettere in discussione l’impianto organizzativo?
  • Ha voglia di mettersi in discussione dove, qualora siano rilevate delle problematicità d’investire in opportuni correttivi?
  • L’azienda tiene alla salute del lavoratore?
  • L’azienda crede davvero che lavorare in un ambiente sereno aumenta le performance e la desiderabilità di far parte dell’azienda e sentirsi a essa fidelizzata.

Solo una conferma positiva a queste domande può dare adeguata implementazione ad una valutazione del rischio stress come peraltro già sancito nel D.Lgs 81/2008 Titolo I – Capo III- Sezione II VALUTAZIONE DEI RISCHI: Articolo 28: la valutazione dei rischi di cui all’articolo 17, comma 1 lettera a), anche nella scelta delle attrezzature di lavoro e delle sostanze e dei preparati chimici impiegati, nonché nella sistemazione dei luoghi di lavoro, deve riguardare tutti i rischi per la sicurezza e la salute dei lavoratori, ivi compresi quelli riguardanti gruppi di lavoratori esposti a rischi particolari, tra cui quelli collegati allo stress lavoro-correlato, secondo i contenuti dell’accordo europeo dell’8 ottobre del 2004  quelli riguardanti le lavoratrici in stato di gravidanza […] nonché quelli connessi con le differenze di genere, all’età, alla provenienza da altri paesi e quelli connessi alla specifica tipologia contrattuale attraverso cui viene resa la prestazione di lavoro.

 

La Cura

Ai lavoratori che si rivolgono al Centro Stress e Disadattamento Lavorativo sono prospettati percorsi di cura e di presa in carico attraverso un supporto psicoterapeutico sia individuale che di gruppo, al fine di favorire un ridimensionamento dei disturbi dominanti attraverso una rielaborazione e ristrutturazione emotivo/cognitiva dell’esperienza lavorativa, oltre al recupero delle risorse individuali.

Da una statistica del Centro ottenuta dai test di inizio e fine percorso, si osserva in generale una buona risposta alla psicoterapia con un significativo miglioramento nelle scale della triade nevrotica all’MMPI-2, nella possibilità ad esempio di poter rivisitare la propria condizione di malessere da altri punti di vista e con persone non giudicanti.

Si osserva comunque un migliore andamento clinico per i soggetti sottoposti a terapia di gruppo; verosimilmente tale condizione va ricercata nell’uscita dalla solitudine e nella possibilità di  interfacciarsi con altre realtà lavorative; il conoscere altre realtà simili per condotte avverse seppure differenti dalle proprie, potenzia le strategie di difesa e di coping.

 

FOLLOW UP

Tutti i lavoratori del Centro sono sottoposti a follow up a distanza di circa sei mesi dall’accertamento attraverso un’intervista telefonica. I dati, ancora in fase di elaborazione, su più di 1.000 soggetti indicativamente ci danno i seguenti risultati:

I lavoratori che migliorano le loro condizioni di salute riportano le seguenti condizioni di lavoro:

  • Uscita dalla situazione di stress e/o disadattamento per negoziazione extragiudiziale con l’azienda a fronte di una buona uscita e/o risarcimento del danno biologico/esistenziale subito.
  • Cambiamenti strutturali in azienda: per cambio delle funzioni di vertice.
  • Intervento del medico competente aziendale a fronte di limitazioni inerenti alla mansione specifica (quando disfunzionali rispetto allo stato di salute) o talvolta buona mediazione con il datore di lavoro in ragione di azioni avverse subite (in una minoranza dei casi).
  • Uscita dal lavoro per nuova posizione lavorativa.

In sintesi: appare significativo come il raggiungimento di un maggiore equilibrio psico-emotivo è ottenuto rimuovendo il sintomo e cioè “il mal adattamento lavorativo” e non attraverso dovuti correttivi rispetto alle criticità rilevate durante l’accertamento presso il Centro.

Il ritrovato benessere sarebbe avvalorato da una riduzione della terapia psicofarmacologica seppure i sintomi di malessere permangano, quali i già dichiarati disturbi del sonno e una “ferita traumatica“ di complessa elaborazione nel timore di rivivere ancora quanto vissuto e sperimentato, oltre al maggiore disincanto rispetto al lavoro stesso.

Restano invece fallimentari i reintegri in azienda: soggetti reintegrati nella stessa azienda a fronte di una sentenza favorevole, persistono in una condizione di stress/disadattamento lavorativo anche a causa di una frequente non ottemperanza delle indicazioni del giudice. Il vero obiettivo rimane la difesa a lungo termine del lavoratore.

 

In conclusione

  • L’uomo è complesso e complesso è svolgere un’indagine sull’individuo quando soffre di mal adattamento lavorativo con tutte le conseguenze sulla salute.
  • Pertanto l’indagine deve coinvolgere sempre figure istituzionali di diversa estrazione professionale (medici, psicologi, psichiatri, testisti, infermieri) e quindi di multidisciplinarietà.
  • Non esiste un manuale esplicativo per i casi visitati al Centro Stress e Disadattamento Lavorativo, tutto si calibra sull’esperienza del singolo e dell’azienda di appartenenza e da qui le relative criticità.
  • La non omogeneità dei casi, dove le sfumature e la personalità dell’individuo nell’interfaccia con il lavoro ne fanno la differenza, induce una seria difficoltà nella ricerca.
  • Ciò che invece si rileva quale fenomeno comune è l’esistenza di organizzazioni aziendali “malate” e che queste agiscono sull’individuo spesso annientandolo.
  • Oggi abbiamo un contesto storico dei più complessi, dove la produttività e la riduzione dei costi restano le priorità. Pertanto i lavoratori di lunga esperienza rappresentano le persone più a rischio poiché più costose e sostituibili con soggetti che hanno meno competenza/esperienza, ma appetibili per la sopravvivenza aziendale.
  • I metodi per escludere lavoratori ancora troppo giovani per il fine carriera, ma troppo vecchi per proporsi in altri ambiti lavorativi, sono spesso alquanto cruenti nella modalità e verosimilmente finalizzati allo sfiancamento psicologico.
  • Molte delle mansioni un tempo necessarie sono oggi sostituibili con tecnologie informatiche e/o macchinari che non necessitano di alcune professionalità. Tale condizione vede l’uscita dei lavoratori con più anzianità di servizio che risultano sprovvisti delle competenze richieste.
  • Vale spendere ancora una parola per il lavoro “al ribasso”; a causa della crisi economico-sociale, nella nostra casistica compaiono anche i giovani e giovanissimi, iper-sfruttati in contesti dove molto è richiesto e poco è dato e ovviamente in realtà non sindacalizzate, in palese violazione dei diritti sanciti dallo Statuto dei Lavoratori.
  • Il mondo del lavoro non appare lungimirante nella crescita aziendale, ma semmai proiettato nel qui e ora. Pertanto nella società del benessere non si tollerano limitazioni e/o sopraggiunti deficit che l’anzianità anagrafica necessariamente impone.
  • Il mantenimento del posto del lavoro è la sfida dell’individuo che, pur di mantenere un’identità indotta, si adatta a lavorare “con un kit di psicofarmaci”.

 

Articolo 4 della Costituzione Italiana

La Repubblica riconosce a tutti i cittadini il diritto al lavoro e promuove le condizioni che rendano effettivo questo diritto.

Ogni cittadino ha il dovere di svolgere, secondo le proprie possibilità e la propria scelta, una attività o una funzione che concorra al progresso materiale o spirituale della società.

 

 

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