EXAGERE RIVISTA - Gennaio-Febbraio 2024, n. 1-2 anno IX - ISSN 2531-7334

La nascita delle emergenze. Per una nuova categoria filosofica dell’agire umano

di Primavera Fisogni

Premessa

Pensare alla nascita significa, sul piano filosofico, evocare l’idea che fonda la metafisica: nascere è essere; e come ha finemente intuito Aristotele l’essere, in quanto a-specifico e a-generico, si può dire in tanti modi[1]. Questa medesima caratteristica appartiene al nascere, ovvero un atto che si origina attraverso 1) la generazione, 2) la creazione, 3) l’interazione sistemica.

In tutti i casi, si verificano circostanze che danno origine a qualcosa o qualcuno prima non esistente. Una entità nuova, abitatrice dello spazio e del tempo, limitata e finita: per trovare un’eccezione dobbiamo attraversare i campi trascendenti della teologia e gli orizzonti fondativi delle cosmogonie. Non è questo il tema del presente articolo. Obiettivo della riflessione consiste nel chiarimento dei processi di formazione delle emergenze, cioè del venire al mondo delle proprietà sistemiche del II tipo. Sulla base di questa premessa verrà discusso se la nascita in un senso “puntuale” possa configurarsi come categoria filosofica, oppure sia preferibile riguardare ad essa in chiave sistemica, cioè “diacronica”.

Uno sguardo divergente

Portare i riflettori in quel contesto magmatico che è il venire-al-mondo significa affrontare il tema della nascita / del nascere in una maniera per così dire antitetica alla narrazione generale sul tema. Infatti la nascita ha come caratteristica la “puntualità” temporale. Un’idea che viene anzitutto veicolata dalla tessitura semantica del termine. Nascita ha origine dal latino nascor, un verbo deponente con suffisso incoativo, cioè relativo all’incominciamento. Dunque, il nascere – per quanto la performance di un parto fisico (un bambino) o intellettuale (un concetto) o artigianale (un gioiello) – richieda un certo tempo, si configura come fenomeno sorgivo. Non si “continua a nascere” come persone, se non sul piano della formazione culturale. Ma in quel contesto è forse meglio parlare di “sviluppo” più che di reiterazione del nascere.

Dal punto di vista psicologico, non c’è alcun dubbio che la nascita sia un trauma, la cui elaborazione può durare una vita intera. In una prospettiva filosofica questa esperienza straordinaria di novità, segna il dischiudersi di una prospettiva dinamica. L’azione implica un ambito entro cui dipanarsi, uno spazio di libertà e insieme un ostacolo per la sua realizzazione.

Poi c’è la fase della crescita, che è certamente costituita – anche – da rinascite, ma segue un percorso lineare, diacronico. Il bambino nasce quando esce dal grembo materno; così un gioiello, diventa quella determinata cosa quando l’orafo ne ha ultimato la cesellatura.

Si nasce una volta sola come persone, quando si viene al mondo[2].

La domanda che sorge spontanea, a questo punto, è la seguente: si può pensare la nascita in modo differente, come un continuo sorgere? La risposta è positiva, se ci volgiamo al mondo come a un continuum di trasformazioni. Le dinamiche che ineriscono ai fenomeni della vita, in quanto processi trasformativi hanno questa caratteristica. Un tratto che ci riporta al pensiero di Aristotele, a proposito dell’essere, con la celeberrima questione: «Che cosa cambia e che cosa resta lo stesso quando una sostanza muta?». Riguardo al tema che andiamo trattando, essa si potrebbe integrare così: «Che cosa fa sì che un fenomeno della vita continui a nascere?»[3]. Le metamorfosi sono il motore della nascita come continuum. Non soltanto perché il mondo della vita – il Lebenswelt caro a Edmund Husserl – pullula di cambiamenti di processo. Anche perché ciò che è nato nasce continuamente nelle modifiche di stato, più o meno percettibili.

Le proprietà emergenti

L’approccio sistemico ai fenomeni della vita[4] mette al centro i processi che interessano gli enti intesi come sistemi, cioè come realtà autonome in costante interazione con l’ambiente nel quale sono inseriti. Questa dinamica genera, attraverso una causalità non lineare, il nuovo. Una proprietà emergente, il nuovo, appunto, ha come caratteristica principale di possedere tratti non riferibili unicamente a questo o all’altro sistema. Come Licata fa notare: «Sappiamo che – in un processo emergente – ridefinire la struttura interna del sistema e modificando la relazione con l’ambiente porta all’emergere di nuove proprietà che non sono riferibili al livello dei suoi costituenti (…) le nuove proprietà o fenomeni possono modificare irreversibilmente la stessa natura del sistema».[5]

Le proprietà emergenti, che supportano l’identificazione e la distinzione degli oggetti sono da scoprire attraverso il focus osservazionale. La sistemica riconosce la rilevanza dell’osservatore e le capacità cognitive mediante le quali si possono intercettare e capire i processi[6]. Tra le meraviglie sistemiche di cui facciamo ogni giorno esperienza, c’è la mente, ad esempio. Non è sovrapponibile al cervello. Non si può intendere in una prospettiva organicistica.

Lo stesso discorso vale per il libero arbitrio della persona, il quale pur non direttamente osservabile, né deducibile mediante l’analisi, può essere conosciuto attraverso dall’osservazione dei comportamenti umani, attraverso la facoltà cognitiva dell’abduzione. Stabilità e cambiamento, ovvero organizzazione sistemica e proprietà emergenti, entrano nel processo trasformativo del divenire non come poli separati, concorrenti, ma in contemporanea, quali strumenti per rendere comprensibile ciò che osserviamo[7].  

Emergente è anche, su un piano apparentemente più frivolo (perché, in realtà, è serissimo), qual è la moda, l’idea di eleganza o di stile. Come tutti sappiamo, non basta acquistare capi esclusivi per appropriarsi di quelle speciali proprietà. Contano la postura, il modo di indossare l’abbigliamento, il senso che diamo al nostro apparire, se ci valorizziamo e in che modo; a volte non occorre nemmeno tutto questo, perché la nonchalance, in termini di moda, viene considerata la conditio sine qua non per essere riconosciuti come “eleganti”. In tempi recenti, e qui non sorridiamo, la popolazione mondiale ha conosciuto altre “emergenze” – il Covid-19, anzitutto – che, a loro volta, hanno originato proprietà emergenti. Una su tutte, la cosiddetta “nuova normalità” delle abitudini e degli stili di vita quotidiani, collegati al ciclico, ma costante ripetersi del fenomeno pandemico. Non sono queste circostanze, delle autentiche nascite? Lo sono sicuramente perché fanno irrompere il nuovo nelle nostre vite, una condizione che piano piano o velocemente ci trasforma, cambia il contesto delle nostre relazioni, ci trasforma. Questa è una caratteristica molto interessante e sottostimata, anche in una prospettiva teorica. Siamo infatti portati a trovare la novità esclusivamente nell’ente che è nato.

Pensiamo a un figlio. Il suo mondo si apre nella meraviglia allo sguardo dei genitori, aprendo a grandi speranze per il futuro, ma anche suscitando preoccupazione. Non si pensa mai abbastanza al fatto che si nasce, contemporaneamente, madre e padre, fratelli, zii, nonni. Certo, si può replicare che si tratta di un’ovvietà. Tuttavia, come la fenomenologia ha messo in evidenza, non c’è nulla di più complesso di quanto appare “ovvio”, che costituisce esattamente il nucleo metafisico del fenomeno. Se ci pensiamo, quindi, ogni nascita è almeno ambivalente. Interessa l’ente venuto al mondo – creato, generato, frutto di interazioni sistemiche – e il mondo stesso, cioè l’insieme degli altri enti, dei contesti, degli ambienti in cui esso è inserito.

Tutto questo è svelato, in modo speciale, dai processi che danno vita alle proprietà emergenti, che – di conseguenza – assumono una rilevanza decisiva non soltanto nella lettura sistemica della realtà, ma per la comprensione delle dinamiche stesse della vita. La vita biologica non meno che quella dell’arte o del pensiero.

Riguardo alla trasformazione che il bambino nuovo nato imprime al contesto familiare /sociale in cui è entrato, la teoria delle emergenze dà un chiarimento essenziale.  Ogni nuova proprietà modifica irreversibilmente la natura stessa del sistema.

Vale la pena qui aprire una piccola parentesi semantica. Se nascita / nascere presentano un legame intimo con l’incominciamento, quindi con una caratteristica “puntuale” sul piano cronologico, come s’è visto all’inizio, il termine natura si presta a esprimere con efficacia la processualità del venire al mondo. La parola, ancora una volta di origine latina, è coniata sull’infinito futuro: essa, dunque, indicando “ciò che nascerà”, intesse il nuovo al dinamico, la “puntualità” alla “continuità”, l’istante del venire alla luce con la trasformazione continua. Nascita e natura si integrano; per certo il primo trova il suo significato più proprio quando viene messo in relazione con il secondo. Vedremo, nell’ultimo paragrafo che il concetto di nascita più prossimo alla sistemica – in grado cioè di far propria la dinamica processuale delle emergenze – è attribuibile proprio al concetto di natura, in particolare nel termine greco di φύσις.

 Una domanda, a questo punto, si impone: come può essere svelato il processo che sta alla base dei cambiamenti? I vari modi della nascita, infatti, hanno in comune il fatto di essere frutto di dinamiche non immediatamente visibili all’osservatore: l’esatto contrario delle emergenze, che sono immediatamente riconoscibili dall’osservatore, come qualità a sé stanti. Portiamo la nostra attenzione al grado zero del nascere, il contesto delle interazioni sistemiche, evidenziano alcuni di essi.

Fattori generativi di emergenze

Analizzeremo, in particolare, alcune dinamiche ad alto potenziale creativo. Iniziamo dalla perturbazione, cioè da un fattore che scuote, a diversi livelli, un sistema. Nel caso della pandemia è immediatamente evidente quale sia questo elemento: il virus che ha cambiato le nostre vite. Che cos’è successo? Abbiamo tutti avvertito un senso di fragilità, nel riconoscerci esposti al rischio di ammalarci. A quel punto, per semplificare, sono entrate in crisi alcune consolidate norme di comportamento come, in Italia, la tendenza all’abbraccio o alla stretta di mano, comportamenti non più praticabili a fronte della virulenza del micro organismo.

La descrizione, a questo punto, necessita di un altro termine desunto dal glossario della fisica, perché si è verificato un processo di dissipazione: la stabilità del sistema ha subito un cambiamento, con dispersione di energia, rotture spontanee dell’equilibrio, instabilità. Nel concreto, si pensi al lavoro da remoto o smart working, subentrato in modo massiccio all’attività professionale in presenza, negli uffici, in fabbrica, nelle scuole. Nuove energie sono state necessariamente investite nei materiali tecnologici, nell’apprendimento del lavoro o dell’interazione da remoto, per ripristinare un certo equilibrio. Tutto questo ha seguito un duplice movimento, in uscita e in entrata.

 La tecnologia digitale è entrata nelle nostre vite, in modo massivo, mentre l’ambiente esterno ha iniziato a trasformarsi, svuotandosi durante il periodo del primo lockdown. In questa fase di faticoso (e doloroso) assestamento sono venuti alla luce comportamenti fino a poco prima impensati, sia per contrastare l’attacco del virus (protezioni individuali, distanziamento sociale, verifica tramite tampone di sintomi sospetti) sia come adattamento alla nuova normalità (preferenza a trascorrere in casa i momenti liberi, incontri con pochi parenti / amici).

Tra le situazioni perturbate il nuovo nasce, in molti casi, perché si rompe la simmetria: in ambito fisico questo è un motore potentissimo, nei passaggi di fase. Si pensi soltanto alla genesi dei cristalli. Quello che si verifica è, potremmo dire, il venire alla luce di un nuovo ordine, in una circostanza all’apparenza disordinata. Nei fenomeni della vita la rottura della simmetria si presenta come una costante, senza la quale non riusciremmo a comprendere, anche sul piano filosofico, i processi trasformativi (Fisogni e Urbani Ulivi, 2019)[8].

A sistemi complessi corrispondono processi creativi / stati nascenti altrettanto intricati. Non c’è dubbio che la moda, già citata per l’emergenza dello stile e dell’eleganza, sia uno dei contesti più interessanti per lo studio di queste tematiche. Pensiamo alla tendenza cosiddetta street-style. Un po’ oscurata in queste ultime stagioni dal ritorno di fiamma per l’abbigliamento classico, questa speciale moda, caratterizzata da molteplici look, materiali, colori, ma con dei tratti ricorrenti caratteristici in ogni superficie del globo, è frutto – tra gli altri – del processo di sincronizzazione. Una dinamica tipica dei sistemi complessi. Che significa? Pensiamo a New York, o a Londra, dove questo trend ha avuto la sua genesi. Succede che – all’apparenza in modo del tutto causale – una generazione indossa lo stesso tipo di scarpe, maglioni, accessori. Gli stilisti sono straordinari osservatori: sanno benissimo che esistono alchimie speciali nella società, soprattutto nelle generazioni più giovani, che portano alla luce sempre qualcosa di nuovo. La sincronizzazione è quel fenomeno, per capirci, che sperimentiamo anche a teatro, quando ci mettiamo ad applaudire non appena qualcuno rompe il silenzio a fronte di una prova particolarmente brillante di chi canta, suona o recita.

Un processo assai prossimo è l’entrainment like effect, o entrainment. Per semplificare è quando due sistemi oscillatori prendono lo stesso ritmo, come in ambito neuronale o cardiovascolare. Pur nella essenzialità del ragionamento, abbiamo elementi per sostenere che le interazioni tra sistemi dinamici – il mondo dei viventi pullula di essi – dà origine non soltanto a un cambiamento di stato o di fase, ma alla genesi di nuovi fenomeni. Possiamo ora porci una domanda squisitamente filosofica: quando parliamo di nascita come categoria filosofica, dobbiamo guardare alla creazione / generazione o al processo trasformativo da cui si originano emergenze?

Conclusioni

Di Filosofie della nascita discute un recente testo collettivo, a cura della filosofa Manuela Moretti, con Mario Vergani e Silvano Zucal[9], al quale rimandiamo per ricchezza di spunti di riflessione, in una tessitura di pregevoli contributi. In questo articolo non sono state portate a tema le sfaccettature teoretiche del nascere biologico, dalla generazione dei viventi, ad essere preso in esame. Il focus è stato infatti rivolto alle emergenze, come fenomeni nuovi entro processi trasformativi, a qualsiasi livello del mondo della vita. Tuttavia, si reputa che questo concetto dinamico possa riaprire in maniera radicale anche il dibattito in filosofia morale. Infatti, se diamo spazio alle emergenze, cioè al nuovo derivante da interazioni tra sistemi viventi, in un continuum, abbiamo la possibilità di superare le aporie che quell’idea porta inevitabilmente con sé. In particolare Hannah Arendt ha attribuito alla nozione di natality il carattere di parola-chiave dell’agire. Fattore di novità, in quanto porta nel mondo, la nascita possiede anche una valenza politica, perché l’agire autenticamente umano[10] è sempre apportatore di novità e, attraverso di essa, lascia la sua traccia nella storia:

«(…) l’autentica fonte di libertà (…) è data dal fatto che la nascita dell’uomo risiede nella sua capacità di fare un nuovo inizio»[11].

Per Arendt la libertà è qualcosa che appartiene naturalmente all’uomo, quale conseguenza dell’essere nato. In altre parole, quando qualcuno agisce ha la possibilità di “aprire nuovi orizzonti”[12].

«Poiché sono initium, nuovi venuti e iniziatori, grazie alla nascita, gli uomini prendono l’iniziativa, sono pronti all’azione. (Initium) ergo ut esset, creatus est homo, ante quem nullus fuit (…) dice Agostino nella sua filosofia politica. Questo inizio non è come l’inizio del mondo; non è l’inizio di qualcosa, ma di qualcuno, che è a sua volta un iniziatore. Con la creazione dell’uomo, il principio dell’inizio entrò nel mondo stesso; e questo, naturalmente, è solo un altro modo per dire che il principio della libertà fu creato quando venne creato l’uomo, ma non prima»[13].

 La visione di Arendt, suggestiva, è altrettanto densa di aporie. Una, in particolare, va evidenziata: alla nascita la pensatrice politica assegna il carattere di evento; dunque, essa possiede una singolarità e una puntualità che sono proprie di ogni movimento eventuale, il cui significato indica l’uscire-da (da e-venio).

Come, dunque, adattare questa “categoria” a un paradigma fluido come l’agire morale? L’azione ha un inizio, certamente. Tuttavia è costituita da un susseguirsi di fasi. Se Tommaso d’Aquino ne individuava ben dodici, possiamo almeno pensare all’ideazione, alla ricerca dei mezzi, all’intenzione – nel senso indicato da Anscombe – al consenso, al ripensamento, alla realizzazione del fine. Anche dal punto di vista politico, se riguardiamo alla persona nel contesto pubblico della società, ci rendiamo conto che l’initium non basta a prendere parte da protagonisti alla polis. La stessa Arendt lo sapeva e correva al riparo indicando il ruolo dei pari, degli altri soggetti, dell’accompagnarsi[14] come decisivo per poter esplicare in pienezza la risorsa dell’agire (libero) come atto individuale e insieme politico. Va detto che la categoria della nascita non è stata elaborata compiutamente da Arendt, ma è ripartita in alcune sue opere, a partire dagli anni Cinquanta. Tuttavia anche la pensatrice politica, come ha rilevato Maria Tamboukou e ha rilanciato Gert Biesta, sembra dar spazio a un’idea processuale della condizione umana aperta al nuovo e al mondo, che addirittura risale alla tesi di laurea dedicata all’amore in Sant’Agostino.[15]

Una categoria etica è un principio di riferimento per leggere come la persona inclina la propria condotta, orientando l’agire. Ogni atto è, di per sé, paragonabile ad una nascita, ma anche a un organismo vivente in senso dinamico, in quanto scaturisce da una decisione (aspetto puntuale) ed è soggetto a sviluppo (aspetto diacronico).

Con la nascita, un’azione ha in comune, oltre alla novità, la responsabilità: è il soggetto agente a rispondere delle scelte a cui modella la propria vita; così nell’atto di creare ritroviamo l’intenzione dell’autore; lo stesso dicasi della generazione, dove il dare alla luce un altro essere vivente, almeno nelle persone umane dotate di facoltà cognitive. Nondimeno, si possono formulare due macro obiezioni, in proposito: 1) le creature non umane non generano con intenzione, ma sulla base dell’istinto; 2) spesso anche le creature umane sono generata senza essere parte di un progetto intenzionale. Per quanto riguarda la prima questione, si risponde che questa visione è accettabile se si considera l’istinto come necessitante, mentre non lo è se lo si riguarda come inclinazione al bene, sulla base del grado zero di dimensione personale attribuibile agli animali “non umani”. Riguardo alla seconda obiezione, posto che sia mancato inizialmente il progetto genitoriale, fin tanto che la gravidanza prosegue, sussiste quanto meno l’intenzione di portarla a termine, ovvero l’inclinazione a far nascere il bambino.

Proprio la dimensione intenzionale sembra essere un ostacolo quando si cerchi di considerare il processo nascente delle emergenze come una possibile categoria etica. Infatti, esso si applica a qualsiasi livello dell’ambiente inteso come sistema complesso, anche non animale e non umano.

Dunque: com’è possibile che un’emergenza possa dirsi intenzionale? Una soluzione all’aporia arriva dall’idea di natura come realtà animata da un’inclinazione finalistica. L’intenzione va considerata come la capacità di avere presente i mezzi per arrivare a un fine, quindi è doppiamente intrecciata al concetto di fine / telos. Se il pensiero lineare, per trovare un robusto argomento a questo tema, deve postulare un dio personale e trascendente, che in virtù della creazione inclina a sé la realtà e si orienta ad essa (metafisica, teologia razionale), il pensiero sistemico trova nel continuum di rottura di simmetria e genesi di un nuovo ordine una strada meno impervia, quando meno perché sperimentalmente verificabile, come abbiamo cercato di mostrare accennando all’origine delle emergenze.

La proposta teorica, alla luce dei processi sistemici, è dunque di trovare in quell’ambito trasformativo una categoria etica, che includa sia la fase nascente / puntuale sia quella soggiacente a sviluppo / diacronica.

Si tratta di rilanciare, sul piano metafisico, la lezione di Robert Spaemann a proposito di φύσις. Richiamandosi ad Aristotele, Tommaso d’Aquino e Leibniz, il filosofo tedesco contemporaneo (1927-2018) ha messo in evidenza, nel concetto di natura, lo slancio finalistico, il “tendere a” in un continuo, creativo dinamismo[16].


[1] Aristotele (1995). Metafisica (Testo greco a fronte. Traduzione e commento di Giovanni Reale). Milano: Vita e Pensiero

[2] Fisogni, P. (2013). Il candore, Maremmi: Firenze

[3] Aristotele, Metafisica, vii, 2, 1037 a, 19-20.

[4] Agazzi, E. (2019). Systemic Thinking: An Introduction. In L. Urbani Ulivi (Ed.) The Systemic Turn in Human and Natural Sciences. A Rock in The Pond. Switzerland: Springer, ix-xvii

[5] «We know that – in an emergent process – redefining the system’s internal structure and modifying the relationship with the environment leads to the emerging of new properties which, generally, cannot be ascribable to the level of its constituents (…) the new properties or phenomena can modify irreversibly the nature itself of the system». In: Licata, I. (2021). From Predictability to the Theories of Change. In (G. Minati, ed.) Multiplicity and Interdisciplinarity. Essays in Honor of Eliano Pessa, Springer Nature, Cham: Switzerland, p. 75 (La traduzione è mia)

[6] Minati, G. (2019). Phenomenological Structural Dynamics of Emergence: an Overview of How Emergence Emerges, in The Systemic Turn in Human and Natural Sciences. A Rock in The Pond. New York-Switzerland: Springer, p. 1-39; Minati, G. (2019a). On Some Open Issues in Systemics. In Minati G. and Pessa G. editors. The Systemic of Incompleteness and Quasi-Systems, Switzerland: Springer, p. 343-351

[7] Pessa, E. (2013). “Emergenza, metastrutture e sistemi gerarchici: verso una nuova teoria generale dei sistemi”, in L. Urbani Ulivi ed., Strutture di mondo. Il pensiero sistemico come specchio di una realtà complessa, Il Mulino, Bologna 2013, p. 73-87.

[8] Fisogni, V e Urbani Ulivi L. (2019). “Metamorfosi di sistema. Il cambiamento come processo nella prospettiva del pensiero sistemico”, Atque, 24 n.s., 2019, p. 117-137 – ISSN 1120-9364

[9] Manuela Moretti, Mario Vergani, Silvano Zucal (a cura di), Filosofie della nascita, «Studi e Ricerche», 28 (2022), Università degli Studi di Trento. https://iris.unitn.it/retrieve/eab72857-cf19-439d-b195-816fda09b04e/SR28_Filosofie%20della%20nascita_OA.pdf

 

[10] La Arendt individua l’azione propriamente umana nell’azione compiuta “for the sake of” – “per amore di” – in opposizione all’agire strumentale, “in order to”, che è agire “al fine di”. In H. Arendt, Vita activa, op. cit., pag. 110. La Forti rileva una debolezza argomentativi. Ma “al di là” di essa, aggiunge, «è importante segnalare come la Arendt ricorrendo ad esse voglia mettere in luce il significato di un’azione che risiede esclusivamente in ciò che questa manifesta nell’atto stesso del suo compimento e soprattutto che nell’azione l’uomo, libero da ogni determinazione esterna o interiore ed interessato solo al compimento ‘virtuoso’ del principio che lo ispira, agisce non per utilità personale, ma esclusivamente per ‘amore del mondo’, per distinguersi, e per essere ricordato». Vita della mente e tempo della polis: Hannah Arendt tra filosofia e politica, Milano. Bruno Mondadori, p. 272-273.

[11] Arendt, H. (1948). The Origins of Totalitarianism, New York: Harcourt Brace Jovanovich; trad. It. (2004). Le origini del totalitarismo, Torino: Einaudi, p. 466. «(…) the very source of freedom which is given the fact of the birth of man resides in his capacity to make a new begin». La traduzione è mia

[12] Forti, S. (2006).Vita della mente e tempo della polis: Hannah Arendt tra filosofia e politica, Milano. Bruno Mondadori, p. 268.

[13] Arendt, H. (2003). Vita activa, Milano: Bompiani, p. 128-129.

[14] «Senza questo reciproco accompagnarsi fra visioni diverse – scrive – fra generazioni diverse, fra parole solidali, senza la pratica della solidarietà intergenerazionale e fra popoli diversi, non vi è l’infra o lo spazio pubblico, perché vi è solo il luogo della distanza fra istanze differenti».

[15] Il riferimento è alla realtà come “divenire senza fine” (everlasting becoming). «(…) a notion that appears in Arendt’s dissertation on Saint Augustine (Arendt 1996) on the context of a discussion of Plato’s Timaeus. In reading Arendt through the eyes of Whitehead, Tamboukou ends up with a conceptualisation of education as ‘a creative process enabling and supporting our immanence in, but also emergence from the world’, and hence as a process that ‘facilitates the fluency of becomings, while at the same time [foregrounding] the importance of knowledge and understanding’ (Tamboukou 2016). With Whitehead, she characterises education as an ‘adventure’ that is focused on ‘imaginative learning’, highlighting the creative rather than the reproductive aspects of … It is here that I hesitate, because I am not entirely sure whether the word to put here is education or learning or, particularly with regard to Whitehead, whether the discussion is actually about what should happen in the university». Arendt, H., 1996. Love and St. Augustine. Chicago: The University of Chicago Press. In: Biesta, G. (2016) Reconciling ourselves to reality: Arendt, education and the challenge of being at home in the world, Journal of Educational Administration and History, 48:2, 183-192, p. 184.

[16] Spaemann, R. (2012). (a cura di U. Perone) Cos’è il naturale. Natura, persona, agire morale, Torino: Rosenberg&Sellier. Si legga: https://www.culturacattolica.it/attualit%C3%A0/recensioni-libri/scaffali/spaemann-robert-natura-e-ragione-saggi-di-antropologia

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