di Gianfranco Brevetto
L’idea di ridare alle stampe, dopo oltre dieci anni, La parola fa uguali di don Lorenzo Milani, è certamente condivisibile. In primo luogo, per cercare di ridare fiato ad un dibattito sulla scuola e sulle finalità dell’istruzione e che, in questo particolare momento di prolungata e forzata chiusura delle aule, appare attuale e profetico, come lo è stato il suo autore. Sandra Gesualdi, riprende e concretizza, per noi, le caratteristiche e la vitalità del pensiero di don Lorenzo.
– Questo libro, nato qualche anno fa e curato da mio padre Michele raccoglie tutti gli scritti di don Milani, il Priore come lo chiamavano i ragazzi, sulla scuola. Mio padre, insieme alla Fondazione Don Lorenzo Milani, hanno sempre teso a far conoscere e divulgare l’opera, il pensiero e i valori di don Lorenzo, cercando di far capire che la sua figura non può essere ridotto a santino o figura da celebrare, fine a se stessa, con cui far salotto. Lui non avrebbe mai voluto. Don Milani deve essere un valore, un modello sociale, religioso e di pensiero, sempre attuale, a cui tendere. Per questo motivo si è deciso di pubblicare gli scritti sulla scuola, fulcro della società. Crediamo fermamente che la scuola debba essere palestra di democrazia, di libertà dove davvero si forma il cittadino.
– Mi sono sempre interessato a don Milani, mi è apparso come la strada per un’altra interpretazione dell’essere scuola. Ho avuto la fortuna di accostarmi, prima di leggere il più noto Lettera a una professoressa, a Esperienze pastorali. Questo testo mi ha fatto pensare che esista un don Milani sociologo, al quale forse andrebbe dedicato più di un approfondimento. Detto questo mi trovo anche io a disagio, come dice la prefazione, di fronte ad una mitizzazione di don Milani e del suo lavoro. Ogni tanto troviamo qualcuno che riduce a slogan il suo pensiero, buono per tutte le stagioni, questo è qualcosa di pericoloso e svilente. Ma qual è l’impostazione della scuola di Barbiana, il suo nocciolo duro?
– A Barbiana salgono molte scolaresche, e quando vedono quella piccola scuola, così povera che ancora oggi urla e riesce a scuotere le coscienze, gli insegnanti si chiedono come abbia potuto fare tutto quello che ha fatto il Priore, quale sia stato il metodo o il modello della scuola di Barbiana. La risposta che già dava mio padre, e che io sto cercando di approfondire, è che non esiste un modello Barbiana se non nella capacità di aderenza al circostante e nell’impegno a dare una risposta alla vita reale in cui opera. Barbiana è potuta esistere esattamente in quel luogo e quel tempo. Alla metà degli anni cinquanta quando le campagne iniziavano a sfollarsi con gli esodi verso la città, l’apertura dei grandi cantieri e la mezzadria che si trasformava in forza lavoro operaia. Quando don Milani, nel ’54, viene mandato in esilio in quel poggio nel Mugello dalla Curia fiorentina di allora, si trova davanti agli occhi la mezzadria di montagna, povera e analfabeta, emarginata e senza diritti. Con i primi sei bambini figli di quel contesto storico e sociale apre una scuola di avviamento industriale, quale strumento per offrire loro consapevolezza ed emancipazione. Barbiana è stata la risposta a quella realtà, il qui e ora, don Lorenzo ha avuto la grandissima capacità di leggere e interpretare il contesto umano, sociale e storico in cui si trova e di dargli una risposta concreta. C’è una bellissima lettera in cui lui scrive: “io non posso salvare tutto il mondo e mi accontento di salvare il mondo che ho davanti, quello in cui Dio mi ha mandato ad operare”.
– Un impegno, una sfida, anche nei confronti delle istituzioni, non solo ecclesiastiche ma anche pubbliche, come la scuola.
– A Barbiana don Lorenzo si rende conto che si trova dinnanzi a un mondo antico, chiuso, quello della mezzadria di montagna, i barbianesi sono gli ultimi degli ultimi, oggi lo potremmo definire un luogo non luogo. A Barbiana non c’era la strada per arrivarci, non c’era la luce elettrica, non c’era l’acqua potabile, cose che arriveranno dopo. Si rende conto che ai barbianesi, così timidi e diffidenti, come li descrive lui, mancava soprattutto una cosa: la parola e, se io non parlo, non riesco a elaborare un pensiero critico. Mancava questo ai montanari, si vergognavano di essere barbianesi perché non riuscivano a raccontare chi fossero e sarebbero rimasti prigionieri di quel loro mondo. La parola, diceva don Milani, dà dignità all’uomo, l’uomo ha dignità quando riesce a comprendere il contesto in cui è inserito e vi sa dare risposta. La scuola è la risposta più immediata a questo bisogno e, i suoi principi, vanno cercati nella Costituzione italiana, libro sempre presente in classe, oltre ai Vangeli e ai giornali quotidiani. Don Lorenzo si rende conto che la Costituzione a Barbiana non è del tutto arrivata, l’articolo 3 non è applicato, non è presente quello Stato il cui compito è di rimuove gli ostacoli nel cammino dell’eguaglianza. La scuola serve per portare la Costituzione a Barbiana, far diventare cittadini sovrani, cervelli pensanti, critici, non solo leggere e scrivere ma decodificare la realtà e aver la capacità di migliorarla per se e gli altri. Questo insegna Barbiana anche all’oggi.
– Un pensiero forte che si ritrova in tutta l’opera di questo sacerdote.
– Se posso fare una sintesi, con il rischio di essere superficiale, di Lettera a una professoressa, vorrei evidenziarne i valori espressi e che maggiormente mi hanno colpito e che dovrebbero essere recuperati e attualizzati. In primo luogo il fatto che tutti sono adatti agli studi. Non esiste un ragazzo o una ragazza che deve esser respinta perché non adatta agli studi. Lui apre una scuola poverissima di strumenti, ma ricchissima di istruzione e apprendimento, costruita da loro stessi nella piccola falegnameria. Al centro di questa scuola c’è il ragazzo. Non c’è il diploma, il sistema scuola, ma il ragazzo e la ragazza. Fa capire, da subito, ai suoi scolari che quella scuola non aveva senso senza di loro, loro erano la scuola. Pensi a quei bambini, figli di contadini destinati al lavoro nei campi, entrare in un’aula, con un maestro autorevole e colto, che dice loro: “voi siete la mia scuola e io sono fortunato ad avervi”. A Barbiana tutti erano adatti agli studi. Poi vi è il piacere della conoscenza, non si deve studiare per prendere, un domani, solo un pezzetto di carta. Don Lorenzo ha insegnato loro la forza e la potenza della conoscenza. Si studia per conoscere, si approfondisce tutto, si trascorrevano le ore su un singolo vocabolo, più si apprendeva e più veniva voglia di conoscere. In una lettera del ’56 indirizzata a Ettore Bernabei, contenuta in questo volume, il Priore racconta che, quando i suoi ragazzi incontrano in un testo una parola conosciuta il giorno prima, si illuminano di gioia, come se avessero incontrato un amico. Parole come personaggi.
Un altro importante momento valoriale è l’I care, il mi sta a cuore, m’importa. A Barbiana era tutto I care, era necessario occuparsi e interessarsi di tutto ciò che è conoscibile a livello umano per prendersene cura. Insegnava loro a stare insieme a gli altri in modo differente. Conoscere ed imparare doveva servire ad essere solidali, vivere in comune, stare insieme, l’I care portava dritto al concetto di responsabilità.
-È importante parlare oggi di una scuola centrata sui valori, non perché questi non ci siano ma perché la scuola spesso rischia di diventare una trappola burocratica, tesa a compilare schede e finire i programmi. I ragazzi studiano spesso solo per affrontare una verifica, manca la continuità necessaria per apprendere.
– Non solo, la scuola di oggi rischia di essere un luogo in cui si viene giudicati, più che la palestra della conoscenza e della formazione. Tutto deve avere un valore numerico, io ti do un voto senza guardare cosa c’è dietro a quel voto. È una scuola valutativa più che formativa. Si è perso lo stupore della conoscenza, la voglia di approfondire, e così si studia la sera prima giusto per andare all’interrogazione. La scuola dovrebbe cambiare, abituare alla riflessione, al pensiero anche quello contrario, trasformare, e non si può limitare a distribuire voti. Non dovrebbe stimolare alla competizione ma alla competenza di cui ognuno è portatore, non preparare piccoli scalatori sociali, ma cittadini consapevoli, liberi e responsabili. Non voglio certo colpevolizzare qualcuno, ci sono tante realtà meravigliose nel Paese, spesso silenti, di scuola buona e professori dedicati e appassionati. È il sistema scuola che, nel complesso, appare stanco e burocratizzato e spesso non in grado di dar risposta a tutti quei ragazzi che perde per strada.
– Tu accennavi prima alla presenza della Costituzione in aula, mi sembra che ce ne sia una chiara eco anche nel titolo di questo libro, che è tutto un programma. La scuola di don Milani non è certamente un trattato di pedagogia ma un libro delle prassi, metodologie e pratiche, attraverso le quali si può arrivare ad un’eguaglianza sostanziale e non formale. Quanto manca di queste prassi nella scuola di oggi?
– Sempre partendo dall’esempio di don Lorenzo e dalla scuola di Barbiana, io credo che più che legata alla prassi fosse una scuola che dava risposte concrete ai bisogni, quelli reali, ai bisogni della vita. Forse alla scuola, oggi, mancano gli obiettivi alti. A Barbiana si sapeva benissimo perché si studiava, oggi se chiedi a un ragazzo il perché va a scuola, spesso risponde che è per conseguire un diploma, andare all’università e trovare un lavoro ben remunerato. In Lettera a una professoressa, i ragazzi ci dicono che, a Barbiana, era chiaro, sin dal primo momento, il motivo per cui si studiava, per acquisire strumenti di uguaglianza attraverso la conoscenza e la parola. Per imparare a uscire insieme dai problemi. E quanto è attuale questo valore ora che stiamo combattendo contro un nemico invisibile che ci costringe a stare isolati, fragili e soli. Utili strumenti per aiutare anche gli altri ad uscire dall’oscurità. Insomma a scuola si dovrebbe imparare anche a capire chi siamo e ad accorgersi degli altri, a condividere.
– Una scuola che aiuti il singolo a trovare un posto in una comunità, in una società dove la priorità sia l’inclusione, mi sembra di capire.
– Sì, don Milani non va preso a pillole o tirato per la tonaca rispetto alla comodità di una citazione, va applicato, praticato nell’attualità. Don Milani con la scuola offriva strumenti soprattutto agli ultimi. Un bambino che ha modi e tempi diversi di apprendimento deve essere un valore aggiunto per la classe. La diversità dà prospettive nuove. Un apprendimento diverso, con tempi diversi, riesce a stimolare una classe intera. Spesso oggi assistiamo ad una marginalizzazione di queste fragilità. A Barbiana la fragilità era considerata valore aggiunto.
– Una marginalizzazione che produce, a mio parere, scarsi risultati a livello di crescita collettiva, almeno se stiamo ad alcuni dati. Una parte importante di noi non riesce a comprendere semplici testi, non distingue fake news molto grossolane dalla verità.
– Non c’è più lo stimolo e l’allenamento al pensiero critico, a mettere tutto in discussione, a verificare. Leggo un tweet e per me è la verità, non vado a confrontarlo con altri testi o con altre fonti, lo slogan del politico di turno diventa verità, questi esercizi valutativi si dovrebbero imparare a scuola.
– Tu hai avuto la fortuna da avere un padre che è stato allievo di don Milani e che ha avuto un ruolo di primo piano nel sindacato e nella politica. Come pensi che questo fatto abbia cambiato la tua esistenza?
– Non solo mio padre, anche mia madre era una ragazzina di Barbiana, Carla era la più piccola della scuola. A 15 anni, è andata in Inghilterra, come tutti gli altri allievi, da sola per studiare e lavorare, questo lo dico solo per far capire che tipo di scuola doveva essere quella, pienamente aperta al mondo esterno. Sento una grande responsabilità a parlare di don Lorenzo Milani e a volte mi piacerebbe non farlo. Don Lorenzo, soprattutto dopo la visita di Papa Francesco a Barbiana, è diventato talmente popolare e conosciuto, che spesso si parla di lui solo per poter parlare di se stessi. Non vorrei anche io correre questo rischio. Don Lorenzo e Barbiana devono essere conosciuti e approfonditi per poi essere attualizzati nei valori e stimoli.
All’inizio Barbiana era per me luogo di famiglia, Eda, la signora che aiutava il Priore, prima a Calenzano e poi a Barbiana, è stata mia nonna. Lì ho trascorso la mia infanzia, era il luogo delle vacanze estive. Poi, da adolescente, ne ho avuto quasi un rigetto, perché si trattava di un modello culturale molto forte da sostenere sulle spalle, mio padre era una persona integerrima, molto barbianese nella sua educazione. Tante cose le ho capite solo da adulta e mi è arrivata una sberla alla coscienza. Ho cambiato il modo di percepire il mondo esterno, gli altri. Non puoi fare a meno di accorgerti che ci sono gli altri, le ingiustizie, i deboli e non puoi non schierarti, ribollire di rabbia davanti alle ingiustizie, anche se spesso diventa frustrante farlo perché non si hanno risposte adeguate. I miei genitori mi hanno forgiata e loro sono stati forgiati da quell’esperienza.
– Lo schierarsi è un modo per incarnare, come don Milani, la parola evangelica, altrimenti il rischio è che tutto diventi citazioni vuote e liturgia.
– Se vuoi far vivere la Parola devi per forza essere un elemento di rottura degli schemi. Più leggo don Milani più ho chiare certe risposte. Il suo pensiero è una fonte continua d’ispirazione, con la quella semplicità di linguaggio, diretto, tagliente, senza fronzoli. La sua scuola era proprio centrata sul far comprendere ai ragazzi che appartenevano ad una condizione condivisa con la maggior parte degli abitanti della Terra, i poveri. E con quell’immensa periferia dell’umanità dovevano schierarsi, per aiutarli. A loro si rivolge, ancor oggi, don Lorenzo, a ogni periferia perché sia capace di riscattarsi e chiedere giustizia.
Don Lorenzo Milani
La parola fa uguali
Il segreto della scuola di Barbiana
A cura di Michele Gesualdi, Fondazione Don Lorenzo Milani
Libreria Editrice Fiorentina, 2019 (nuova edizione)