di Gianfranco Giudice
“Il tempo è una gran bella cosa: gli uomini lo accusano è vero di due difetti: d’esser troppo corto, e d’esser troppo lungo; di passare troppo tardamente, e d’essere passato troppo in fretta: ma la cagione primaria di questi inconvenienti è negli uomini stessi, e non nel tempo, il quale per sé è una gran bella cosa: ed è proprio un peccato che nissuno finora abbia saputo dire precisamente che cosa egli sia”
Alessandro Manzoni, Fermo e Lucia
Che cos’è il tempo? Potremmo rispondere innanzitutto che è “quello dell’orologio”. In parte la risposta coglierebbe nel segno, se il livello della nostra ricerca si fermasse alla funzione che il tempo ha nella nostra vita quotidiana. Ma oltre le lancette dell’orologio che cosa ci sta? L’idea del tempo è prima di tutto quella di una successione che, come insegna la teoria della relatività speciale, è impossibile separare dallo spazio. Il tempo ci appare altresì collegato al movimento, come per primo aveva intuito Aristotele. Il tempo è anche un ciclo, come ci mostrano i fenomeni astronomici e biologici, attraverso i quali si realizza il concreto vissuto del tempo. Il rito è la rigenerazione del tempo, che vive nella ciclicità originaria. Si apre poi un altro campo di questioni, a proposito del tempo, se osserviamo la differenza tra l’Occidente e le culture non occidentali. Il tempo dell’Occidente è assimilato sempre più al movimento dell’orologio, ad un tempo strumento/misura, secondo la logica della successione lineare. Le cose sono ben diverse in altre civiltà, ma anche alle origini dell’Occidente. Il nostro essere-nel-mondo, la nostra immagine del mondo, coincide sostanzialmente col nostro tempo; altre culture sono altri mondi, altre idee del tempo.
Il calendario occidentale deriva in larga parte dalla Roma imperiale, ma affonda le sue radici nell’antica poesia greca di Esiodo. La nostra idea della temporalità è stata plasmata dalle grandi organizzazioni storico- sociali e dalla religione. E’ possibile tuttavia, al di là delle differenze, immaginare che ci sia qualcosa di identico nelle concezioni umane del tempo, per il fatto stesso che l’esperienza del tempo si radica nell’essere umano stesso, la sua sostanza è profondamente antropica.
Una delle forme fondamentali di ritmo, è quella legata ai cicli biologici, modellata sull’alternarsi del giorno e della notte, i cosiddetti ritmi cicardiani. Si tratta dell’orologio biologico, incorporato in ogni organismo vivente; esso rappresenta la base materiale della temporalità. A questo proposito si possono formulare due ipotesi. Una endogena che sostiene essere il senso del tempo insito in tutti gli organismi viventi; esiste dunque una base materiale della temporalità. L’altra ipotesi è esogena, sostiene che la temporalità abbia origine da una comunicazione segreta tra organismo animale e natura. Secondo l’ipotesi esogena, l’ambiente dà il tempo, abituando tutti gli organismi ad oscillare. Gli organismi viventi percepiscono pertanto il tempo, rispondendo a fenomeni in mutamento.
A questo punto si apre il problema se l’esperienza del tempo umana si esaurisca in una sfera puramente biologica, oppure si aggiunga anche una dimensione puramente mentale. Per quanto riguarda gli esseri umani, il ritmo cicardiano più influente è legato all’alternarsi degli stati di veglia e sonno. Il ciclo riproduttivo è prevalentemente circa-lunare circa-annuale. Il termine stesso mestruale deriva dal latino mensis, che contiene la radice indoeuropea di “luna”; e in effetti il ciclo mestruale con la sua durata di 28 giorni, è prossimo al ciclo della Luna.
L’orologio umano funzionerebbe dunque nella forma di un adattamento al ciclo lunare. Come tutti gli organismi viventi, marciamo a tempo col ritmo impresso dentro di noi dalla musica di fondo della natura. Negli animali funziona un meccanismo di regolazione temporale di tipo istintuale; ovvero un comportamento che non è appreso sulla base dell’esperienza, come invece accade nel comportamento intelligente dell’uomo. Il linguaggio e la tecnologia sono due abilità che gli uomini probabilmente hanno raggiunto prima di ogni misurazione del tempo. Questo perché senza la parola e la capacità tecnica, sarebbe impensabile qualunque calcolo temporale.
I primi testi scritti riguardanti il tempo giunti fino a noi, sono ossa incise in epoca paleolitica, quindi risalenti ad oltre ventimila anni fa; essi paiono contenere la registrazione di eventi lunari. I diversi metodi di misurazione del tempo che gli uomini hanno elaborato nel corso della loro storia, al di là del mondo naturale, rispecchiano tutti quelle periodicità fondamentali che il mondo naturale induce su di noi; ovvero i ritmi che derivano dai fenomeni ripetibili dei cicli fisici o biologici della natura.
Per quanto riguarda il mondo occidentale, il momento più significativo nell’elaborazione dell’idea di tempo, è l’inno di Esiodo al ciclo annuale, Le opere e i giorni. L’idea di tempo esioidea, è quella del tempo opportuno per ogni cosa. Lo scritto espone come un manuale pratico, il modo di condurre una vita ordinata e strutturata, nel difficile ambiente agricolo delle montagne del Peloponneso. Il tempo è una progressione di eventi ordinata, all’interno della quale si struttura l’attività quotidiana del contadino. Tempo e spazio nel vissuto sono esattamente intrecciati, al punto da essere una cosa sola. Esiodo colloca inoltre il proprio presente nella più ampia struttura temporale di un modello cosmogonico, trattando le precedenti età dell’oro dell’uomo, secondo uno schema di progressiva degenerazione cosmica. Nel calendario esioideo c’è perfetta corrispondenza tra ritmi celesti, rigido ordine della natura e bioritmi presenti in tutte le forme viventi. Da quanto scrive Esiodo, capiamo che gli antichi Greci non concepivano il tempo come un fenomeno astratto, scandito da un orologio, come accade oggi. Per loro il tempo era il ciclo ordinato di eventi naturali percepibili, ai quali gli uomini dovevano collegare gli eventi della vita quotidiana: dalla lavorazione del terreno all’adorazione degli dei. L’uomo doveva vivere dentro i confini della natura e nell’orizzonte del suo ritmo temporale. La cultura non poteva contraddire la natura. Il tempo è un ciclo primordiale dove si combinano il ciclo razionale del sole (chiarezza è sinonimo di razionalità) e quello irrazionale della luna (lunatico è sinonimo di irrazionalità). In questa ciclicità sono iscritti tutti gli eventi umani.
L’origine delle cose è intrecciata con il concetto di tempo; ogni mito della genesi inizia sempre con l’origine del tempo. Nella tradizione giudaico-cristiana del Vecchio Testamento, nella Genesi in particolare, l’uomo si trova al vertice della gerarchia nel progetto divino, che si dispiega temporalmente e spazialmente. Tutto è inteso per il dominio di Dio. Nelle antiche cosmogonie, per esempio nella Teogonia di Esiodo, oppure nel mito babilonese noto come Enuma Elish, la creazione del mondo è concepita come atto di separazione della terra e del cielo, in seguito alla quale inizia a scorrere il tempo. Il Caos originario è l’origine di tutte le cose, la separazione e la distinzione dei singoli enti coincide con l’inizio stesso del tempo. Ogni cosa ha pertanto il suo tempo opportuno (kairós per i Greci) per ne circoscrive il limite, l’identità. Ecco in proposito il frammento dell’antico sapiente Anassimandro, il primo testo della filosofia occidentale, risalente ad oltre duemilacinquecento anni fa: ”Le cose fuori da cui è il nascimento alle cose che sono, peraltro, sono quelle verso cui si sviluppa anche la rovina, secondo ciò che deve essere: le cose che sono, difatti, subiscono l’una dall’altra punizione e vendetta per la loro ingiustizia, secondo il decreto del Tempo”(cfr. Giorgio Colli, La sapienza greca, Milano, 1992 vol. II, frammento 11 [A1]).
Il tempo appare pertanto all’alba del pensiero dell’Occidente come il tempo debito, la misura opportuna, il limite di ogni cosa; proprio come narrano anche le antiche cosmogonie mitiche.
La separazione dal Caos originario, l’a-peiron di Anassimandro; è il principio delle opposizioni. Da qui sorge anche l’idea che il tempo sia una successione di polarità opposte. Per i Greci Crono creò questo schema quando polarizzò l’universo a partire dalla omogenea simmetria del Caos. Il tempo nasce con la separazione della terra dal cielo; il divenire nel tempo è l’oscillazione delle cose tra le estremità opposte dell’esistenza.
Il nostro modello del tempo come una catena lineare di eventi, è diversa dall’idea di tempo ciclico dei nostri antenati. In realtà se osserviamo meglio il nostro modo di vivere l’esperienza del tempo, ci accorgiamo che anche per noi la dimensione circolare del tempo continua ad essere imprescindibile. Distinguiamo un tempo sacro da un tempo profano; laddove gli antichi mescolavano questi due momenti, per cui il passato eroico restava vivo nel presente. Oggi noi viviamo nella scansione profana del tempo, all’interno della quale periodicamente, mettiamo in atto dei momenti di rigenerazione, attraverso la celebrazione di riti festivi che consentono di ri-creare il tempo, così come avviene del primo atto di genesi del divenire temporale del mondo.
Come sostiene Mircea Eliade, l’uomo religioso vive nel mondo atemporale dell’origine; l’uomo storico crea la storia scegliendo di separare gli eventi passati da se stesso. Il ciclo quotidiano è il più importante di tutti i periodi naturali; la variazione di giorno e notte, sonno e veglia, è responsabile dei cicli cicardiani riscontrati in tutta la materia vivente. Questo determina a partire dai babilonesi, la ricerca di un metodo razionale di calcolo del tempo, con lo scopo di raggiungere una misura uniforme. Le società organizzate richiedono che il periodo diurno sia altamente regolato, al fine di coordinare tutte le principali attività collettive e sociali. Ecco allora emergere la dimensione del tempo come principio fondamentale di organizzazione sociale, sulla cui moderna in Occidente si è soffermato in particolare il grande sociologo Norbert Elias. Nell’antica Grecia e a Roma uno schema di angoli solari detto “ore”, era trasformato in una serie di meridiane pubbliche. Talora i primi orologi, fino alla gloriosa invenzione dell’orologio meccanico alla fine del Medioevo, erano costruiti più per glorificare la bellezza e la semplicità del moto celeste, che non per soddisfare il desiderio di precisione; questo è il caso per esempio della Torre dei venti ad Atene. Anche la religione ha svolto un ruolo importante nella ricerca di una sempre maggiore precisione. La concezione cristiana richiedeva infatti una vita controllata e disciplinata, soprattutto durante il cristianissimo Medioevo; l’Europa fino all’inizio dell’era moderna era l’Europa christiana. Possiamo pertanto affermare che l’orologio meccanico sia stato conseguente all’interesse di misurare il tempo, e non al contrario all’origine di tale interesse. “Il tempo è denaro”; ecco l’imperativo che si afferma a partire dallo stesso Medioevo cristiano, quando accanto al tempo sacro e rituale della Chiesa, come ha mostrato il grande storico francese Jacques Le Goff, spinge sempre più la forza dell’interesse del mercante e dell’artigiano, attenti al profitto nella produzione e nel prestito del denaro, fino ad allora condannato dalla Chiesa come usura, nell’ambito del nascente mercato capitalista. A proposito di tempo e di denaro, la condanna di qualunque prestito di denaro da parte della Chiesa, nasceva proprio dall’idea che essendo il tempo creato da Dio, gli uomini non potessero appropriarsene (chi prestava soldi ad interesse era considerato un ladro di tempo) come misura per calcolare l’entità degli interessi che il debitore doveva al creditore, come invece diventerà legittimo nell’attività bancaria.
Gli orologi presentavano dei problemi, man mano che gli imperativi secolari della produzione e del commercio, in una economia in espansione e crescente specializzazione, cominciavano ad entrare in conflitto con la dimensione del sacro e della fede. In questo contesto si diffonde sempre di più la misurazione meccanica del tempo; il nuovo modo di misurare il tempo era automatizzato e slegato dai cicli naturali, essendo fondato sulla ragione e sulla tecnica da essa prodotta. La misurazione del tempo rispondeva sempre più ad un preciso obbligo legale e sociale.
La ricerca dell’ora esatta arriverà ad essere la più grande ossessione del XX secolo. In origine motivata dalla religione e dal commercio, più che dal puro interesse scientifico, la ricerca del modello ideale per calcolare il tempo, ci ha trasportati dal vasto cosmo, giù verso il mondo astratto e invisibile dell’atomo. Ormai possiamo dire che sia il tempo che controlli le nostre azioni quotidiane; da ritmo biologico fondamentale, il tempo è diventato una funzione astratta che uccide gli stessi bioritmi, come ci accade sempre più nell’ossessione quotidiana della velocità e del just in time, al punto che vivere è sempre più sinonimo di correre.
L’omogeneità crescente delle culture in un mondo globalizzato e interconnesso dalla rete, comporta l’uniformità dei metodi di calcolo del tempo, che diventano l’unità di misura universale dell’agire umano. La nostra civiltà preferisce trattare il tempo in astratto, a differenza della maggior parte delle società tribali, nelle quali i calendari rivelano lo stretto contatto degli uomini con il mondo naturale. In alcune società, i nomi assegnati ai singoli mesi che compongono il ciclo annuale, possono dare informazioni quanto i nomi della settimana, riguardanti i popoli e l’ambiente in cui vivono. A parte qualche eccezione, i nostri mesi erano definiti in base a concetti astratti. Anziché ricordare per esempio in quale momento si colgono le bacche, noi occidentali abbiamo sempre cercato di far accordare esattamente i mesi al ciclo stagionale dell’anno. I tentativi di far concordare i mesi co l’anno, rappresentano in capitolo principale nella storia occidentale del tempo. Abbiamo ereditato il vecchio calendario romano, scritto nel 300 a. c. circa, ma probabilmente risalente a prima della fondazione della repubblica, avvenuta nel 510 a. C. Sebbene i primi romani possedessero il concetto di un periodo di tempo equivalente al nostro anno e connesso al ciclo stagionale o solare, il loro calendario era principalmente basato sul ciclo lunare. Il grosso problema che i romani dovevano affrontare, proprio a causa dell’astrazione insita nel loro metodo di calcolo del tempo, era quello dell’intercalazione; ovvero come risolvere il problema della differenza esistente tra la posizione del sole e le date dell’anno stagionale. Questo problema fu risolto nel 45 a. C. con la riforma giuliana del calendario, operata da Sosigene, massimo consigliere di Giulio Cesare sulle questioni calendariali. Fu abbandonato totalmente il vero mese sinodico lunare come base del calendario, inserendo 12 mesi di 30 o 31 giorni, per un totale di 365 giorni. Abbandonando per sempre l’usanza dell’intercalazione mensile, il ciclo annuale del sole divenne l’unico periodo naturale che fungesse da basilare unità del tempo del calendario.
Questa riforma sarebbe risultata soddisfacente per mille e seicento anni. Furono motivazioni religiose quelle che portarono alla successiva grande riforma del calendario occidentale: la riforma gregoriana. Il problema religioso era quello di determinare la domenica della Pasqua cristiana, in modo tale che non cadesse nella stessa domenica della Pasqua ebraica. Dal punto di vista astronomico, questo problema equivaleva a stabilire il punto dell’equinozio invernale nello zodiaco.
Nel sedicesimo secolo, la recessione dell’anno reale rispetto al calcolo artificiale era arrivata a 11 giorni. La domenica di Pasqua cominciò in media a cadere sempre più tardi e quindi ad essere sempre più calda. Nel 1582 Papa Gregorio XIII nominò una commissione per riesaminare la questione della riforma. Bisognava riportare l’equinozio alla sua corretta collocazione nel ciclo annuale annuale, trovando un meccanismo per mantenerlo fisso. Il sistema elaborato, cancellò con un colpo solo dieci giorni del calendario e riformò la regola dell’anno bisestile. Il nuovo sistema era tanto perfetto che il ciclo annuale elaborato dall’uomo avrebbe preceduto le stagioni soltanto di un giorno in 3300 anni.
La riforma gregoriana fu adottata immediatamente da tutti i paesi cattolici, ma fu rigidamente osteggiata dal mondo protestante, che lo accetterà solo successivamente, e da quello non occidentale. In Russia il calendario gregoriano fu accettato solo dopo la Rivoluzione bolscevica, e fu necessario a quel punto cancellare un gran numero di giorni.
Tutte le riforme sembrano mirare ad ottenere la concordanza fra ciclo annuale e l’esatto arrivo di una data solare. Con lo sviluppo degli stati organizzati burocraticamente, cresce l’interesse ad elaborare e collegare strettamente cicli sempre più grandi, al fine di controllare il futuro. La necessità di conciliare questioni religiose, politiche ed astronomiche, ha spinto a volere sincronizzare cicli naturali, lunare e solare. Questo è risultato impossibile, per cui alla fine è rimasto il ciclo solare come metro fondamentale per la misurazione del tempo. Lo sviluppo del nostro calendario è stato inoltre accompagnato da complessità e astrazione crescenti, che ci hanno sempre più allontanato dalla natura; nonostante i sistemi di calcolo del tempo siano nati proprio per mantenere la nostra vita in armonia con la natura.
Il modo occidentale di concepire la storia è intimamente connesso alla nostra idea del tempo. Il tempo, così come la storia, è da noi inteso come una successione lineare di eventi collegati da cause ed effetti; questa idea ha preso il posto del precedente modo associativo di intendere la temporalità, secondo il quale i rituali rappresentavano atti compiuti o festività celebrate in risposta a fenomeni ciclici della natura. Il rito era il momento di rigenerazione del tempo, l’atto di origine a partire dal quale iniziavano tutti gli eventi naturali ed umani. Il giorno di Capodanno per la maggior parte delle culture era il modo migliore per iniziare l’anno, essendo un periodo di riposo e di inattività. Il nostro tempo è una linea retta indefinita; il tempo dei nostri antenati era un circolo autorigenerantesi, che tornava sempre su se stesso. La somiglianza dei periodi di fine anno nei calendari delle civiltà remote, sembra indicare che ogni civiltà abbia bisogno di rigenerarsi, sospendendo o annullando temporalmente il passaggio del tempo stesso. La fine dell’anno per i Maya sembra essere stato un momento in cui scaricare idee e pensieri negativi. Nel Messico centrale, questo periodo è associato all’accensione di un “fuoco nuovo” nei focolari di tutte le case e di tutti i templi. Per il Cristianesimo i dodici giorni compresi tra Natale e l’Epifania, in cui si festeggia la nascita di Cristo, possono rappresentare quei giorni non conteggiati di rigenerazione; il resto del ciclo di dodici lune che bisognava aggiungere alla fine dell’anno lunare per completare il ciclo solare. L’idea del tempo lineare è legata alla cultura giudaico-cristiana; infatti per il credente l’era cristiana iniziata con la nascita di Cristo, finirà con la seconda venuta di Cristo. La fine di tutte le cose temporali e del tempo, accadrà con l’arrivo del regno di Dio, che darà inizio a una nuova era, atemporale ed eterna. La storia occidentale è stata orientata da tale concezione teleologica di un linea temporale. I tempi lunghi del nostro calendario sono lineari, non circolari come pure suggerirebbe la natura.
In epoca moderna prevale ancora il tempo come avanzamento rettilineo; la tecnologia ha sostituito la religione, tuttavia la dottrina resta teleologica. Prima di Agostino, la percezione dei tempi lunghi da parte dell’uomo occidentale era stata ritmica e ripetitiva; gli avvenimenti erano reali soltanto se rappresentavano eventi archetipici originari. Per babilonesi e Greci il “Grande Anno” era l’intervallo tra la creazione, la distruzione e la rinascita del mondo. Quando il sole, la luna e i pianeti raggiungevano le stesse posizioni reciproche occupate in un’era precedente, accadeva la ricreazione/rigenerazione degli eventi del passato.
Le diverse concezioni del tempo comunicano tutte un senso di unità cosmica, che va al di là delle diversità culturali. E’ impossibile per noi vivere senza un ordine; sicuramente il tempo è un potente fattore di ordinamento. La filosofia platonica concepisce il tempo come “immagine mobile dell’eternità”, secondo la celebre definizione contenuta nel Timeo. Il tempo è il reale contrassegno dell’ordine razionale, in un universo mutevole e limitato spazialmente. Il tempo è ciò che caratterizza il mutamento degli oggetti spaziali, a differenza della fissità eterna delle forme ideali. Nella cosmogonia platonica il tempo rappresenta la caratteristica prima del mutamento ordinato dell’universo, che inizia quando le forme ideali, la vera realtà, assume una consistenza materiale.
Aristotele definisce nella Fisica il tempo come “numero del mutamento secondo il prima e il poi”; ovvero il tempo è la parte numerabile del mutamento, tra l’inizio e la fine del mutamento stesso. Essendo il tempo numero, nel senso di parte numerabile, del mutamento; lo Stagirita ha riconosciuto per primo la necessità di qualcuno che numeri la parte numerabile, cioè dell’anima, della coscienza diremmo noi, del soggetto che percepisce e pensa il mutamento. Dunque tempo e anima, eccoci allo snodo cruciale nella storia occidentale del concetto di tempo; per comprendere il tempo non basta guardare all’oggetto che muta, è necessario anche un soggetto che colga il mutamento. Soggettivismo ed oggettivismo si incroceranno di continuo nella concezione del tempo, perché sono entrambe necessarie per la comprensione del fenomeno. La teoria della relatività einsteiniana, legherà spazio e tempo nel concetto di cronotopo, spazio-tempo; dimensione assoluta in relazione alla quale (da qui l’idea di relatività del tempo oltre che dello spazio) si dà ogni sistema spazio-temporale di riferimento particolare.
La verità reale per Platone e Aristotele era radicata nel permanente, nell’eterno; il mondo sensibile soggetto al cambiamento, è segnato strutturalmente dalla temporalità. La visione teleologica cristiana del mondo, diffusasi in Europa solo alcuni secoli dopo Cristo, rafforzava molto la concezione lineare del tempo. Il cristianesimo inoltre, dopo Agostino, diede alla linea temporale una prospettiva più soggettiva, rispetto alla visione oggettivante dei Greci, nonostante l’intuizione aristotelica sul ruolo cruciale dell’anima nella percezione del tempo, che ritroviamo secoli dopo nel Neoplatonismo. Secondo Agostino il tempo proveniva dalla mente e non dallo spazio, secondo la celebre definizione che troviamo nelle Confessioni, secondo la quale il tempo è distensio animae. Passato e futuro nascono dal presente. Il tempo narra ciò che accade in noi, non alle cose esterne sulle quali si soffermano i filosofi greci. Il Cristianesimo pervase l’Europa, influenzando in tal modo profondamente il pensiero europeo sul tempo, sulla creazione e sulla storia. La scala temporale ordinava tutto il creato in funzione della salvezza e della redenzione umana; l’ordine naturale era l’ordine divino stabilito tramite la rivelazione. Queste erano le basi della struttura temporale che avremmo utilizzato secoli dopo. Il Cristianesimo poneva quel legame necessario fra tempo e dominio dell’uomo sulla natura, che sarà ripreso in altra forma nell’idea del tempo-quantità della scienza.
Il conflitto tra scienza e religione, avvenne quando il pensiero scientifico cominciò ad elaborare l’idea del tempo come una linea retta che doveva proseguire all’infinito. Tutto ciò entrava in conflitto con la linea temporale biblica, che secondo la Genesi non era superiore a seimila anni dalla creazione del presente. Le testimonianze fossili, indicavano una età della Terra molto più antica. Le moderne teorie scientifiche dell’evoluzione e della relatività come abbiamo visto, tornano a legare il tempo e lo spazio, così come fanno molte concezioni primordiali del tempo. La relatività in particolare, rappresenta il tempo come spazio. Lunghezza, larghezza, altezza e tempo descrivono un cosmo spazio-temporale dinamico. I concetti spaziali e quelli temporali sono tra loro intrecciati dalla velocità della luce. Ogni evento che osservo si trova nel passato; l’unico presente sarebbe il lampo di un istante che posso concepire solo nella mia mente.
La storia moderna della genesi è la teoria cosmologica evolutiva oggi prevalente, la quale ipotizza che l’intero universo abbia avuto inizio con un’esplosione, un big bang avvenuto circa 15 miliardi di anni fa. L’universo nel quale viviamo è un aggregato dinamico, in crescita e in evoluzione, di materia e di energia. La genesi moderna ci offre un universo in trasformazione e gli interrogativi odierni sul tempo e sulla creazione riguardano un processo, non una condizione di stasi. Il nostro interesse perciò è su come l’universo cambi.
L’atto di separazione è tra i temi principali emersi dall’attuale concezione dell’evoluzione cosmica. Notevoli sono i paralleli con i miti della creazione babilonesi, greci e dell’Antico Testamento. In origine l’universo consisteva in una sorta di aggregato informe di materia ed energia legate assieme; l’espansione iniziale fu accompagnata da un abbassamento della temperatura e la sostanza fino ad allora unita, si suddivise in materia ed energia, le due entità che compongono l’universo che vediamo oggi. Questa teoria evolutiva è il nostro mito della creazione. L’universo oscilla, la prossima contrazione ci cancellerà dall’esistenza.
Il tempo è il ritmo fondamentale di questa oscillazione cosmica. Ogni aspetto dell’esperienza umana e fisica, è piegato al paradigma dello sviluppo. In natura niente resta fisso, tutto progredisce continuamente lungo un flusso temporale unidirezionale, la freccia del tempo. L’universo in espansione e l’evoluzione asimmetrica, sembrano indicare che il tempo scorra in un’unica direzione, così come ci mostra la nostra esperienza di vita. Prove a favore della natura unidirezionale del tempo sono portate dalla fisica nucleare e dalla termodinamica. L’entropia è la misura del disordine e la seconda legge della termodinamica afferma che essa aumenterà sempre. Una freccia temporale appare incorporata in tutti i processi naturali, punta dall’ordine verso il caos. L’universo ha avuto inizio nel suo stato di massimo ordine e di minima entropia, e tende verso il massimo disordine. Nella Genesi al contrario, Dio stabiliva l’ordine a partire dal caos.
Il corso della storia occidentale ha determinato la nostra particolare visione del tempo. Abbiamo preso in prestito molto dai Greci, in particolare la loro logica, fondata a partire dalla loro lingua alfabetica; dai Romani abbiamo mutuato molti elementi pratici di calcolo del tempo. La concezione del tempo lineare risente molto delle credenze cristiane che si affermano nel Medioevo e nell’Europa cristiana. Con l’epoca moderna si afferma sempre più la misura meccanica del tempo; l’orologio meccanico separa il tempo vissuto, l’esperienza concreta del tempo, la sua qualità, dal tempo uniforme, astratto e quantitativo. L’orologio ha separato il tempo-misura dagli eventi umani e ha contribuito a creare la credenza in un mondo indipendente di sequenze matematiche misurabili con una unità di misura universale, senza la quale sarebbe impensabile la scienza moderna. Il tempo lineare è indefinito; l’idea scientifica del tempo è fondata sulla sequenzialità, sul cambiamento consecutivo, sulla progressione lineare e la produzione. Il tempo lineare e misurato dagli orologi diventerà l’unità di misura del profitto capitalistico.
Oltre la rete totalizzante degli orologi, permane ancora per noi occidentali qualche frammento di incerto e di ignoto. Rimane una intercapedine dentro cui si annida l’emozione dell’esperienza vissuta del tempo, che sfugge ad ogni misura, e che in talune occasioni della vita possiamo ancora sentire come i nostri lontani progenitori. Linea e circolo sommati assieme, dunque movimento a spirale; ecco l’esperienza concreta del tempo.
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