EXAGERE RIVISTA - Gennaio-Febbraio 2024, n. 1-2 anno IX - ISSN 2531-7334

L’epigenetica di Derrida. Intervista a Francesco Vitale

di Federica Biolzi

La Vita la Morte, edito da Jaca Book raccoglie gli appunti del seminario tenuto da Jacques Derrida a Parigi nel biennio 1975-76 e fa parte di una mole di documentazione prodotta dal filosofo e che comprende i corsi tenuti, nel corso di circa 40 anni, a partire dal 1960.

-Partiamo dal titolo e, soprattutto, dalla congiunzione mancante tra i due termini. Cosa sta ad indicare?

-In verità non si tratta di semplici appunti ma dei testi di tutte le sessioni del seminario tenuto presso l’École Normale Supérieure di Parigi. Derrida aveva l’abitudine di redigere i testi di ogni singola lezione utilizzando una macchina da scrivere; si tratta quindi di testi completi anche se in molti casi sono presenti aggiunte o segni di vario genere, sovrascritti a penna sul testo scritto a macchina, segni di difficile interpretazione, data la grafia di Derrida, notoriamente criptica. Queste aggiunte sono integrate nel testo edito da Pascale-Anne Brault e Peggy Kamuf con la relativa  interpretazione della grafia, lì dove risulta possibile. L’assenza, nel titolo, di una congiunzione tra “la vita”e “la morte, così come di qualsiasi altro segno di articolazione, sta ad indicare la sospensione della distinzione tra quelli che la nostra tradizione filosofica e culturale ci ha abituato a considerare come termini reciprocamente esclusivi, di per sé determinati, e cioè indipendenti l’uno dall’altro, cosa che ha reso possibile, all’interno della nostra tradizione filosofica maggiore, la loro opposizione, semplice o dialettica il che, ovviamente, ma vale la pena precisarlo, non significa affermare la loro identità immediata o speculativa (Hegel, per Derrida, rappresenta la compiuta determinazione della cosiddetta “filosofia della vita”, e quindi il bersaglio esemplare della sua decostruzione, non solo in questo testo ma già in Glas che lo precede di un anno). È il gesto tipico della decostruzione: per intervenire all’interno della concettualità metafisica che struttura la nostra tradizione filosofica in un sistema di opposizioni gerarchicamente organizzato è innanzitutto necessario sospendere l’opposizione per far emergere la relazione differenziale quale condizione irriducibile della costituzione dei termini posti in opposizione, per liberare la possibilità di un’interpretazione alternativa o differente del campo concettuale strutturato all’ordine dell’opposizione gerarchizzata. In questo caso, si trattava di rilevare l’irriducibile co-implicazione differenziale di “vita” e “morte” per mostrarne gli effetti sul nostro modo abituale di pensare la loro relazione ma anche sul modo in cui viene pensata all’interno delle scienze della vita, la biologia in particolare.    

-Nel leggere l’introduzione alla versione francese di questo interessantissimo testo, emerge, come se ce ne fosse bisogno, uno dei caratteri tipici del lavoro di Derrida. Mi riferisco al ritornare continuamente sul testo, completandolo, emendandolo, inserendo ulteriori riferimenti, ovvero sviluppando singole parti in successivi interventi o testi da pubblicare. Al di là di una scrupolosità pratica e intellettuale, questo metodo moltiplicativo è conseguenza della sua stessa filosofia. Ci può chiarire questo punto?

-Potrei rispondere dicendo semplicemente “sì, è il principio della disseminazione”, ma è il caso di precisare perché a questo proposito le cose sono un po’ più complicate, se possibile: da un lato, anche grazie alla pubblicazione dei seminari, nei testi di Derrida avvertiamo un continuo ritornare ai testi già pubblicati, sviluppandone certi aspetti o temi, a volte a dismisura, come nel caso della questione dell’animalità (evidentemente non estranea a quella della vita del vivente), presente già nelle primissime opere e divenuta centrale nelle ultimissime. Alla luce di La vita la morte mi pare possibile dire che si tratta di un processo di riproduzione differenziale non semplicemente analogo ma conseguente a quello che struttura la vita del vivente. D’altra parte, grazie al confronto con i seminari da cui molto spesso provengono, i testi pubblicati appaiono anche come il risultato di un processo di composizione combinatoria affascinante ed enigmatico. Intendo dire che, spesso, dal seminario al testo pubblicato, si assiste ad una complicazione della scrittura, del percorso di lettura dei testi interpretati, la cui logica o necessità non è molto chiara. A volte, addirittura, il testo pubblicato appare come una ricombinazione di parti di seminari in cui il tema è sviluppato in modo chiaro e lineare, come se Derrida stesso volesse confondere le acque. Non ho una precisa teoria in merito, ma la mia sensazione è che si tratti di una strategia di seduzione del lettore virtuale delle sue opere ed allo stesso tempo una sfida, “leggimi se ne sei capace”, è una traccia che troviamo in Spettri di Marx.        

-Nel corso del seminario Derrida affronta anche la questione del biologico, misurandosi con i grandi del pensiero. In particolare affronta il problema del DNA. Come?

-Si tratta senz’altro della parte più intrigante del seminario, a mi parere destinata a produrre nuove prospettive sulla decostruzione, è almeno quanto provo a dimostrare in Biodeconstruction. Jacques Derrida and the Life Sciences, pubblicato nel 2018 negli Stati Uniti (Mme Marguerite Derrida, venuta purtroppo a mancare per il COVID, mi aveva autorizzato a lavorare sul seminario La vie la mort prima della sua pubblicazione), Derrida, per la prima e ultima volta, si confronta estesamente con il pensiero scientifico, in particolare biologico e più precisamente con George Canguilhem, filosofo della scienza, all’epoca punto di riferimento essenziale anche per Foucault e Deleuze, e soprattutto con il biologo François Jacob insignito, insieme a Jacques Monod e André Lwoff, del Premio Nobel per la medicina nel 1965. I tre avevano descritto e formalizzato il processo della sintesi proteica innescata dal DNA all’origine della costruzione degli organismi viventi. Derrida si interessa in particolare al registro metaforico “scritturale” adoperato da Jacob in La logica del vivente (1970) per descrivere il meccanismo della sintesi proteica e quindi quello della trasmissione ereditaria di ciò che i biologi allora definivano come “programma genetico”, importando la nozione di “programma” dalla cibernetica di Norbert Wiener. Derrida vi ritrova le risorse necessarie per decostruire la “filosofia della vita” ed allo stesso tempo per descrivere la genesi e la riproduzione del vivente in termini coerenti con le nozioni di “traccia” e “testualità generale” elaborate fin dai tempi di Della grammatologia (1967). Allo stesso tempo, però, altro gesto tipico della decostruzione…

– …cioe?

-Derrida mostra come proprio il “modello” (così lo chiama Jacob) scritturale destabilizzi radicalmente la nozione di “programa genetico”, nella misuro in cui questo veniva inteso come una condizione iper-determinista, in grado cioè, come sostiene Jacob, di determinare genesi e struttura del vivente senza essere influenzato dall’ambiente. Per Derrida la riproduzione differenziale, condizione del modello testuale, è strutturalmente incompatibile con l’idea di un programma genetico chiuso all’alterità in generale e quindi a qualsiasi intervento esterno sul DNA e inteso quale condizione esclusiva della riproduzione del vivente. La cosa davvero notevole è che in anni recenti le ricerche biologiche sviluppatesi nell’ambito della cosiddetta “epigenetica” stanno dimostrando che Derrida aveva ragione, al punto che oggi, in biologia, la posizione di Jacob, Monod e Lwoff, a lungo autorevole, viene definita come “il dogma della biologia genetica”, per sottolinearne la mancanza di un rigoroso fondamento scientifico. Non solo, in questa parte del seminario, davvero ricchissima, mi pare possibile ravvisare anche le tracce di una decostruzione dell’epistemologia tradizionale che potrebbe produrre strumenti utili per ripensare su nuove basi il rapporto e quindi il dialogo tra filosofia e scienze, nell’interesse dell’una e delle altre ma in verità di tutti noi, come credo sia apparso chiaro in questi mesi difficili che speriamo di lasciarci presto alle spalle.  

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Jacques Derrida

La vita la morte

seminario 1975-1976

(edizione italiana a cura di Francesco Vitale)

Jaca Book edizioni, 2021

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