EXAGERE RIVISTA - Luglio - Agosto - Settembre 2024, n. 7-8-9 anno IX - ISSN 2531-7334

L’ininfluenza degli influencer. Veri e finti maestri nell’ultimo saggio di Gustavo Zagrebelsky.

di Luigi Serrapica

 

«Chi insegna, cosa insegna? La verità che si è sicuri di possedere, oppure la ricerca di una verità sempre segnata dal dubbio? Insomma, spirito dogmatico o spirito critico?». Gustavo Zagrebelsky, giurista, già presidente della Corte costituzionale e professore emerito di Diritto costituzionale presso l’Università di Torino, si misura con il tema del ‘magistero’ nel suo ultimo volume uscito per Il Mulino dal titolo Mai più senza maestri.

L’assenza di un sottotitolo, assieme alla potenza di un ‘motto’ all’interno del titolo, sembra indicare qualcosa di perentorio, un’affermazione che non richiede ulteriore puntualizzazione o possibilità di essere contraddetta. Nelle circa 150 pagine di questo saggio significativo c’è, invece,  spazio per il dubbio,  per le molte argomentazioni che vogliono fissare lo sguardo non solo sui luoghi in cui i maestri sono i principali attori – le scuole, o le università – ma anche sulla società, oggi più che mai in cerca di punti fermi da cui partire. Zagrebelsky parla di «figura sociale» a proposito del maestro e del proliferare di sedicenti “maestri”, tutti capaci – a proprio dire – di indicare “la via” (per la saggezza, per la felicità): un vero controsenso, se si considera la reale natura del magister. Secondo il giurista, questa consisterebbe non tanto nel riempire un vaso – secondo una non nuova metafora – quanto nel far scoccare le scintille capaci di incendiare la legna della conoscenza. Per diffondere il sapere bisogna possedere contenuti e metodi, dando modo alle nozioni di circolare secondo un criterio di verità che implica, a sua volta, quello di completezza.

Eppure, nel mondo a noi contemporaneo, sempre alla ricerca di scorciatoie e di tecnicismi, di miti da acclamare e di eroi da idolatrare, i veri maestri sono sempre più merce rara: «Non c’è nessuno che tolleri d’essere ‘normale’», afferma Zagrebelsky aggiungendo che il nostro è un tempo di «omologazione, discriminazione e intolleranza». Gli influencer, vero e proprio prodotto dell’evo internettiano, sono dei “maestri” di vita: e i più bravi di costoro, spiega l’autore, sono quelli che meglio si immedesimano nella moda del momento. Non c’è spazio per la riflessione o per il silenzio (che è la casa dell’atto di riflettere), difficili diventano i rapporti duraturi. Persuasori, nient’altro. Come – si potrebbe dire – i politici del panorama italiano del XXI secolo, tutti immersi nei propri canali social, nelle proprie dirette Facebook e nei post che rispondono ai post che rimandano ad altri post: Mai più senza maestri insiste sul fatto che il linguaggio e la comunicazione pubblica si abbassano sino a diventare più banali, più volgari e più ovvi della media, mobilitando l’omologazione. “I maestri di cui il nostro tempo sembra avere bisogno sono quelli che rassicurano e consolano, non quelli che risvegliano le coscienze”.

E allora, cosa succede ai maestri, ai maestri veri, ai ‘maestri civili’? «Questo tipo di società non ha dunque bisogno di maestri. Sono pateticamente inutili. Vero. Ma noi abbiamo bisogno di questa società?». Abbiamo maestri ‘democratici’, la televisione, i social media, la moda, la comunicazione, abbiamo il democraticismo de “la maggioranza ha sempre ragione”, ma non abbiamo voglia di metterci in discussione veramente. E allora, probabilmente, il problema non è tanto (non è solo) che i maestri di caratura scarseggiano: è che mancano proprio i discepoli, manca chi è in grado di accettare la scintilla proveniente dall’esterno capace di incendiare quella legna figurata della conoscenza. Ma manca anche chi accetta che la legna provenga dal bosco che il maestro indica. Perché se non si dà maestro senza allievo – sembra tautologico – allo stesso tempo non si può essere discenti privi di guida.

C’è una lezione, in questo scritto di Zagrebelsky: occorre umiltà. Il maestro è umile, perché è in grado di ammettere i propri errori, di riconoscerli e di percorrere nuove vie per la conoscenza. È umile perché non considera i propri pre-giudizi come fatti ovvi e incontestabili, ma come limiti da superare per raggiungere una verità, pur sempre parziale, pur sempre in movimento, pur sempre sfuggente come il tempo. Il maestro è un irregolare in cerca di una regola da trasmettere: non per amore della fissità, ma affinché chi viene dopo – il discepolo – possa anche infrangerla o superarla, se questo deve essere. In questo atteggiamento sembra di scorgere il profondo senso del ‘magistero’: insegnare non è educare. Si può educare un comportamento fino a farlo assimilare come automatismo, ma insegnarlo – e dare gli strumenti per comprenderlo – è la vera arte del maestro.

Ecco, allora, la risposta al quesito di apertura: insegnare il dubbio, insegnare la ricerca, insegnare la cultura. Insegnare a guardare oltre noi stessi, in nome del futuro dell’umanità. Perché «la cultura presuppone fiducia nel futuro e muore quando si dispera di futuro».

 

Gustavo Zagrebelsky

Mai più senza maestri

Il Mulino, 2019

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