di Francesca Rifiuti
Molti di noi osservano il mare da fuori, ne ammirano la bellezza della superficie, la magia di un tramonto. Dall’esterno il mare appare alla vista dell’uomo come qualcosa di meraviglioso, infinito, potente e a volte anche pericoloso. Ma là sotto c’è l’abisso, ciò che è nascosto e imperscrutabile, il sommerso. Difficile sentire come nostre le cose che accadono laggiù.
Mariasole Bianco, biologa marina e divulgatrice scientifica, nel suo libro “Pianeta Oceano” (Ed. Rizzoli, 2020), ci invita ad andare nel profondo per capire la vera natura e l’importanza del mare. È giunta l’ora di non soffermarsi alla superficie delle cose ma di immergersi per conoscere quanto gli ecosistemi siano interconnessi tra loro e con l’essere umano.
– Che cosa si scopre del mare e delle sue vulnerabilità tuffandosi negli abissi e in che senso il mare è “il motore principale del nostro pianeta?”
-Si scopre l’habitat più vasto del Pianeta, le cui meraviglie sono celate da un immenso velo blu che ricopre il 71% della superficie terrestre. Nei fondali oceanici si nasconde un tesoro per l’umanità, si ipotizza che proprio qui sia nata la vita sul nostro Pianeta, vicino alle sorgenti idrotermali dove ci sono batteri che, attraverso la chemosintesi, traggono nutrimento dai minerali che escono da queste sorgenti e supportano un intero ecosistema fatto da quasi trecento specie più uniche che rare. Vermi tubolari alti più di 2 metri, grandi mitili simili a cozze ma senza bocca, stomaco e sistema digestivo, strani gamberetti che secondo la NASA potrebbero persino sopravvivere su altri pianeti e il granchio yeti, chiamato così per l’aspetto ispido e peloso che ricorda quello del leggendario mostro delle nevi. Al di là delle creature straordinarie qui, dove la temperatura è bassissima, la pressione fortissima e l’acidità altissima, vivono anche diversi microrganismi i cui enzimi vengono utilizzati nei test diagnostici, come quelli per rilevare il Coronavirus e altre patologie come l’Hiv e la Sars.
Quindi l’oceano cela un mondo pieno di vita, di risorse e di ambienti che ancora non conosciamo ma che stanno cambiando drasticamente sotto i nostri occhi e soprattutto sotto la nostra influenza. Sebbene dodici persone abbiano camminato sulla Luna, solo quattro, Cameron, Piccard, Walsh e Victor Vescovo, possono dire di aver solcato i fondali più profondi dell’oceano. Proprio quest’ultimo nel 2019, a 10.928 metri di profondità, la quota più profonda mai raggiunta da un essere umano, fa la scoperta più sconcertante che si potesse fare: un sacchetto di plastica. In realtà era già la terza volta che se ne trovava traccia a profondità simili. Siamo giunti insomma ai confini del mondo e abbiamo trovato noi stessi, nel modo peggiore possibile: i nostri rifiuti.
– Tornando a riva, dopo aver esplorato il mare aperto e le sue profondità, si incontrano le coste, dove natura e cultura umana da sempre si incrociano e si fondono. In questo senso quali sono le caratteristiche che rendono il mar Mediterraneo, il mare nostrum, un esempio calzante?
– La ricchezza culturale e storica del Mediterraneo (le contaminazioni etniche, le conquiste e le guerre che l’hanno caratterizzato e che anche oggi non mancano di attraversarlo) curiosamente si rispecchia anche nella sua biologia: il Mediterraneo è infatti un mare di straordinaria ricchezza biologica, abitato da oltre diciassettemila specie, caratterizzato da una biodiversità che rappresenta, a seconda di come la si calcoli, dal quattro al venticinque per cento della varietà di specie marine globali, circa dieci volte superiore alla media mondiale.
È un mare che, però, dovremmo imparare a sentire un po’ più nostrum e, per questo, proteggerlo e rispettarlo di più. Secondo la Food and Agriculture Organization (FAO) il Mediterraneo è infatti il mare più sovrasfruttato al mondo. Questo significa che lo sforzo di pesca supera la capacità della specie pescata di riprodursi varcando, così, la soglia dell’insostenibilità con più del novanta per cento degli stock pescati.
– Nel 2019 l’Intergovernmental Panel on Climate Change (IPCC) ha riconosciuto che l’oceano e la criosfera sono fondamentali per la regolazione climatica ed è proprio su di essi che si sostengono gli equilibri vitali del pianeta. Quali rischi e pericoli comportano quindi i cambiamenti nei tre parametri di cui parla nel suo libro, ovvero l’aumento della temperatura dell’acqua, la deossigenazione e l’acidificazione? Come sono tra loro interconnessi?
– In generale potremmo riassumerli in due grandi pericoli. Ovvero, quello di indebolire e danneggiare l’oceano rompendo gli equilibri che lo regolano e quello di impoverirlo della biodiversità che lo popola. Prendiamo, per esempio, l’aumento della temperatura dell’acqua. Questo si declina in problematiche differenti a seconda dei diversi ecosistemi ed equilibri la cui sopravvivenza dipende proprio da questo parametro. Un esempio di ecosistema sono le barriere coralline la cui spina dorsale è, per l’appunto, il corallo. Quest’ultimo è letteralmente costruito dai polipi (diversi dai polpi) che sono responsabili per la sintesi del carbonato di calcio che ne costituisce lo scheletro. I polipi, a loro volta, dipendono dalle zooxantelle, delle piccole alghe che vivono in simbiosi con il corallo, che sono responsabili del 90% del loro nutrimento. I coralli non possono sopravvivere se la temperatura dell’acqua è troppo elevata. Quando si verifica un aumento della temperatura, questi espellono le microscopiche alghe che vivono nei loro tessuti e che sono responsabili del loro colore e del loro nutrimento, dando vita al loro sbiancamento. Ecco perché questo fenomeno è un grave sintomo che spesso, ma non sempre, porta alla morte della barriera corallina. In questi ultimi anni le barriere coralline di tutto il mondo sono state vittime dello sbiancamento: fra le altre, la Grande Barriera Corallina in Australia e le Isole Hawaii nordoccidentali hanno subito il colpo maggiore, con una perdita dovuta allo sbiancamento, tra il 2016 e il 2017, di circa il cinquanta per cento dei coralli. E questa non è l’unica minaccia che incombe su tali ecosistemi: gli organismi che costruiscono gusci o scheletri calcarei sono infatti minacciati anche dall’acidificazione dell’oceano. L’acidificazione è una conseguenza significativa e dannosa dell’eccesso di anidride carbonica nell’atmosfera, che dissolvendosi nell’acqua ne diminuisce il pH. Dall’inizio dell’era industriale, l’oceano ha assorbito circa 525 miliardi di tonnellate di CO2 dall’atmosfera e solo negli ultimi duecento anni, l’acqua dell’oceano è diventata il trenta per cento più acida. Un cambiamento, questo, più veloce di qualsiasi altro fenomeno chimico avvenuto nell’oceano negli ultimi cinquanta milioni di anni. Nell’uomo, per esempio, il normale pH del sangue varia tra 7,35 e 7,45. Un calo del pH del sangue di 0,2/0,3 può causare convulsioni e persino la morte. Allo stesso modo, un piccolo cambiamento nel pH dell’acqua di mare può avere effetti dannosi sulla vita marina, influenzando la riproduzione e la crescita di non poche specie: alcuni organismi sopravvivranno o prospereranno anche in condizioni più acide, mentre altri faranno fatica ad adattarsi e potrebbero addirittura estinguersi. Questi sono giusto due esempi che rimarcano la complessità e la fragilità dell’oceano. I pericoli sono svariati e, come abbiamo visto, sono spesso interconnessi tra loro, l’uno la conseguenza dell’altro. Purtroppo, al principio di questo concatenamento di cause ed effetti vi è l’uomo, il cui agire è spesso la causa prima delle problematiche che minacciano il mare e la nostra stessa esistenza.
– Bateson, nel suo libro Mente e Natura, affermava così: “Mi abbandono alla convinzione fiduciosa che il mio conoscere è una piccola parte di un più ampio conoscere integrato, che tiene unita l’intera biosfera”. I cambiamenti climatici negli ultimi anni sono entrati nell’agenda non solo scientifica ma anche politica, economica, religiosa, filosofica ecc…L’ecologia crea dibattito, è un tema che viene affrontato con sguardi diversi e con diverse dimensioni temporali. Come si può creare un ponte tra le varie discipline, umane, scientifiche e politiche, in modo da poter ampliare la narrazione sul tema, pur mantenendo una unità di intenti?
– Credo che sia fondamentale porre le basi affinché si possa avere una comunicazione costruttiva non solo tra i rappresentati delle varie istituzioni e gli esperti delle discipline sopraccitate, ma anche con coloro che non fanno dell’ecologia il loro pane quotidiano, ovvero, la maggior parte di noi. È per questo motivo che Worldrise, la Onlus di cui sono presidente e co-fondatrice, dedica molto del suo operato ai temi della sensibilizzazione e della divulgazione con l’obiettivo di favorire una presa di coscienza delle tematiche legate alle sfide ambientali del nostro secolo. Ci affidiamo a strumenti e canali diversi, come la street art o la musica, e ci rivolgiamo a interlocutori che vanno dai bambini, futuri custodi del patrimonio naturalistico, alle aziende private, passando per i protagonisti della movida milanese. Per darvi alcuni esempi, con il progetto Worldrise Walls ci impegniamo a portare il mare in città tramite la street art. Nel 2019 abbiamo inaugurato il primo murale, dal titolo Antropoceano, realizzato da Iena Cruz per Worldrise riqualificando la facciata di un edificio adiacente alla stazione di Lambrate. L’opera, realizzata con vernici capaci di filtrare l’aria, ha l’intento di catturare lo sguardo per la sua bellezza e di spingere ad una riflessione sul tema dell’inquinamento da plastica in mare tramite la sua composizione. Più recentemente, abbiamo collaborato con Max Casacci, chitarrista dei Subsonica, che ha realizzato un brano musicale, Oceanbreath, utilizzando esclusivamente i suoni dell’oceano. Il progetto #Batti5 ci ha portati in centinaia di classi in tutta Italia per sensibilizzare i più giovani sulle problematiche legate all’uso indiscriminato di plastica tramite lezioni interattive e pulizie delle spiagge. Un ultimo esempio, ma non meno importante, è Il mare inizia da qui: un insieme di progetti dedicati al settore privato per supportare in modo concreto le aziende che intendono abbracciare il tema della sostenibilità ambientale.
– Il filosofo Ernst Bloch sosteneva: “dobbiamo imparare la speranza” e che essa è fattore di conoscenza e di progresso, un altro modo di essere nel mondo, una spinta alla trasformazione e un invito a non accettare il mondo così com’è. Sul finale del suo libro lei dà spazio alla speranza. In che modo dovrebbe concretizzarsi questo impulso al cambiamento?
– Nonostante i cambiamenti che stanno avvenendo nell’oceano siano drammatici, la buona notizia, però, è che sappiamo come vincere la partita e risolvere il problema. Le aree marine protette sono il miglior strumento che abbiamo a disposizione per invertire la rotta. In queste aree la biodiversità viene tutelata in un’ottica di sviluppo sostenibile in modo che le sue risorse siano fruibili anche per le generazioni future. Ciò che stiamo facendo adesso è usare il mare come fosse un conto corrente da cui preleviamo in continuazione senza mai versare un centesimo. Le aree marine protette sono dei libretti di risparmio, delle polizze assicurative, non sono dei limiti alla fruizione del mare e delle sue risorse ma un investimento in grado di produrre benefici sociali ed economici. Purtroppo, di tutti questi temi non se ne discute abbastanza e, nonostante i benefici delle aree protette siano sotto gli occhi di tutti, nel mondo meno dell’otto per cento dell’oceano è protetto. Studi scientifici indicano che almeno il trenta per cento dell’oceano dovrebbe essere completamente protetto entro il 2030 affinché le generazioni future dispongano di un ambiente marino sano e produttivo che possa soddisfare il loro fabbisogno. Con quasi 8000 km di coste, l’Italia ha un’occasione unica non solo per adottare questo target, ma anche per porsi come leader in Europa, diventando punto di riferimento per l’implementazione di questo obiettivo da parte degli altri stati Europei alla prossima conferenza delle parti della Convenzione sulla Diversità Biologica e rendendolo quindi legalmente vincolante. Per questo con Worldrise abbiamo deciso di lanciare la campagna 30×30.it con un percorso nazionale ma di respiro internazionale, il cui obiettivo è proteggere il 30% dei mari italiani entro il 2030. La campagna è volta a divulgare l’importanza e i benefici della protezione degli ecosistemi marini del Mediterraneo, coinvolgendo diversi settori della società, uniti dalla visione comune di un mare italiano produttivo e resiliente, in cui la tutela della biodiversità diventa volano di sviluppo economico e sociale.
Quando crediamo che le nostre azioni siano troppo irrilevanti per fare la differenza, tendiamo a desistere. Invece ognuno di noi ha un potenziale enorme e può essere agente di cambiamento e per farlo ha bisogno di esempi virtuosi che diano speranza. Perché certo, la protezione di una barriera corallina in Messico non ripristinerà la popolazione ittica del Mediterraneo, ma il successo può avere un effetto a catena, diffondendosi ben oltre i confini dei propri sforzi, fornendo un modello a cui ispirarsi. È per questo che le storie di resilienza e ripresa, le storie di persone e di aziende che sanno offrire al mare delle soluzioni concrete, sono importantissime. Ci motivano e ci aiutano a focalizzarci sulle opportunità che abbiamo piuttosto che sui problemi. E se non ci sono opportunità dobbiamo avere la forza di crearle, imparando da chi si trova in una situazione simile alla nostra e lotta con tutte le forze per cambiarla e migliorarla.
– Nella parte finale del suo libro, racconta le storie di alcune delle persone che ha incrociato in questi anni di lavoro. Ci sono i loro sogni, i loro progetti e le loro iniziative. Qual è invece la sua storia e in che modo Worldrise, l’associazione da lei fondata, rappresenta il suo legame con il mare e può fare la differenza?
– Worldrise è per me la concretizzazione del mio bisogno di agire a tutela dell’ambiente marino. Si tratta, in parte, di un traguardo raggiunto grazie anche al sostegno di mio padre e della mia amica e co-fondatrice Virginia Tardella. Infatti, benché mi ritenga privilegiata di aver potuto fare della mia più grande passione il mio lavoro, lungo il percorso non sono mancati ostacoli e battute di arresto che hanno, però, fatto crescere la mia determinazione e perseveranza. Due qualità queste che spingono a crearsi le proprie opportunità laddove non ve ne siano. Così è nata Worldrise: dal bisogno di dar vita ad una realtà che potesse permettermi di creare progetti di conservazione e valorizzazione dell’ambiente marino attraverso percorsi creativi di sensibilizzazione, divulgazione ed educazione, mettendo in prima linea i giovani. Oggi Worldrise è una realtà gestita da giovani con competenze diversificate ma accomunati dalla grande passione per il mare e dalla consapevolezza che ognuno di noi può fare la differenza. Ci occupiamo di promuovere i benefici delle aree marine protette, di sensibilizzare sul problema della plastica in mare. In alcune città, come Milano, abbiamo creato il primo network al mondo di locali della vita notturna che si sono impegnati a non servire più plastica monouso. Siamo riusciti a portare il mare, le sue meraviglie e le sue problematiche in città, perché è da lì che può e deve nascere il cambiamento verso il futuro di cui il nostro pianeta ha bisogno. Ci occupiamo anche di pesce e turismo sostenibile, aiutando ogni mese le persone a diventare consumatori più responsabili. Insomma, di strada ne abbiamo fatta così tanta che nel 2020 la Commissione Oceanografica Intergovernativa dell’Unesco ha scelto Worldrise come main partner per il lancio in Italia del decennio che l’ONU ha deciso di dedicare alle scienze del mare per lo sviluppo sostenibile. Ecco, dunque, che se da un lato fondare Worldrise sia stato un traguardo è stato anche l’atto che ha sancito l’inizio di un percorso bellissimo dettato dalla consapevolezza che il nostro futuro dipende dal mare, e il futuro del mare dipende da noi.
Mariasole Bianco
Pianeta Oceano
Rizzoli, 2020