di Alberto Basoalto
Vittorio Lingiardi con il suo Al cinema con lo psicanalista ci invita a guardare il cinema con gli occhi dello psicanalista, in un gioco di reciproco rimando tra lo schermo e la psiche. L’autore ci riconduce, sapientemente, nell’atmosfera del coraggioso salto del fascio di luce nel buio della sala, magari di quelle di una volta, quando il fumo scomponeva quel fascio in riflessi continuamente mutanti.
Per Lingiardi, cinema e psiche sono fatti della stessa sostanza: storie e immagini. E se Shakespeare ci ricorda che noi siamo della stessa sostanza dei sogni, il cinema, sostiene l’autore, è un grande esperimento sul sogno e la memoria. Come dargli torto?
Recentemente, abbiamo vissuto, e continuiamo a farlo, in questo periodo di chiusura lockdaunesca. La sala di proiezione è stata, per forza di cose, sostituita dalle visioni in ambito casalingo negli ormai, sempre più maxi, schermi da salotto. Nulla appare però comparabile al tepore intimo, insieme individuale e collettivo, del cinematografo completo di cassiera e maschera. Al cinema, come ci ricorda Lingiardi, si va in primo luogo con se stessi, il rapporto con lo schermo, con la trama aumentata nelle dimensioni e nei suoni è il luogo giusto dove potersi raccontare.
Il cinema non è, comunque, il teatro. la quarta parete di Pirandello non equivale allo schermo, la rappresentazione dal vivo di una compagnia teatrale è, nello schermo, una perfetta (in alcuni casi perfettibile) messa scena più volte provata e riprovata, montata, doppiata, corredata da effetti speciali. Nel teatro appaiono chiari i difetti, le incertezze, gli apprezzamenti del pubblico, nel cinema no. Quest’ultimo è il mondo del verosimile, la rappresentazione indiretta e immacolata che ognuno vorrebbe della vita e di sé. Lo psicanalista, allora, non può fa altro che sedersi comodamente in poltrona, guardare e tendere l’orecchio. A differenza del lettino, qui al terapeuta non è richiesto un grande sforzo d’immaginazione. Direttamente proiettato sullo schermo è tutto già elaborato, fantasticato, drammatizzato, reso credibile e desiderabile. E’ una narrazione che, in più, chiede di essere condivisa. Allo spettatore viene chiesto d’identificarsi e, misura del successo della pellicola, riprodurre quei modelli comportamentali, quei determinati modi di vestire e consumare. Insomma un paradiso per i neuroni specchio, come ci fa notare Lingiardi nel suo commento a Bande à part di Godard.
Per questo stesso motivo l’autore non può astenersi dall’associare la visione di Via col vento con la sigla di Porta a porta, solidarizzando con Max Steine, musicista, e padre della colonna sonora. Non può far a meno di notare, d’altro canto, le belle scene di shopping per conquistare un guardaroba da vero piccolo camorrista ne’ La paranza dei bambini.
Lo schermo non è il lato passivo di un rapporto, per Lingiardi lo psicanalista si sente più analizzato che analista. La sua poltrona, per una volta, non è dietro per interpretare ma davanti per partecipare.
Pur consapevole di non essere un critico cinematografico, Lingiardi scrive da tempo una rubrica per il Venerdi di Repubblica dal titolo Psycho, in onore all’immortale regista e alla più caduca psiche umana. Il libro è suddiviso in sei stanze che ripercorrono il proemio dell’Orlando furioso: le Donne, i Cavalier, l’Arme, gli Amori, le Cortesie e l’Audaci imprese.
Cinema e psicanalisi nascono entrambi alla fine dell’ ‘800, ci ricorda l’autore. Nei primordi di quest’arte, gli spettatori erano terrorizzati che una grande locomotiva, che si muoveva sullo schermo, potesse irrompere rovinosamente nella sala. Come accadde a quella del treno espresso proveniente da Granville che, nel 1985 a la Gare de Montparnasse, una volta sfondata la parete della stazione, rimase penzoloni sulla strada. Ora questi ricordi suscitano sorrisi, ma un tempo era così. Il confine con la realtà era più che labile.
Se c’è un regista in cui il rapporto tra cinema e psiche è maggiormente evidente, questi è di sicuro Fellini. In lui il distanziamento della realtà non è mai pura fantasia, l’elaborazione onirica sembra riversarsi direttamente sullo schermo per divenire, come ci ricorda Lingiardi citando il grande regista, una memoria che viene prima della memoria. E qui, per la psicanalisi, si aprono spazi infiniti.
Vittorio Lingiardi
Al cinema con lo psicanalista
Prefazione di Natalia Aspesi
Raffaello Cortina Editore 2020