di Francesca Rifiuti
Sono le 7,30. Gianluca, 12 anni, dovrebbe già essere pronto per uscire di casa, lo zaino in spalla, la faccia assonnata e gli ultimi sbadigli prima di varcare la porta e intraprendere un nuovo giorno di scuola. Eppure tutto questo, che all’apparenza è così semplice per un ragazzino di quell’età, per Gianluca è ogni mattina lo scoglio più grande. E, la maggior parte delle volte, è uno scoglio troppo grande per essere affrontato. Allora la porta di casa resta chiusa, lo zaino appoggiato in un angolo del salotto, la faccia assonnata diventa un volto pieno di lacrime e lo sbadiglio si trasforma in un urlo di delusione.
Gianluca ha paura.
Ha paura della scuola, dei compiti, delle interrogazioni.
Ha paura dei compagni, dei professori, del giudizio che tutti potrebbero rivolgere a lui e lui soltanto.
Teme gli sguardi, i commenti, si sente al centro dell’attenzione anche quando se ne sta in silenzio al banco.
Teme che gli insegnanti lo ritengano inadeguato, impreparato, stupido.
Gianluca ha paura e, così come Gianluca, tanti ragazzi e ragazze ogni giorno hanno la stessa paura, la stessa forte ansia che a volte impedisce loro di svolgere delle attività che per tutti gli altri sembrano così naturali.
La casa diventa un nido, un ambiente protetto in cui rifugiarsi. Man mano che il tempo passa, la difficoltà aumenta e le assenze si sommano, così come i malesseri, i litigi e le ansie.
I genitori iniziano a vedere Gianluca debole, fragile, piccolo, incapace di affrontare le sfide e le responsabilità. Lo tengono stretto, si sostituiscono a lui nelle attività della vita quotidiana, tutta la loro vita ruota intorno a Gianluca e alla sua paura della scuola.
E allora anche la rappresentazione che il figlio ha di se stesso è quella di un bambino debole, fragile, piccolo di fronte alla vita che gli si spalanca davanti e questo lo porta a chiudersi ancor di più tra le mura domestiche, faticando nell’affrontare le attività quotidiane senza un consistente supporto adulto.
E così la casa, da nido diventa prigione.
La fobia scolare è una difficoltà che non deve essere sottovalutata e rappresenta un disagio che, in seguito al lockdown per la pandemia Covid-19, sembra essere diventato più frequente a causa del difficile ritorno in presenza dopo mesi di chiusura e di socialità azzerata: molti bambini e ragazzi, al momento dell’ingresso a scuola, manifestano forti crisi di ansia e vissuti di profonda angoscia nel separarsi dai propri genitori.
La fobia scolare è caratterizzata da ansia acuta, attacchi di panico e avversione verso la partecipazione all’esperienza scolastica. L’angoscia che i ragazzi presentano si manifesta attraverso una forte agitazione che nella maggior parte dei casi si accompagna a somatizzazioni di vario tipo: mal di testa, mal di pancia, bisogno di andare in bagno, forti dolori muscolari e debolezza. Questi malesseri fisici ed emotivi sono solitamente così intensi da non permettere di accedere all’edificio scolastico, ma possono impedire anche la frequenza alle lezioni in didattica a distanza.
Questi bambini e ragazzi solitamente non hanno difficoltà di apprendimento, hanno buone competenze cognitive e, nel periodo precedente all’insorgenza del problema, hanno avuto esperienze positive a livello socio-relazionale. A un certo punto, però, tutto crolla.
A volte accade in modo graduale, si parte da un piccolo disagio al mattino che man mano si amplifica e diventa sempre più grande e ingestibile da parte dei genitori.
Altre volte invece il disturbo si manifesta in modo molto brusco, all’improvviso, con un rifiuto totale a frequentare l’ambiente scolastico.
Succede all’inizio dell’anno, ma talvolta anche al momento del rientro da un periodo di festa, da una malattia o in seguito a un episodio particolare avvenuto nel contesto familiare, oppure all’interno delle mura scolastiche.
Gianluca al mattino è così disperato che arriva a supplicare i genitori di non portarlo a scuola, di non sottoporlo a questa sofferenza insostenibile. I genitori di Gianluca vedono davanti ai loro occhi un figlio in condizioni di disperazione, inizialmente cercano di convincerlo, di spronarlo, si arrabbiano, provano a prenderlo con la forza. I tentativi di costrizione a volte aggravano addirittura la situazione, mettendo il bambino in uno stato di agitazione ancora più grande che potrebbe portare a condotte aggressive nei confronti dei genitori ma anche di se stesso.
Insomma, niente funziona, vince sempre la paura. E allora i genitori si arrendono, non riescono a prendere in mano la situazione, si disperano a loro volta e, ogni mattina, quando la scena si ripete, il loro senso di inadeguatezza e di impotenza aumenta.
Gianluca, come tutti i bambini che fanno i conti con la fobia scolare, la sera prima di andare a letto è convinto: domani riuscirà a entrare a scuola, non ci sono dubbi. Promette ai genitori che non ci saranno scene drammatiche e che stavolta è pronto, se lo sente. Ma la mattina successiva tutto di nuovo si ripete, in un circolo vizioso che non fa che aumentare ancora di più l’angoscia e l’ansia generati dall’idea di rientrare in classe dopo tanto tempo.
Quando i bambini non vanno a scuola, tutta la giornata ruota attorno a questo: i genitori e gli altri adulti significativi non parlano d’altro, fanno domande, chiedono il motivo di questa forte ansia e i bambini spesso tentano di razionalizzarla, attribuendola ai comportamenti dei compagni, alle materie, agli insegnanti.
Ma in realtà trovare una sola causa talvolta è molto complesso ed è quindi necessario pensare alla fobia scolare come a un disturbo che coinvolge non solo i figli ma anche il contesto allargato, formato dalla famiglia, dal gruppo dei pari e dal team degli insegnanti.
Man mano che passa il tempo e che le assenze aumentano, l’angoscia diventa sempre più tangibile e realistica: emerge quindi il timore di non essere sufficientemente integrati con i compagni, di essere tempestati di domande sui motivi delle tante assenze e di non essere più al passo con il programma scolastico: se prima dell’insorgenza del problema non vi erano difficoltà di apprendimento, adesso possono emergere, a causa del gran numero di assenze e, soprattutto, dell’assetto emotivo fortemente danneggiato, caratterizzato da paura, demotivazione e senso di inadeguatezza, che impedisce ai bambini di utilizzare le competenze e le strategie di apprendimento in modo efficace.
La fobia scolare spesso è caratterizzata da altre manifestazioni significative, come la presenza di disturbi del sonno e di difficoltà nel mantenere il ritmo sonno-veglia. In seguito a un primo periodo di tentativi al mattino, i ragazzi con fobia scolare iniziano ad alzarsi dal letto tardi solo quando l’orario scolastico è agli sgoccioli, per evitare di dover fare i conti con le proprie mancanze, con le proprie inadeguatezze.
Sono inoltre presenti spesso alcuni segnali di tipo ossessivo nei confronti della scuola e del materiale di studio, in stretto collegamento con l’attenzione alla performance. La scuola è un contesto in cui si investe sulle prestazioni e nella mente degli studenti i voti ottenuti diventano qualcosa che li definisce, un elemento rilevante per il futuro: le speranze di realizzazione di sé passano attraverso le valutazioni delle professoresse e dei professori.
Elisa, 14 anni, ha faticato nel terminare la terza media proprio per questo motivo. Aspettative molto alte nei confronti di se stessa la guidavano di fronte ai compiti scolastici, non era mai soddisfatta di ciò che faceva, trascorreva metà del pomeriggio a pianificare ossessivamente le cose da fare, registrandole minuziosamente su un foglio. Una volta terminata questa fase, si metteva a fissare quel foglio per lunghi minuti e non riusciva neanche a iniziare i compiti, manifestando un vero e proprio blocco del pensiero. Questo comportava ogni pomeriggio l’inasprirsi del conflitto con la madre, che faceva forti pressioni affinché Elisa iniziasse a fare qualcosa di produttivo, senza risultato. La mattina Elisa rifiutava di andare a scuola, non sentendosi preparata alla perfezione così come ossessivamente desiderava e sentiva di dover essere. Il senso del dovere non spingeva Elisa alla produttività, bensì la congelava ai blocchi di partenza, impantanata nella sensazione che tanto, comunque, non sarebbe mai stata abbastanza per se stessa e per i suoi progetti futuri, per i genitori, per le richieste della scuola, agli occhi dei compagni e delle compagne. Il blocco del pensiero diveniva quindi una difesa contro la paura generata dall’emergere di potenti aspettative interiorizzate, che ponevano il successo scolastico al centro del progetto di crescita, togliendo importanza a tutti gli altri aspetti della vita.
In altre situazioni la fobia scolare si accompagna a un forte calo dell’umore e a un senso di tristezza che sembra non passare mai, alimentato dalla costante delusione e dalla frustrazione del non riuscire mai. Si generano quindi sentimenti di scarsa autostima, svalutazione di sé e sensazione di inutilità e inadeguatezza.
In alcuni casi, gradualmente il ritiro sociale scavalca i confini dell’orario scolastico e diventa predominante in tutto l’arco della giornata e della settimana, con un disinvestimento lento e progressivo che coinvolge anche lo sport, le amicizie, le uscite in famiglia e con i compagni.
I ragazzi possono quindi iniziare a trascorrere la maggior parte del tempo in casa, chiusi in camera, nella migliore delle ipotesi utilizzando internet e i videogiochi come finestra sul loro mondo sociale, rischiando però di farne un uso eccessivo e di utilizzarli non solo come risorsa ma come modalità ulteriore di chiusura.
È sicuramente importante fare un collegamento tra la fobia scolare e la fase del ciclo vitale che inizia durante la preadolescenza e che porta con sé alcuni fondamentali compiti evolutivi e caratteristiche, come l’oscillazione tra appartenenza e differenziazione dalla famiglia d’origine e il percorso verso la soggettivazione: se durante l’infanzia i genitori avevano soddisfatto in modo completo ogni bisogno del bambino, in questa fase la relazione tra genitori e figli deve essere rinegoziata. Il figlio può vivere con ambivalenza questo processo, dovendo, per riuscire a crescere e individuarsi, rinunciare in parte alla protezione familiare e al senso di onnipotenza di quel sé bambino che, a contatto col mondo, si accorge di essere invece limitato e fragile e va incontro alla frustrazione di un corpo che è imperfetto.
In questa fase della vita si ha anche una vera e propria nascita sociale, attraverso cui i figli, uscendo dal guscio della relazione con i genitori, escono nel mondo alla ricerca di nuovi ruoli e funzioni. La scuola diventa quindi uno spazio di sperimentazione in questo senso e dà origine a esigenze di successo e di gratificazione, accompagnate inevitabilmente anche dalle prime sconfitte e dalle prime delusioni. La scuola è un palcoscenico su cui si debutta e sul quale non sono ammessi errori, soprattutto oggi, in una società fondata sull’importanza dell’immagine e sulla centralità della performance.
Coerentemente con i compiti evolutivi di questa delicata fase del ciclo vitale, il ruolo del genitore necessita di una trasformazione, diventa protezione flessibile, trampolino di lancio verso il fuori.
La scuola è banco di prova anche per loro, testimonianza e dimostrazione della loro adeguatezza genitoriale e delle loro competenze di accudimento e di educazione. Anche per questo motivo è grande la paura del fallimento dei propri figli e la tendenza a togliere più ostacoli possibile dalla loro strada, evitando così delusioni e sofferenze che non sono soltanto del figlio ma appartengono anche a loro, vengono vissuti in prima persona, sulla pelle.
In alcuni casi, il contesto familiare da cui può emergere una fobia scolare è caratterizzato da una chiusura che appartiene prima di tutto ai genitori: scarse sono le occasioni di uscita, poco fitta la rete di amicizie e di contatti esterni alle famiglie d’origine, rare le iniziative e i progetti portati avanti da entrambi i genitori, poco coltivate le passioni e le attività extra-lavorative. In un quadro di questo tipo, i ragazzi e le ragazze in difficoltà si trovano all’interno di un sistema familiare con confini esterni rigidi e poche occasioni di osservare modelli relazionali alternativi, in una dinamica che rispecchia e, in qualche modo, legittima la loro chiusura.
Un abbraccio troppo stretto ed eccessivamente protettivo non è più una base sicura, né un trampolino di lancio, ma diventa confusione e bolla di vetro all’interno della quale tutto agisce come in un sistema di vasi comunicanti: la mia ansia è anche la tua e viceversa; la mia paura è anche la tua e viceversa.
All’interno di questa chiusura, la paura nei confronti dell’esterno trova una possibilità di emergere e di nutrirsi, in un contesto di confusione di ruoli, di mancanza di autorevolezza genitoriale e in presenza, talvolta, di una relazione di fusionalità tra la madre e il figlio, con un forte investimento della donna nel ruolo materno e un atteggiamento protettivo, quasi di devozione, che si unisce alla quasi totale assenza dalla scena familiare di un padre immerso nel lavoro.
Questa dinamica rischia di alimentare nel figlio sentimenti di bassa autostima, scarsa percezione di autoefficacia e senso di inadeguatezza.
Esistono poi casi in cui è presente un conflitto di coppia o una separazione ed è proprio in quella fase del ciclo vitale in cui la spinta verso il fuori dovrebbe prevalere, che invece i figli non si sentono sicuri nel lasciare i propri genitori soli in casa; hanno paura che, se escono di scena anche solo per andare a scuola o per fare un giro con gli amici, la famiglia si sgretoli oppure, in caso di genitori separati, temono che per il genitore da solo la loro assenza sia insopportabile. Sentono la responsabilità dell’unione e hanno la sensazione di essere l’unico filo che tiene insieme gli adulti, l’unica ragione del loro benessere emotivo. Allora il sintomo assume la funzione di tenere insieme, di unificare, di ridare vita a quello spirito di squadra che sentono vacillare, di far compagnia e di impedire che l’adulto senta la solitudine.
Fare i conti con la fobia scolare non significa soltanto aver paura di non ottenere buoni voti, di bocciare, di sbagliare. La scuola che fa paura a questi ragazzi non è solo lo spazio dove si deve imparare, ma anche e soprattutto quello in cui ci si incontra, ci si confronta, si fanno nuove esperienze, ci si allontana dalle mura di casa e dalla propria zona di comfort. In questo spazio si incontrano ostacoli e sofferenze che talvolta diventano intollerabili ma che sono senza alcun dubbio, un fattore di crescita imprescindibile.
Per questo motivo l’attenzione deve essere grande, da parte di tutti. È fondamentale non aspettare troppo prima di rivolgersi ai servizi del territorio. Come abbiamo visto, la fobia scolare è un problema che ha a che fare con tutta la famiglia e pertanto può essere utile avviare un percorso di terapia familiare per riuscire ad affrontarlo in tutta la sua complessità. Una presa in carico individuale non sempre è possibile, specialmente nei casi in cui il disturbo è caratterizzato dalla presenza di una forte ansia da separazione. Viste le difficoltà che queste famiglie hanno ad aprirsi all’esterno, ad affidarsi e a modificare il loro punto di vista, anche intraprendere un percorso di sostegno alla genitorialità e/o di terapia familiare può essere difficile, ma, una volta avviato, questo può permettere alla famiglia di affidare allo spazio della seduta le preoccupazioni, le angosce e le paure. La presenza dell’intero nucleo familiare potrà rassicurare il figlio, che sarà meno appesantito, non si sentirà l’unico portatore del problema e avrà la percezione di poter contare sui propri genitori, pronti a mettersi in gioco in prima persona per il benessere della famiglia e a provare a rompere quegli equilibri che risultano disfunzionali. Attraverso le attività proposte, tra cui la ricostruzione della storia trigenerazionale, emergeranno le risorse da valorizzare, mentre i bisogni di ognuno, le emozioni più scomode e le difficoltà verranno riconosciuti e assumeranno nuovi significati.
Per fare tutto questo è opportuno non avere fretta. La fobia scolare non è un capriccio ma una sofferenza e spesso i genitori, per paura di rimanere per troppo tempo impantanati nel loro senso di inadeguatezza, si mostrano frettolosi e vanno alla ricerca di una soluzione rapida, che il più delle volte non porta a nessun miglioramento. Spesso anche gli insegnanti hanno fretta di rivedere i ragazzi a scuola e di tornare alla normalità, nel rispetto della percentuale di assenze e del numero di valutazioni necessarie per arrivare a fine anno. Ma il disturbo è invasivo e ha bisogno di tempo, serve collaborazione da parte di tutti gli attori coinvolti ed è necessario costruire una rete tra famiglia, servizi e scuola, che possa permettere la programmazione di un reinserimento graduale in classe, l’assunzione di un atteggiamento non troppo pressante, ma neanche eccessivamente “giustificante” e la costruzione di un percorso il più possibile integrato, al fine di non fermarsi alla superficie, ma di guardare oltre, più a fondo, nella complessità di un disturbo che genera dolore e paura in tutti i membri della famiglia.
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Riferimenti bibliografici
Lancini, M. (a cura di) (2019). Il ritiro sociale negli adolescenti. La solitudine di una generazione iperconnessa. Raffaello Cortina Editore, Milano
Lancini, M., Cirillo, L., Scodeggio, T., Zanella, T. (2020). L’adolescente. Psicopatologia e psicoterapia evolutiva. Raffaello Cortina Editore, Milano
Pietropolli Charmet, G. (2000). I nuovi adolescenti. Padri e madri di fronte a una sfida. Raffaello Cortina Editore, Milano
Pratelli, M., Rifiuti, F. (2016). Bisogni Educativi Speciali: diagnosi, prevenzione, intervento. Franco Angeli, Roma