di Giulia Pratelli
Capita spesso di associare la musica ai momenti vissuti, rendendola elemento fondamentale del ricordo delle nostre esperienze passate. Quante volte ci è successo che riascoltando un brano dopo qualche anno tornassero alla mente ricordi particolari? Le canzoni, nel tempo, diventano elementi essenziali della memoria di incontri, avvenimenti importanti o anche interi periodi della vita di ciascuno di noi.
Il rapporto tra musica e memoria è infatti molto stretto e si svolge non solo sul piano personale, ma anche su quello collettivo: la musica svolge una funzione importantissima anche per la memoria sociale, diventando una vera a propria fonte di informazioni storiche, un prezioso strumento per il ricordo e la ricostruzione di avvenimenti, usanze, sentimenti diffusi in particolari periodi del passato.
A mio avviso questo argomento può essere affrontato secondo due punti di vista: in primo luogo considerando le canzoni che sono diventate bandiera di particolari eventi storici, in secondo luogo prendendo in esame l’evoluzione del mestiere di musicista e compositore, sottolineando come, soprattutto in alcuni particolari momenti storici, è stato specchio dell’evoluzione del contesto sociale di riferimento. Considerando però l’impossibilità di affrontare in modo adeguato entrambi gli aspetti, ci concentreremo in questa sede soltanto sul primo profilo, se pur brevemente e senza pretendere di riuscire ad essere completamente esaustivi, rimandando ad una sede più consona l’analisi sociologica dell’evoluzione del mestiere musicale nel tempo.
Da sempre, attraverso la musica sono stati riportati e tramandati numerosi eventi. Facendo un salto indietro nel tempo, potremmo ricordare la figura dei bardi, i cantori itineranti celtici, che, nel XV secolo, cantavano leggende ma anche grandi imprese, testimonianze di episodi realmente accaduti (molto spesso, sicuramente, ingigantendoli per renderli più accattivanti). Il loro compito fondamentale era infatti quello di raccontare cosa fosse accaduto in terre lontane al fine di informare e diffondere le notizie, anche a coloro che per motivi geografici non potevano venire autonomamente a conoscenza dell’accaduto.
Anche in epoche molto più recenti le canzoni sono state utilizzate per raccontare avvenimenti, diffondere ideologie e pensieri politici, idee di rivolta, di ribellione, grazie anche al maggior coinvolgimento emotivo che deriva dall’unione tra le parole e la musica, dal canto corale.
È ad esempio quello che è accaduto nella seconda metà del XIX secolo negli Stati Uniti d’America del Sud, con la nascita del blues. Senza avere in questa sede modo e tempo per approfondire gli aspetti musicali di questo importantissimo genere, possiamo brevemente ricordare quanto accadde intorno alla fine del XVIII secolo, quando ebbe inizio la deportazione degli schiavi, dalle colonie africane al territorio americano, affinché svolgessero lavori pesanti, spesso in condizioni disumane, degradanti. Fu proprio l’incontro tra la musica, in particolar modo il canto, e il sentimento di oppressione, di angoscia e di dolore a dare origine ad un nuovo genere musicale che avrebbe avuto nel tempo una fortuna incredibile. I canti blues, inizialmente accompagnati dal solo battito delle mani, nacquero proprio dalla consapevolezza degli schiavi africani di essere diventati neri americani[1], come grida di dolore, lamenti che denunciavano la fatica e la mortificazione determinate dalle condizioni di vita e di lavoro nei campi. La musica era un elemento essenziale della vita degli schiavi africani: caratterizzava i momenti di preghiera, di svago ma anche di lavoro. Fu naturale che in essa convergesse la necessità di raccontare la propria condizione svantaggiata ed esprimere con forza la disperazione che da essa derivava, lasciando sempre uno spazio per la speranza di un domani migliore, soprattutto dopo la conversione al cristianesimo che determinò l’incontro e la contaminazione tra la particolare sensibilità musicale degli schiavi neri e gli elementi biblici, dando origine alla nascita degli spiritual. Anche in seguito all’emancipazione degli schiavi dopo la vittoria degli Stati del Nord nel 1865, la condizione dei neri americani rimase critica e il blues mantenne la sua natura di canto di dolore e di speranza, utilizzato dai neri americani per esprimere e raccontare la condizione di svantaggio in cui continuavano a trovarsi, essendo vittime di discriminazione e dovendo lottare per l’affermazione dei propri diritti.
Anche nel vecchio continente è possibile individuare numerosi intrecci tra la musica e la politica, la società.
Potremmo ad esempio concentrarci su ciò che avveniva nei regimi totalitari, laddove le canzoni venivano utilizzate effettivamente come strumento di propaganda, al fine di diffondere e rafforzare l’ideologia del regime e la fedeltà al governo. Grazie a melodie e ritmi semplici e incalzanti, inoltre, si rendeva più immediata la memorizzazione e dunque la partecipazione a persone di ogni età e estrazione sociale. Il regime fascista è un esempio perfetto a tal proposito: canzoni come Giovinezza[2], Duce, duce, duce[3], Inno dei balilla moschettieri[4] rappresentano veri e propri documenti attraverso i quali è possibile ricostruire l’ideologia politica allora dominante e il modo in cui si cercava di diffonderla e rafforzarla. Ad esempio, in Giovinezza si cantava la fedeltà al duce: i poeti e gli artigiani / i signori e i contadini, / con orgoglio di Italiani / giuran fede a Mussolini. / Non v‘è povero quartiere / che non mandi le sue schiere, / che non spieghi le bandiere / del fascismo redentor[5]. Invece, Inno dei balilla moschettieri cantava il coinvolgimento dei più giovani nella militanza fascista: nell’Italia dei fascisti / anche i bimbi son guerrieri / siam balilla moschettieri / dell’Italia il baldo fior […] dei piccini il maschio ardore / può la grande Italia far![6].
Allo stesso modo potremmo pensare a ciò che accadeva sul versante opposto, richiamando alla mente le canzoni della Resistenza, spesso nate da nuove elaborazioni di brani già appartenenti alla tradizione popolare, dettate dall’urgenza di esprimere il sentimento di ribellione e di ricerca della libertà contro la pressione di un regime totalitario oppressivo e liberticida e di un’occupazione straniera violenta e indesiderata. Sono canti come Bella Ciao[7], Fischia il vento[8], Pietà l’è morta[9], o la bellissima Oltre il ponte[10], scritta da Calvino e Liberovici dopo la guerra, per spiegare ai giovani cosa fosse avvenuto solo pochi anni prima (io spero che a narrarti riesca / la mia vita all’età che tu hai ora) e quanto sia importante conoscere il nostro passato per difendere, appunto, la nostra memoria (e vorrei che quei nostri pensieri / quelle nostre speranze di allora / rivivessero in quel che tu speri / o ragazza color dell’aurora).
Tutti questi brani sono entrati a far parte del nostro patrimonio culturale, aiutandoci a ricordare, a conoscere meglio la nostra stessa storia, mantenendo vivi i sentimenti che hanno determinato la volontà di agire, come il famosissimo verso di questo è il fiore del partigiano morto per la libertà[11] o ancora coprifuoco, la truppa tedesca / la città dominava, siam pronti / chi non vuole chinare la testa / con noi prenda la strada dei monti[12].
Tutto ciò è avvenuto anche in periodi più recenti, soprattutto grazie alla musica di quegli artisti (principalmente i cantautori) che hanno voluto descrivere ciò che accadeva intorno a loro o raccontare avvenimenti storici e politici, producendo così non “solo” canzoni ma anche veri e propri documenti storici.
Nella sua vastissima produzione artistica, Bob Dylan, per esempio, ha spesso composto brani ispirati a fatti di cronaca, vicende giudiziarie ed episodi di grande rilevanza politica. Attraverso la musica, egli ha espresso il suo disappunto per le ingiustizie e le discriminazioni, criticando aspramente la società americana e la sua impostazione culturale. Pensiamo ad esempio a Oxford Town[13], un brano in cui si racconta la vicenda di James Meredith, il primo studente universitario afroamericano, oppure Death of Emmett Till[14], la canzone in cui Dylan narra la storia del giovane di colore ucciso per aver corteggiato una ragazza bianca. L’esempio assolutamente più celebre è Hurricane[15], la canzone che racconta precisamente la storia dell’ingiusta condanna per omicidio inflitta al pugile Rubin Carter, a seguito di un processo ingiusto, determinato fondamentalmente dal colore della pelle dell’imputato più che da prove solide e testimonianze attendibili. Questo brano è stato determinante non solo nella diffusione della vicenda di Carter ma anche e soprattutto nel risvegliare nella popolazione il sentimento di indignazione che ha portato a numerose manifestazioni popolari di dissenso, culminate con la riapertura del processo e l’affermazione dell’innocenza del pugile. Infine è impossibile non ricordare Blowin’ in the wind[16], la famosissima canzone pacifista che Dylan compose nel 1962 e che divenne presto il manifesto dei giovani americani delusi dalla politica degli anni ’50 e ’60 ed un vero e proprio simbolo mondiale di protesta contro qualsiasi guerra. In un periodo in cui gli Stati Uniti erano coinvolti in grandi conflitti politico-militari internazionali, quali la Guerra Fredda prima e il Vietnam poi, e lacerati al loro interno dalla profonda frattura causata dalla discriminazione razziale, tutte queste canzoni ebbero una immensa eco e divennero vere e proprie icone del pacifismo e della lotta per la conquista dei diritti civili. La loro importanza fu tale da trascendere il piano della protesta sociale, arrivando a esercitare un’influenza concreta sulle situazioni collegate ai diritti civili, alle ingiustizie penali, alla corruzione giudiziale[17]. Come evidenziano alcuni studi, inoltre, una produzione musicale di questo tipo riesce ad avere un valore storico-sociale enorme perché risulta essere molto più efficace di qualsiasi studio o spiegazione teorica, considerando in generale l’impatto emotivo della musica e in particolare la grandissima diffusione e popolarità di questi brani. L’ascolto di queste canzoni «brutally force us to confront the corruption of the American judicial system in case of racially-charged crimes in ways that law review articles or classroom lectures simply cannot equal»[18].
Anche le canzoni dei cantautori italiani hanno avuto un’importanza fondamentale nel racconto di situazioni di disagio sociale. Soprattutto negli anni delle proteste operaie e studentesche, quando le canzoni riuscivano a fornire un vero e proprio sostegno morale per i movimenti di protesta, acquistando un grandissimo valore simbolico ed emotivo. È il caso, ad esempio, di artisti come Bertoli, Guccini, De Andrè. Del primo ricordiamo Eppure soffia[19], brano divenuto simbolo di difesa della natura contro l’inquinamento e lo sfruttamento eccessivo delle risorse da parte dell’uomo, di Guccini invece è impossibile non menzionare Auschwitz[20], canzone subito divenuta bandiera della memoria delle vittime dei campi di concentramento, La locomotiva[21], ispirata dall’atto di ribellione di un macchinista anarchico contro l’ingiustizia sociale[22]. Riguardo a De André, invece, tutti conosciamo la sua Don Raffaè[23] in cui, attraverso un dialogo ironico tra un secondino e un boss mafioso in carcere, si racconta la situazione critica di una società profondamente in crisi, nella quale fa da padrona la corruzione. Via del campo[24], invece, descrive la vita nei quartieri più difficili di Genova. O ancora disco Storia di un impiegato[25]: concept album che tratta temi quali il Maggio francese, il terrorismo, la rivoluzione e la necessità di un’azione comune e non individuale.
È possibile ovviamente riscontrare esempi anche più recenti e questa breve dissertazione potrebbe continuare ancora per molto. Gli aspetti che legano la musica al tema della memoria sono molteplici e in questa sede ho cercato di metterne in luce alcuni. Essendo uno dei «principali prodotti dell’uomo capaci di creare una memoria di tipo tanto comunicativo quanto culturale», essa costituisce un «elemento rilevante nei processi di coesione sociale e di conservazione della memoria», assumendo così un ruolo di primaria importanza «nei processi di costruzione sociale della realtà»[26]. Se possiamo definire la memoria storica di una comunità come quel complesso di valori comuni e insegnamenti conservati dal passato di quella particolare collettività, la cui distruzione comporterebbe il rischio di demolire l’identità stessa di tale gruppo, allora la musica ne fa indubbiamente parte. Anzi, la musica ne rappresenta a mio avviso un segmento particolare e fondamentale poiché permette di unire al dato storico-narrativo l’elemento emotivo.
Da ciò derivano importanti conseguenze, tra le quali il fatto che al momento della scrittura, della produzione e della diffusione della canzone la musica consente all’autore di sviluppare una narrazione più incisiva e coinvolgente. In un secondo momento, questo bagaglio emotivo permetterà poi di rafforzare il messaggio e la comunicazione anche a distanza di tempo, in modo da riuscire a tramandare e risvegliare nel tempo quei sentimenti e quelle sensazioni diffuse all’interno della società che originariamente furono il motivo stesso della composizione. A volte ciò potrà suscitare un senso di vicinanza con quello che si ascolta, a volte potrà accadere il contrario, laddove la musica andrà a sottolineare un messaggio e un’impostazione comunicativa ormai desueta o non più condivisibile (come può accadere, per esempio, all’ascolto odierno degli inni fascisti).
In ogni caso, il contributo dato dall’accompagnamento di una melodia e di un ritmo alle parole, alle sensazioni e alle emozioni sarà sempre prezioso e aiuterà il consolidarsi del ricordo, personale e collettivo.
[1] Cfr. E. LeRoi Jones, Il popolo del blues, sociologia degli afroamericani attraverso il jazz, Shake, 2011.
[2] S. Gotta – G. Blanc, Giovinezza, 1925: il brano è stato composto originariamente nel 1909 come canto goliardico intitolato Il commiato. In seguito il canto fu più volte riadattato, fino a trovare nel 1925 la sua stesura definitiva e a diventare inno trionfale del Partito Nazionale Fascista.
[3] Anonimo, Duce, duce, duce, 1937.
[4] C. Zangarini, G. Pettinato, Inno dei balilla moschettieri, 1935.
[5] N. Oxilia – G. Blanc, Giovinezza, cit.
[6] C. Zangarini, G. Pettinato, Inno dei balilla moschettieri, cit.
[7] Anonimo, Bella Ciao, canzone popolare: si tratta di un canto nato dalla rielaborazione di canti popolari già ampiamente diffusi, soprattutto nel nord Italia. In particolare il brano è stato accostato al canto delle mondine pagane avente lo stesso titolo e successivamente a Fior di tomba, di cui riprende la struttura del canto e La me nòna l’è vecchierella, da cui invece riprende la ripetizione del ciao. Proprio a causa dell’origine incerta, data dalla diffusione rapida e spontanea del canto, determinata dal sentimento diffuso di partecipazione alla Resistenza, del brano non si conoscono gli autori né l’anno di composizione.
[8] F. Cascione, M. Blanter – M. Isakovskij, Fischia il vento, canzone popolare, 1943: si tratta di una canzone partigiana molto famosa, nata dall’accostamento tra il testo scritto dal giovane partigiano ligure Felice Cascione, poeta e medico, e l’aria della famosissima Katyusha, canzone popolare sovietica composta qualche anno prima da Blanter e Isakovskij.
[9] N. Revelli, Pieta l’è morta, 1944: un canto che riprende la melodia di Sul ponte di Perati, un’aria della tradizione militare italiana, in particolare usata dagli alpini in varie occasioni belliche precedenti.
[10] I. Calvino, S. Liberovici, Oltre il ponte, 1959.
[11] Anonimo, Bella ciao, cit.
[12] I. Calvino, S. Liberovici, Oltre il ponte, cit.
[13] B. Dylan, Oxford Town in «The Freewheelin’ Bob Dylan», Columbia Records, 1963.
[14] B. Dylan, Death of Emmett Till in «Folksinger’s Choice (Live Radio Performance)», 1962.
[15] B. Dylan, Hurricane in «Desire», Columbia Records, 1976.
[16] B. Dylan, Blowin’ in the wind in «The Freewheelin’ Bob Dylan», Columbia Records, 1963.
[17] Cfr. J. Gimeno Bevia, El derecho procesal en la mùsica de Bob Dylan y su canción “Hurricane Carter” in «The Online Collection of the Italian Society for Law and Literature», vol. 7, 2014, http://www.lawandliterature.org/index.php?channel=
[18] M. Perlin, Tangled Up in Law: The Jurisprudence of Bob Dylan, in «SSRN, Electronic Journal», giugno 2011, pag. 4, http://ssrn.com/abstract=1908898, pag. 14.
[19] P. Bertoli-A. Borghi, Eppure Soffia in «Eppure Soffia», CGD, 1975.
[20] F. Guccini, La canzone del bambino nel vento (Auschwitz) in «Folk beat, n.1», La voce del padrone, 1967.
Nello scrivere il brano, Guccini trasse ispirazione dalla lettura di Tu passerai per il camino, vita e morte a Mathausen (Ugo Mursia Editore, Milano, 1965), romanzo autobiografico di V. Pappalettera in cui l’autore racconta la propria permanenza nel campo di concentramento austriaco. La canzone fu in realtà depositata da Lunero – Vandelli perché all’epoca Guccini non era ancora iscritto alla SIAE. Il brano fu pubblicato per la prima volta nel 1966 dall’Equipe 84 come lato B del singolo Bang Bang, uscendo solo un anno dopo nella versione incisa da Guccini.
[21] F. Guccini, La Locomotiva in «Radici», EMI Italiana, 1972.
[22] Il riferimento è alla vicenda di Pietro Rigosi, macchinista ferroviere che nel 1893 si impossessò di una locomotiva nei pressi di Poggio Renatico, per dirigersi verso Bologna ad una velocità per l’epoca molto elevata. Deviato su un binario morto, si schiantò contro carri merci in sosta, causando gravi danni al Rigosi che sopravvisse ma dovette subire l’amputazione di una gamba. Dalle idee anarchiche e dalle dichiarazioni rese al momento del ricovero, si dedusse che le motivazioni del gesto risiedessero in una protesta contro l’ingiustizia sociale diffusa e le condizioni di lavoro sfavorevoli per le classi meno abbienti. Con la diffusione della canzone e la grande fama che questa ottenne, Rigosi divenne un vero e proprio simbolo della lotta di classe.
[23] F. De André, M. Bubola – M. Pagani, Don Raffaè in «Le nuvole», Ricordi – Fonit Cetra, 1990.
[24] F. De André, Via del campo, Bluebell Records, 1967.
[25] F. De André «Storia di un impiegato», Produttori Associati, 1973.
[26] L. Savonardo, Sociologia della musica, la costruzione sociale del suono dalle tribù al digitale, UTET, Milano, 2014.