intervista di Gianfranco Brevetto
(ITA/FRA testo originale in fondo)
Pascal Neveu è uno psicanalista che coinvolge. I temi trattati, le sue riflessioni non sono mai banali. Il linguaggio che utilizza nei suoi libri, è sempre una risorsa, una bussola per non perdersi d’animo, per non smarrire la strada.
– Nel suo ultimo libro, Revivre même quand on est terrassé, lei cerca di aiutare nel recupero di un senso dell’esistenza. Qual è questo senso? Come lo si può recuperare? A questo fine, qual è il ruolo della psicanalisi?
– Questo libro è stato per me il più difficile da scrivere perché tocca i fondamenti esistenziali e metafisici delle nostre vite. Ho seguito dei pazienti che hanno vissuto tragedie. Il mio editore mi ha chiesto di rimuovere alcuni esempi estremamente pesanti, ma che ci fanno pensare al senso della vita. Di questo libro io preservo alcune domande per le quali non ho ancora nessuna risposta.
Perché, a seguito di un evento (morte, malattia, invalidità, infortuni…) non tutti siamo attrezzati con le stesse capacità di resilienza? Perché alcuni crollano, e si lasciano in qualche modo morire, e altri invece trovano una forza incredibile? Vivono questo momento come una prova della vita, continuando nello stesso tempo a vivere normalmente ma anche più forti nell’affrontare il futuro.
Per alcuni la fede in Dio aiuta, ma altri dicono: “Questa è la vita! Non occorre farsi abbattere ma continuare! ”
La vita non è che morte e rinascita. Freud, ossessionato dalla morte, ha rivisto tutta la sua teoria quando ha compreso che le due forze che ci spingono, e combattere, sono la pulsione di vita e pulsione di morte. Eros e Thanatos. Noi non possediamo la stessa quota di vita e di morte in noi.
Mi ricordo di un neonato trovato in pieno inverno, nella spazzatura, tre giorni dopo la sua nascita. Il personale medico si erano stupito per questa resistenza. Mi piacerebbe seguire questo bambino e vedere che cosa ci sarà di speciale nella sua vita.
Per contro, si nota che, in seno ad una coppia, vi è un’alta probabilità del decesso di un congiunto nell’anno che segue il decesso dell’altro.
Lo psicoanalista che è in me, s’interroga su queste forze cerebrali che costituiscono ciò che siamo e ciò che diventeremo. Purtroppo in Francia, polemiche da campanile, impediscono un lavoro comune tra neuroscienziati e psicologi.
Quando lavoro con un paziente che deve superare un “incidente di percorso”, oltre ad ascoltare e accogliere la sua sofferenza, mi sembra fondamentale lavorare su chi fosse prima, al fine di consolidare questa base e curare le ferite e pensare al futuro.
La psicoanalisi riconosce una cosa fondamentale, noi possiamo spiegare ciò che ci ha costruito… ma l’avvenire dipende da noi. I miei pazienti mi riferiscono di una parola, un evento, un incontro … che ha ridato un senso alla loro vita. La gioia più grande quando si è psicoanalista è che i nostri pazienti non solo guariscono, ma soprattutto sopravvivono. Di fronte a queste prove della vita, occorre accettare il crollo, la deriva, perdere il controllo, immergersi nel profondo di se stessi per recuperarne l’essenza: l’amore di Sé.
Concedersi questo amore più profondo è a mio parere il catalizzatore più forte della nostra vita. La psicoanalisi è, allo stesso tempo, una scuola di verità ma anche una riscoperta dell’amore di Sé.
– Ho molto apprezzato il vostro libro sulla menzogna. Quale è il ruolo di quest’ultima nelle relazioni umane? In cosa la bugia di un bambino differisce da quella di un adulto? Perché mentiamo? Esiste una strategia del mentitore?
– Un grande grazie per il suo interesse, mi fa molto piacere.
La menzogna è un fattore di pace. Le nostre due o tre bugie quotidiane evitano una guerra civile. Siamo in grado di comprendere delle “verità”, anche quando mentiamo a noi stessi. Tutti mentono; è impossibile non mentire.
Quello che voglio dire è che il più grande compito della nostra vita è scoprirci, progredire nell’esprimere la nostra identità. Dobbiamo cercare di portare il minor numero di maschere possibili. Arrivare ad essere più sinceri con noi stessi e con i nostri cari. Questo è un lavoro enorme, direi in ultima analisi, il compito di una vita.
Il mio lavoro sulla menzogna è dunque stato quello di cogliere in profondità dentro di noi, il meglio come il peggio, ma anche confrontarci con i nostri limiti al fine di superarli e ci capita, come diceva Freud. Noi siamo esseri in evoluzione e in emancipazione.
Dalla nostra più giovane età ci siamo nutriti alla scuola della menzogna. I nostri genitori ci hanno mentito, in particolare, non ci hanno detto tutte le verità. Il bambino piccolo non è in grado di accogliere la realtà della nostra vita. E’ la bugia altruista che ci protegge.
Poi il bambino scopre la menzogna … in un primo momento per non essere punito (caramelle rubate, voti bassi, le piccole sciocchezze quotidiane …). Egli apprezza le poche volte in cui sarà in grado di manipolare l’altro e soprattutto quando percepisce nello sguardo dei genitori un “doppio discorso “: nostro figlio deve essere punito perché ha mentito … ma lui è intelligente perché è riuscito ad inventare una menzogna! ” Il best-seller più venduto e tradotto in tutto il mondo, dopo la Bibbia, è Pinocchio!
Evidentemente, crescendo, il bambino divenuto adolescente impara a gestire meglio i codici della menzogna. Il non verbale (gesti, atteggiamenti, intonazioni della voce …) accompagnerà il suo discorso per cercare di convincere.
Divenuti adulto, per ragioni professionali, sociali, seduzione … ci siamo “arricchiti” delle nostre bugie, riuscite o scoperte, e anche delle bugie degli altri, commerciali, politiche …
Per me, la cosa più importante resta quella di avere consapevolezza delle nostre menzogne e di conoscerne il significato.
Meno noi controlliamo le nostre bugie, più noi neghiamo parti della realtà, del rapporto con l’altro e del rapporto con noi stessi.
Nel caso del mitomane, il bugiardo non ha consapevolezza della sua menzogna. Ci troviamo, in questo caso, di fronte ad una psicopatologia in cui il bugiardo crede sinceramente in ciò che racconta: falsa identità, doppia vita, criminalità …
La strategia del bugiardo è solo quella della sua sopravvivenza psichica.
Anche da adulti noi ci comportiamo come dei bambini! Non è patetico, è umano.
Ma in questa scala della menzogna ( anche se uno dei nostri ex presidenti diceva, parlando della menzogna più è grande e più ha successo!) ci sono dei bugiardi qualificati, quelli di professione, quelli per i quali il fine giustifica i mezzi, come scriveva Machiavelli. Negli stessi anni, Thomas Moore scriveva il suo libro su l’Utopia. Due pensieri opposti… ma chi detiene la verità?
Da notare quanto attualmente sta accadendo negli Stati Uniti, ma anche in Francia, dove la menzogna tiene anche la scena politica.
Io lascio la strategia di mentire a chi considera gli altri come oggetti, saziando le loro ambizioni … e nello stesso tempo io perdono a colui o colei che mente, di farlo al fine di non ferire chi si ama, per rispetto.
– Lei si è anche occupato del cambiamento.. E’ difficile cambiare? Come psicanalista e psicoterapeuta, qual è la sua esperienza in merito? Perché vogliamo cambiare o abbiamo paura di farlo? Dove inizia il cambiamento?
– L’ho fatto nel mio primo libro, pubblicato anche in Italia. L’idea è nata quando nel corso di una colazione con la mia direttrice della collezione, quando precisavo che noi preferiamo rimanere nei nostri schemi nevrotici, nelle nostre piccole abitudini che noi controlliamo … perché l’ignoto ci spaventa. Anche in questo caso vi è la pulsione di vita (i passaggi all’azione) contro la pulsione di morte (l’immobilismo).
Freud ha scritto “Wo Es war, soll ich werden” “Là dove c’è l’Es, un giorno dovrà esserci l’Io”.
In altre parole, da bambino a vecchio, noi cambiamo. La trasformazione del nostro corpo, il nostro metabolismo, hanno luogo nello stesso momento nella nostra evoluzione psichica.
Perché tenere insieme le due cose? La famosa crisi di mezza età non è solo un bilancio di metà percorso.
Anche in questo caso c’è la messa in discussione della nostra identità, degli ideali imposti dalla società e dai nostri genitori, ma anche dell’idea che abbiamo quando fantastichiamo sul nostro futuro. Cambiare è un invito a rischiare … ci riporta alle nostre paure, ai nostri tabù consci e inconsci …
Questo cambiamento è già presente quando pensiamo: sono stufo, voglio qualcosa di diverso.
Ma certamente pensare il cambiamento è complicato. Nella vita vorticosa dei 20 anni e alla regolata quotidianità dei 40 anni … i rischi del cambiamento non si misurano nello stesso modo.
Durante un programma alla radio sul cambiamento, ho precisato che la nostra società attuale non è altro che cambiamento: due o tre professioni diverse nella nostra vita, il divorzio …
Ho sempre considerato, anche se è una forma di filosofia esistenzialista, che la vita è un buffet. Sta a noi servirci di ciò che questa ci offre. Senza esagerare.
Mi ricordo sempre delle parole di uno dei miei professori in psichiatria. Un giorno, quando abbiamo visitato il museo della scuola di medicina, ha detto: Voi non sapete ciò che sarete, né quello che farete tra 10 anni. Ho pranzato con lui un anno fa e gli ho ricordato queste parole… Lui mi ha guardato e mi ha detto: E tra 10 anni, cosa farete?
E così è la vita. Arrivare a superare le proprie paure, ansie … discuterne con i propri cari, quelli che non danno giudizi, quelli che accompagnano la nostra vita e i nostri cambiamenti come noi accompagniamo i loro. Cambiare inizia dal profondo del nostro cuore e dal confronto con noi stessi.
Lei è riuscito a toccare, con le sue domande, una serie di riflessioni che io cerco di esprimere attraverso le mie opere. I miei prossimi due libri resteranno molto vicino a quello che mi anima come psicoanalista. E questo si collega con la vostra ultima domanda: Da dove viene il cambiamento?
In realtà l’unico cambiamento essenziale, esistenziale è Essere. Percorso complicato, disseminato di prove, che mescola menzogne, cambiamenti, ma soprattutto speranza.
(trad. Pascal Neveu e Gianfranco Brevetto)
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Versione originale
– Dans votre dernier livre, Revivre même quand on est terrassé, vous cherchez à aider à récupérer le sens de l’existence. Quel est ce sens ? Comment peut-on le récupérer ? Dans ce but, quel est le rôle de la psychanalyse ?
– Ce livre a été pour moi le plus difficile à écrire car il touche les fondements existentiels et métaphysiques de notre vie. J’ai accompagné des patients qui ont vécu des tragédies. Ma maison d’édition m’a même demandé de retirer quelques exemples extrêmement lourds, mais qui nous font penser le sens de la vie.
De ce livre je conserve une question pour laquelle je n’ai toujours pas de réponse.
Qu’est-ce qui fait que suite à un événement (décès, maladie, handicap, accident…) nous ne sommes pas tous armés des mêmes forces de résilience ? Pourquoi certains vont s’effondrer et se laisser en quelque sorte mourir, et d’autres en revanche trouveront une force incroyable, vivant ce moment comme une épreuve de la vie, continuant à vivre à la fois normalement mais aussi renforcés pour affronter le futur.
Pour certains la foi en Dieu aide, mais d’autres de me dire « C’est la vie ! Il ne faut pas se laisser abattre mais continuer ! »
La vie n’est que mort et renaissance.
Freud, hanté par la mort, a revu toute sa théorie lorsqu’il a compris que les deux forces qui nous dirigent, et se combattent, sont la pulsion de vie et la pulsion de mort. Eros et Thanatos.
Nous ne possédons pas le même quota de vie et de mort en nous.
Je me rappelle ce nouveau-né, retrouvé en plein hiver, dans une poubelle, trois jours après sa naissance. Le personnel médical n’en revenait pas.
J’aimerais suivre cet enfant et voir ce qu’il aura de particulier dans sa vie.
A contrario, nous voyons bien, au sein d’un couple, la prévalence de décès du conjoint, dans l’année qui suit un décès.
Le psychanalyste que je suis s’interroge sur ces forces cérébrales qui font ce que nous sommes et deviendrons.
Je regrette, en France, les querelles de chapelle qui nous empêchent de travailler entre neuroscientifiques et psys.
Quand je travaille avec un patient qui doit surmonter un « accident de la vie », outre écouter et accueillir sa souffrance, il me semble fondamental de travailler sur qui il était avant, afin de consolider cette base et panser ses maux pour penser son futur.
Mais la psychanalyse reconnaît une chose fondamentale : nous pouvons expliquer ce qui nous a construit… mais l’avenir nous appartient.
J’ai connu chez des patients, un mot, un événement, une rencontre… qui redonnait sens à leur vie.
La plus grande joie, quand on est psychanalyste, reste que nos patients, non seulement guérissent, mais surtout survivent.
Face à ces épreuves de la vie, il faut accepter s’effondrer, même dériver, perdre le contrôle du cours de notre vie, plonger au fond de soi afin d’y retrouver l’essence : l’amour de Soi.
S’accorder cet amour le plus profond est à mon avis le plus fort catalyseur de notre vie.
La psychanalyse est à la fois une école de la vérité mais aussi de découverte de l’amour de Soi.
– J’ai beaucoup apprécié votre ouvrage sur le mensonge. Quel rôle a-t-il dans les relations humaines? En quoi le mensonge de l’enfant est-il différent de celui d’un adulte ? Pourquoi mentons-nous ? Existe-t-il une stratégie du menteur ?
– Un grand merci, ça me touche.
Le mensonge est facteur de paix. Nos deux ou trois mensonges quotidiens évitent une guerre civile. Car sommes-nous capables d’entendre des « vérités » quand nous même nous nous mentons à nous même ? Tout le monde ment ; il est impossible de ne pas mentir.
Ce que je veux dire c’est que la plus belle quête de notre vie est de nous découvrir, de progresser dans l’expression de notre identité. Il nous faut tenter porter le moins de masques possibles. Parvenir à être les plus sincères avec nous-mêmes et nos proches. C’est un travail énorme, finalement la tâche d’une vie.
Mon travail sur le mensonge est donc d’œuvrer pour creuser au fond de nous, le meilleur comme le pire, mais aussi nous confronter à nos limites afin de nous dépasser et advenir comme le dit Freud. Nous sommes des êtres en évolution, en émancipation.
Car dès notre plus jeune âge nous avons biberonné à l’école du mensonge. Nos parents nous ont menti, plus précisément, ne nous ont pas livré toutes les vérités. Car le nourrisson, l’enfant en bas âge n’est pas en capacité d’accueillir la réalité de notre vie. C’est le mensonge altruiste, celui qui nous protège.
Puis l’enfant découvre le mensonge… dans un premier temps pour ne pas être puni (les bonbons volés, les mauvaises notes, les petites bêtises quotidiennes…). Il savoure ces quelques moments où il va être capable de manipuler l’autre et surtout lorsqu’il perçoit dans le regard des parents un double discours : « notre enfant doit être puni car il a menti… mais il est intelligent, car il est parvenu à nous inventer un tel mensonge ! »
Le livre le plus vendu et traduit dans le monde, après la Bible, est Pinocchio !
Bien évidemment, en grandissant, l’enfant devenu adolescent va mieux maîtriser les codes du mensonge. Le non verbal (gestes, attitudes, intonations de voix…) va accompagner son discours afin de convaincre.
Devenus adultes, pour des raisons professionnelles, sociales, de séduction… nous nous sommes « enrichis » de nos mensonges réussis ou découverts, mais aussi des mensonges des autres… commerciaux, politiques…
Pour moi, le plus important reste d’avoir conscience de nos mensonges et d’en connaître le sens.
Moins nous « contrôlons » nos mensonges, plus nous nous coupons de la réalité, de la relation avec l’autre, et la relation avec nous-même.
D’où des cas de mensonges telle la mythomanie où le menteur n’a plus conscience de son mensonge. Nous sommes là face à une psychopathologie où le menteur croit sincèrement en ce qu’il nous raconte : fausse identité, double vie, criminalité…
La stratégie du menteur est seulement celle de sa survie psychique.
Même adultes nous nous comportons comme des gamins !
Ce n’est pas pathétique, c’est humain.
Mais dans cette échelle du mensonge, même si un de nos anciens présidents disait, parlant du mensonge « Plus c’est gros, mieux ça passe ! », nous avons des menteurs qualifiés… ceux pour laquelle la fin justifie les moyens, comme l’écrivait Machiavel.
A la même époque Thomas Moore écrivait son ouvrage sur l’utopie.
Deux pensées à l’opposé… mais qui détient la vérité ?
Remarquez combien actuellement aux Etats-Unis, mais aussi en France plutôt qu’évoquer le fond politique, les seuls sujets portent sur le mensonge.
Je laisse donc la stratégie du menteur à ceux qui ne considèrent autrui que comme des objets, assouvissant leurs ambitions… alors que je pardonne à celle ou celui qui ment, ne raconte pas tout, afin de ne pas blesser ce lui qu’il aime, par respect.
– Vous vous êtes également occupé du changement. Est-il difficile de changer ? En tant que psychanalyste/psychothérapeute, quelle est votre expérience à ce sujet ? Pourquoi voulons-nous changer ou craignons-nous le changement ? Où commence le changement ?
– C’était mon tout premier livre, d’ailleurs publié en Italie. L’idée est venu lors d’un petit déjeuner avec ma directrice de collection, lorsque je précisais que nous préférons rester dans nos schémas névrotiques, nos petites habitudes que nous maîtrisons… car l’inconnu nous fait peur.
De nouveau c’est la pulsion de vie (les passages à l’action) contre la pulsion de mort (l’immobilisme)
Freud écrivait « Wo Es war, soll Ich werden » « Là où était le Ca, Je dois advenir ».
Autrement dit, de nourrisson à vieillard, nous changeons. Les transformations de notre corps, de notre métabolisme ont lieu en même temps que notre évolution psychique.
Aussi, pourquoi ne pas accompagner les deux ? Voyez la fameuse crise de la quarantaine qui n’est juste qu’un bilan de demi-vie.
De nouveau c’est un questionnement sur notre identité, les idéaux imposés par la société et nos parents, mais aussi l’idéal que nous fantasmions quant à notre devenir.
Changer invite à prendre un risque… nous renvoie à nos peurs, nos interdits conscients et inconscients…
Ce changement existe déjà dans la simple pensée « j’en ai marre, j’ai envie d’autre chose » .
Mais bien sûr que penser le changement est compliqué. De la vie tourbillonnante des 20 ans, à un quotidien calibré des 40 ans… on ne mesure pas de la même façon les risques du changement.
Nous avions fait une émission radio il y a un an sur le changement, et nous précisions bien que notre société actuelle n’est que changement : deux, voire trois professions différentes au cours de notre vie, divorce…
J’ai toujours considéré, même si c’est une forme de philosophie existentialiste, que la vie est un buffet. A nous de nous servir face à ce qu’elle nous propose. Sans hédonisme.
Je retiendrai toujours les propos d’un de mes professeurs en psychiatrie, un jour alors que nous visitions le musée de l’école de médecine « Vous ne savez pas qui vous serez, ni ce que vous ferez dans 10 ans ». Et déjeunant avec lui il y a un an, je lui rappelais ses propos… Il m’a regardé en souriant et me disant : « Et dans 10 ans, vous faîtes quoi ? »
C’est ça la vie. Parvenir à surmonter ses peurs, ses angoisses… en discuter avec les plus proches, ceux sans jugement, ceux qui accompagnent notre vie et nos changements comme nous les accompagnons.
Le changement commence au fond de notre cœur et en discussions avec nous même.
Vous êtes parvenus avec vos questions à rassembler un ensemble de réflexions que je tente exprimer à travers mes ouvrages.
Mes deux prochains livres resteront très proches de ce qui m’anime en tant que psychanalyste.
Et cela fait sens avec votre dernière question.
Où commence le changement ?
En fait le seul changement essentiel, existentiel… c’est Être.
Chemin compliqué, parsemé d’épreuves… mais n’est-ce pas un beau moment de vie avec soi-même, qui mêle mensonges, changements, et surtout rester dans l’espérance de notre vie.
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