EXAGERE RIVISTA - Ottobre - Novembre - Dicembre 2024, n. 10-11-12 anno IX - ISSN 2531-7334

L’ombra lunga delle First Ladies . A colloquio con Dario Salvatori

di Giulia Pratelli

La figura della First Lady degli Stati Uniti d’America è comunemente  oggetto di grandissima curiosità, a volte al limite dell’ossessione e del voyeurismo (con  le conseguenze negative che attenzioni simili possono avere sulla vita personale e familiare). Da tempo, inoltre, la First Lady non è più una mera ombra del Presidente: possiede un ufficio alla Casa Bianca e uno staff personale. La sua immagine viene spesso legata a campagne di opinione scelte con puntuale attenzione. Sono donne che dovranno sostenere le candidature dei propri compagni ma anche sopportare il peso degli errori di questi ultimi, soprattutto nei confronti  dell’opinione pubblica.

First Lady. Donne che hanno influenzato la politica, lo stile e il pensiero della nazione più potente del mondo (Oltre Edizioni, 2021) è un dietro le quinte che, facendo luce su vicende e dettagli che altrimenti rimarrebbero dimenticati o semplicemente appannaggio dei più esperti e informati, ci aiuta ad osservare  l’evoluzione dell’altra faccia della medaglia delle carriere presidenziali statunitensi .

Ne abbiamo discusso con l’autore Dario Salvatori, noto giornalista, critico musicale, insegnante, conduttore radiofonico e scrittore, oltreché responsabile artistico del patrimonio sonoro della Rai.

– Ad un’analisi superficiale si potrebbe pensare che le compagne dei presidenti americane si siano ritagliate nel tempo un ruolo, uno spazio e un’ autorità, diventando progressivamente parte attiva della presidenza e non più semplici ombre dei mariti. In realtà, leggendo il suo libro, si scopre che già Martha Washington ebbe una fondamentale importanza e fu molto amata dalla popolazione. Come si è evoluta realmente la figura della First Lady?

– La figura si è evoluta seguendo almeno due o tre rivoli diversi. Il principale è quello che deriva da una figura femminile di affiancamento che in altri paesi, tantomeno nelle monarchie, non c’era.

Dalla fine del Settecento, fino a tutta la metà dell’Ottocento, gran parte dei Presidenti provenivano da Stati come Virginia e Ohio, in cui, l’unione di due famiglie importanti, era un modo per creare privilegi e aumentare la capacità economica sommando estensioni territoriali e  numero di schiavi. Nel tempo la figura è poi cambiata e si è evoluta somigliando, sempre più, a quella che conosciamo oggi: in particolar modo nel ‘900 si è passati dal semplice affiancamento alla vera e propria collaborazione.

– Come mai, nonostante l’impegno molto attivo e la grande esposizione mediatica delle donne, sia durante la campagna elettorale che una volta diventate First Ladies, nell’opinione pubblica americana, l’ambizione e la possibilità di ricoprire tali ruoli di potere da parte di donne, siano associate a qualcosa di anormale, ad un’errore, un imbroglio?

– Le serie americane hanno sempre teso a privilegiare aspetti di gossip, gli intrighi di natura sessuale, soprattutto con riferimento agli ultimi Presidenti. Se fossero state fatte con intento meno commerciale e più rivolto all’approfondimento, probabilmente avrebbero toccato anche altre epoche e raccontato altre vicende. Fa eccezione il caso di Lincoln, affrontato ampiamente dal cinema e dalla televisione.

L’impegno attivo e l’esposizione mediatica delle mogli dei futuri presidenti, sono aspetti maturati soprattutto nel ‘900,  momento in cui i mezzi di stampa e comunicazione sono diventati centrali anche durante le campagne elettorali. Possiamo ricordare, come esempio tra i tanti, l’impegno di Mamie Eisenhower che, per sostenere l’elezione del marito (divenuto Presidente nel 1953, ndr) collaborò all’ organizzazione di un treno che attraversava ben 12 stati e su cui viaggiavano anche le supporter del candidato presidente. Potremmo fare molti altri esempi, fino alle cose più sofisticate raggiunte con la presidenza Obama con l’utilizzo del web. Non a caso è stato il primo Presidente ad annunciare l’elezione tramite la rete.

– Tra tutte le figure che ha analizzato, se dovesse sceglierne una da indicare come la più influente, la più determinante, quale sceglierebbe?

– Dirò una cosa banale ma credo che tutte le simpatie vadano a Jacqueline Kennedy: la prima First Lady “moderna”, se così si può dire. Dotata di straordinaria bellezza, intelligenza,  di grande fascino e donna di grande cultura, è stata capace di portare alla Casa Bianca un “french touch” fino ad allora mai visto. Storicamente le First Ladies e i Presidenti si erano ispirati all’iconografia delle corti europee, lei scelse, invece, di introdurre elementi totalmente nuovi, dedicandosi personalmente all’arredamento e chiamando a Washington cuochi francesi. Tutto questo a fianco del primo Presidente cattolico, segnando quindi una doppia rivoluzione. Nonostante sia stata una Presidenza breve, di soli due anni, penso abbia lasciato un grande segno, soprattutto dal punto di vista dello stile.

– Se dovessimo fare un paragone con ciò che è avvenuto nel nostro Paese, è possibile, secondo lei, riuscire a tracciare in qualche modo una storia, un’evoluzione, della figura delle First Ladies italiane?

– Tempo fa ho provato a ripercorrere con un collega le varie figure, andando a ricercare i primi Presidenti della Repubblica Italiana, da De Nicola fino a Einaudi e abbiamo rintracciato situazioni particolari: qualcuno era vedovo, qualcuno addirittura si fece accompagnare dalla nipote. Inoltre si usava chiamarle “Donna” come Donna Carla, moglie di Gronchi, o Donna Vittoria, moglie di Leone, che sembra un appellativo davvero poco adatto al ruolo. Queste figure, inoltre, apparivano  in occasioni legate alla beneficienza, alla consegna dei pacchi di Natale, con funzioni decisamente secondarie. Forse ci stiamo avvicinando a un modello diverso ma fondamentalmente non ci vengono a mente First Ladies italiane che abbiano preso posizioni particolari, se non la moglie di Ciampi, che si pronunciò contro la televisione. Ma anche  la moglie di Pertini, che si rifiutò di spostarsi al Quirinale dall’abitazione a Fontana di Trevi, dando un segno di rigore personale e familiare (mise in forte agitazione i servizi segreti, che dovettero riorganizzare la sorveglianza in uno spazio principalmente turistico).

– L’ultima elezione americana ha designato un quadro completamente nuovo:  Jill Biden ha annunciato che non smetterà di insegnare, nonostante il nuovo ruolo di First Lady. Il marito di Kamala Harris (la prima donna eletta vicepresidente) ha invece rassegnato le dimissioni dallo studio legale in cui lavorava per poter affiancare la moglie, diventando in un certo senso il primo First Gentleman. È un cambiamento che riguarderà anche il futuro? 

– Il cambio di rotta avverrà soprattutto perché, probabilmente, l’attuale Vicepresidente diventerà la prima donna Presidente degli Stati Uniti, per tanti motivi, oltre all’età avanzata di Biden: Kamala Harris ha i numeri le capacità, a mio avviso, per sostenere quel ruolo.

Il grande interesse per questa nuova First Lady riguarda sì, il fatto che continui a lavorare, anche se secondo me, a loro modo, tutte hanno lavorato. E’ però un caso particolare ,  siamo di fronte a una signora di settant’anni che non sembra disposta a mollare il posto di lavoro, pur non essendo una semplice insegnante con un guadagno ridotto e non ha bisogno di strappare la pensione. Un altro aspetto che mi ha incuriosito molto è il fatto che si tratti della prima First Lady italo-americana. Non si è pronunciata su altre questioni, non ha fatto annunci relativi agli aspetti di cui intende interessarsi più da vicino: sembrerebbe essere una First Lady da passo indietro, se così si può dire.

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Dario Salvatori 

First Lady. Donne che hanno influenzato la politica,

lo stile e il pensiero della nazione più potente del mondo

Oltre Edizioni, 2021

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