di Federica Biolzi
Una domanda che l’uomo si pone da secoli, Chi siamo e come siamo arrivati fin qui, fa da titolo al recente e accattivante volume di David Reich edito dall’Editore Cortina. Il libro, per bocca del suo stesso autore, si propone di narrare e riflettere intorno alla rivoluzione del genoma applicato allo studio del passato dell’umanità. Una rivoluzione che ha consentito il passaggio all’analisi del genoma nella sua interezza e non più su sue singole parti. Questo diverso approccio, come si dirà, non ha comportato solo un mero progresso tecnico scientifico.
Agli inizi degli anni ’60, il fondatore degli studi genetici sul nostro passato, Luca Cavalli-Sforza, si propose di ricostruire le grandi migrazioni del passato basandosi sulle differenze genetiche delle popolazioni di oggi. All’epoca, però, non si disponeva della tecnologia necessaria per poter approfondire questo interessante filone della genetica e ci si limitava alla misurazione delle proteine del sangue, usando le variazioni dei gruppi sanguigni.
Le ricerche di Cavalli –Sforza ebbero ulteriore notevole impulso negli anni ’90, quando forte della mole di dati raccolti, lui e i suoi colleghi poterono raggrumare gli individui per continente, a seconda delle somiglianze delle variazioni riscontrate. Da quel decennio alle variazioni proteiche si sono, via via, affiancati i dati provenienti dall’esame del DNA, il risultato di queste ricerche più approfondite ribadì che, quello che si era sempre pensato, corrispondeva sostanzialmente alla realtà. I gruppi umani individuati erano cinque: eurasiatici occidentali, est asiatici, nativi americani, nativi della Nuova Guinea e africani. Tra questi gruppi vi erano però diverse variabilità: la massima nel Medio Oriente. Cavalli-Sforza attribuì questa variabilità alla diffusione demica realizzatasi attraverso le migrazioni.
Nel nuovo secolo, con il diffondersi degli studi genetici direttamente sulle ossa antiche, fu chiaro che il modello proposto non reggeva e l’ipotesi della diffusione demica lentamente tramontò.
Le scoperte si consolidarono intorno a dati che dimostrarono che la più alta percentuale dei geni dei primi agricoltori non è presente nei geni del sud-est del continente ma, insospettabilmente, in Sardegna. Di Cavalli-Sforza restava però la grande intuizione che la struttura genetica delle popolazioni, in qualche modo, rispecchia gli eventi del passato. Il suo contributo – ci ricorda Reich – fu simile al ruolo di Mosè, capo visionario con conquiste maggiori di quanti lo seguirono e con il merito di aver tracciato una nuova visione del mondo.
Tuttavia Cavalli-Sforza non immaginava cosa sarebbe successo da lì poco. Dal 2009 la lunga serie di dati resisi disponibili, a seguito dello svilupparsi di nuove tecniche, hanno consentito di mettere in dubbio le teorie consolidatesi con le ricerche in campo archeologico, antropologico e linguistico e di dare, finalmente, una prospettiva concreta alla visione mosaica del progenitore.
Oggi ancora tante persone danno per scontato che gli esseri umani possano essere raggruppati biologicamente in gruppi primordiali, che corrispondono al nostro concetto di razza, le cui origini sarebbero le popolazioni separatesi decine di millenni or sono. Invece, nel passato sostiene Reich, le differenze tra le popolazioni erano esattamente identiche a quelle attuali, solo che la linea di demarcazione era differente. In buona sostanza: le popolazioni odierne sono una miscela di quelle passate, che erano miscele a loro volta.
Ma c’è di più, la rivoluzione del genoma mette in discussione il concetto stesso d’identità. Noi non siamo quelli che credevamo essere. Per Reich bisogna ora concentrarsi sul capire qual è il nostro posto rispetto al mondo che ci circonda, piuttosto che sclerotizzarsi su vecchie ideologie razziali che si stanno dimostrando, sempre più, prive di fondamento. Non pensiamo solo alle triste vicenda della Germania nazista. L’ideologia hindutva, secondo la quale i migranti venuti da fuori non hanno apportato alcun contributo importante alla cultura indiana, è azzerata dal fatto che circa metà del DNA degli indiani odierni deriva da multiple ondate di migrazioni di massa.
La mescolanza, ci ricorda Reich se c’è ne fosse bisogno, è la stessa natura umana. Il resto è solo fascinazione per le menti; frutto di ideologie e pseudoscienze geneticamente modificate e adulterate.
David Reich
Chi siamo e come siamo arrivati fin qui
Il DNA antico e la nuova scienza del passato dell’umanità
Cortina Editore, 2019