EXAGERE RIVISTA - Luglio - Agosto - Settembre 2024, n. 7-8-9 anno IX - ISSN 2531-7334

L’infinità del limite è simile al nulla. Ricordo di Remo Bodei.

di Gianfranco Brevetto

 

Questa recensione era nata come un’intervista all’autore. Avevamo scelto il libro di Remo Bodei, Limite, perché il tema era lo stesso del numero di Exagere attualmente online[1]. Contavamo d’incontrarlo, come ogni anno al Festival della Filosofia a Modena, ci avrebbe accolti con il suo sorriso e la sua gentilezza di uomo d’altri tempi. Ma quell’incontro sperato non ha avuto luogo, Bodei era assente per un malore, recitavano le cronache modenesi di quei giorni. Avevamo serbato il progetto nel cassetto sperando in un miglioramento, un segnale, che purtroppo non è arrivato. Oggi la parola limite, associata al nome del professor Bodei, assume un significato diverso ma non definitivo per noi e per quanti lo ammiravano e seguivano le tappe del suo pensiero.

Anzi, nel rileggere oggi questo volumetto, edito da Il Mulino nel 2016, si trovano spunti e riflessioni che, come se ce ne fosse bisogno, ci rendono l’insegnamento di Remo Bodei non solo sempre presente ma, si direbbe, indispensabile.

La citazione di una frase di Simmel, ci dà la dimensione della complessità del tema dei limiti. L’uomo è l’essere confinario che non ha confini, e proprio nel trovarli, per lo più, li supera[2], aggiunge Bodei. La stessa modernità occidentale si è assunta, in proprio, questa ambizione. Il limite, diventa un ossimoro, assume connotati teleologici e, per certi versi visionari. Ma la modernità non ha certamente tenuto fede a questa versione esaltante dell’illimitato. Superati vecchi limiti se ne sono aggiunti altri, basti pensare ai muri, alle visioni ristrette dell’ottica nazionale, all’interpretazione di precetti religiosi. Si aprono nuove e complesse questioni di fronte alle quali occorre ripensare il concetto di limite, vediamo come.

Alcuni limiti fisici, ci dice Bodei , sono apparsi, a lungo invalicabili. I sensi hanno significato per l’uomo, per lungo tempo l’unica possibilità di contatto con l’esterno, con il mondo. Anche se, a confronto con altre specie animali, i nostri ci appaiono molto limitati. Uno però, il tatto, nell’uomo non è solo il toccare, ma ci traduce una serie di informazioni tra le quali, la certezza delle cose. Tutti i sensi posso essere migliorati con l’educazione, ma il tatto e le sensazioni che comunica restano un fatto privato, non comunicabile pienamente, nonostante le capacità linguistiche di alcuni individui. Il tatto produce una sensazione unica per ogni individuo.

Altro spunto ci viene dato dal rapporto tra percezione visiva e immaginazione. L’irresistibile tendenza al desiderio del piacere pone limiti infiniti che solo l’immaginazione può placare. Il godimento all’infinito, infatti leopardianamente è simile al nulla.

Quindi i nostri sensi possono modificarsi e lo può anche il nostro cervello. I miliardi di cellule e di neuroni presenti nel cervello ne fanno un’opera unica per ciascuno di noi, capace di plasmarsi e rendendo ancor più articolata la propria rete neurale in modo da spostare i confini del proprio io.[3]

Le biotecnologie, negli ultimi decenni, hanno messo ancor più in discussione la pretesa immutabilità della natura umana. Con la diffusione degli psicofarmaci e delle droghe sintetiche, ci ricorda Bodei, si è modificato non solo l’umore, ma anche la personalità di chi li assume, specie se ne abusa. Vacilla la percezione della nostra identità.[4]

La morte costituisce il limite per antonomasia, di fronte alla quale sia la scienza che il sacro, il religioso, si sono e stanno variamente interrogandosi.  L’esperienza della morte che noi abbiamo, e che può essere evidentemente solo quella della morte degli altri, rafforza il sentimento dell’incredulità della propria fine. Ma anche le difese psicologiche di fronte all’annullamento sembrano cedere in occasioni di grandi tragedie. La rassegnazione, la tranquillità, la vita ultraterrena sono solo alcune delle risposte che non sembrano più far fronte all’esigenze dell’uomo di oggi. Alcuni scienziati ci dicono che la vecchiaia è curabile, che attraverso l’enzima della telomerasi si potrebbe arrivare a vivere anche più di duecento anni.

Ma questi limiti, quelli fisici, come si diceva, costituiscono solo una parte dei limiti che si offrono quotidianamente all’uomo.  Occorre sviluppare l’attitudine a  riconoscerli e a distinguerli lasciandosi guidare, nello stesso tempo, dall’adeguata conoscenza delle specifiche situazioni, da un ponderato giudizio critico e da un vigile senso di responsabilità [5]. Ma quali sono i limiti di queste scelte? Di fronte a grandi scelte, ci rimane un’unica via perseguibile, quella del possibile. Marco Aurelio ripeteva a sé stesso che, in attesa delle cose ideali, ci deve bastare un miglioramento, anche minimo.

Grazie professore.

Remo Bodei

Limite

Il Mulino, 2016

 

[1] Exagere n. 9-10 settembre- ottobre 2019

[2] Remo Bodei, Limite, Il Mulino, 2016, pag 8

[3] Ibidem, pag. 20

[4] Ididem, pag. 24

[5] Ibidem, pag 121

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