EXAGERE RIVISTA - Ottobre - Novembre - Dicembre 2024, n. 10-11-12 anno IX - ISSN 2531-7334

Trasformare i muri di odio e di paura in un momento di riflessione. Intervista a Francesca Maria Corrao

di Federica Biolzi

Francesca Maria Corrao è, attualmente, professore Ordinario di Lingua e Cultura Araba e dirige il Master MISLAM (Economia e Istituzioni dei Paesi Arabi, presso l’Università Luiss Guido Carli di Roma. Un punto di riferimento ed un osservatore privilegiato al quale abbiamo chiesto di aiutarci a comprendere meglio le difficoltà e le divisioni, vere e presunte, che ci separano dal mondo Arabo in generale.

– Gentilissima Professoressa, sarebbe per noi interessante, approfittando del tema di questo numero della rivista, chiederle della persistenza dei muri culturali verso chi è diverso da noi, anche linguisticamente, e come si possono superare.

– Io inizierei quest’intervista con un proverbio orientale che racconta:

Una rana viveva in fondo a un pozzo da dove non era mai uscita. Un giorno una tartaruga di passaggio guardò nel pozzo e la rana la invita ad entrare; ma la tartaruga rimane incastrata in una delle pietre e non riesce a scendere e inizia a raccontare alla rana della vastità del mare suggerendo alla rana di unirsi a lei ed andare nel ben più vasto oceano. La rana non riusciva a capire come poteva essere possibile che ci fossero posti migliori del suo e così si offese e rimase dov’era. La storia è narrata per ammonire chi è chiuso e di vedute ristrette non aperto a nuove idee.

La rana, evidentemente, si arrabbia perché non ha il coraggio di uscire dal fosso in cui si trova.

– Molto bella e significativa. La rana non fa una bella figura…

– Sì, un muro è anche una causa di grande sofferenza, anche se superarlo può trasformarsi in un’opportunità. Ma con il clima di ostilità che vi si delinea intorno, che diventa ed è difesa e barriera, è difficile immaginare che al di là dei nostri limiti auto-imposti ci sono infinite possibilità.

Il problema della comunità internazionale è proprio quello di come trasformare questi muri di odio e di paura in un momento di riflessione. Dobbiamo capire che in realtà non esistono i muri perché non esistono comunità o realtà geopolitiche separate le une dalle altre e quindi si tratta di un’illusione per chi lo costruisce e per chi si vuole difendere.

Chi ha paura si ripiega su se stesso, e non si rende conto che la chiusura è un lento suicidio. Si uccide così la propria dignità di essere umano, la capacità di essere empatici e di crescere come persona che sa confrontarsi con gli altri. Pensiamo alle piantagioni dove sono stati selezionati e debellati i diversi insetti che davano fastidio, la conseguenza è stata che questi alberi ora sono morti. Questa metafora vale per quelle comunità che si rifiutano d’incontrare gli altri, e si illudono – in un mondo globalizzato – di poter vivere nell’isolamento.

– Come possiamo venirne fuori?

– Gli spiragli ci sono e, molto spesso, ci aiutano a trovarli i terzi, coloro che ne stanno fuori. Dall’estrno è più facile individuare quali siano i problemi e trovare strategie e soluzioni.

Prendiamo ad esempio il muro di Berlino, è caduto per il coraggio di Michail Gorbaciov e grazie alle proteste pacifiche dei cittadini. I muri cadono quando la società nel suo insieme cresce.

La cultura e la civiltà araba si sono formate in ambiti geografici molti vicini a noi (ad esempio il Mediterraneo), ma in fondo perché risultano così distanti?

– Per quanto riguarda il bacino del Mediterraneo, abbiamo avuto fasi in cui si era intrapreso un cammino virtuoso, ad esempio firmando gli Accordi di Barcellona che prevedevano un intensificarsi della collaborazione economica e culturale tra i paesi della sponda a Nord e a Sud del Mediterraneo. Da allora si era assistito a numerosi scambi tra docenti, artisti, intellettuali e quindi sembrava possibile un ulteriore sviluppo che avrebbe portato ad un progresso e una maggiore integrazione tra le due sponde del Mediterraneo. Contro questo tipo di politica di apertura si sono mobilitati gruppi di potere oscurantisti che hanno ostacolato le politiche progressiste; alcuni sono arrivati a sostenere le azioni di Bin Laden, perché contrari ad un cambiamento politico in senso democratico.

Il problema è all’interno dei singolo Paesi. Vi sono quelli che sono favorevoli ad una modernità e ad una occidentalizzazione e altri che sono più conservatori e sono più restii ad accoglierne le istanze. Altri ancora, invece, intendono restare arroccati in una concezione della società di tipo clanico-medievale. Ovviamente sono delle forze di minoranza all’interno di Stati conservatori che, però, hanno accesso a solide risorse economiche e a strumenti di tecnologia molto avanzati. Noi dobbiamo migliorare e intensificare i rapporti con le persone di buona volontà, musulmani credenti, secolari, liberali, democratici, socialisti, proprio perché ci sono diverse connotazioni politiche nell’ambito della comunità islamica: dobbiamo appunto rinsaldare tali rapporti se vogliamo contrastare questo oscurantismo.

Occorre, però, aggiungere che la creazione di un muro non riguarda soltanto il Medio Oriente.

– In questo quadro, qual è il ruolo giocato dalla lingua e dalla religione?

– La lingua araba è considerata la lingua sacra ma ciò non toglie che l’islam si sia diffuso tra popoli che parlano turco, persiano, urdu, eccetera. Vorrei ricordare che l’unione linguistica araba è stata favorita dopo la liberazione dei paesi arabi dal giogo coloniale e che la diffusione è avvenuta nelle scuole nazionali e anche grazie alla radio e alla televisione; ma in generale i musulmani nel mondo parlano altre lingue. La religione serve ad aiutare gli esseri umani a dare delle risposte sul senso della vita e della sofferenza, a superare le sofferenze di nascita, crescita, malattia e morte. Quando la religione viene utilizzata in modo ideologico diventa un pericoloso strumento politico e questo è un problema. Sull’altra sponda del Mediterraneo musulmani, cristiani ed ebrei hanno vissuto insieme per secoli sia sotto i califfati arabi di Damasco e poi di Bagdad ed in seguito con i turchi ottomani, senza che si siano mai verificati fenomeni di persecuzioni di massa come invece è avvenuto al tempo della reconquista e con l’Olocausto.

Dopo la cacciata dalla Spagna, al tempo della reconquista, gli ebrei si sono rifugiati in nord Africa, dove sono stati ben integrati. Non dimentichiamo che molti porti europei non accoglievano gli ebrei in fuga dalle persecuzioni naziste.

Sarebbe molto utile ripassare la storia, soprattutto quella altrui. I manuali di storia, spesso, narrano nel dettaglio fatti relativi ai singoli Stati e perdono di vista le connessioni, si limitano ad esaltare alcuni momenti “fondanti”. Un evento, quando è decontestualizzato, assume aspetti idilliaci ma, nel complesso, riproduce una visione parziale. Un’immagine distorta del passato si presta alla manipolazione e alimenta l’illusione che in quella storia si possano trovare le risposte utili per risolvere i problemi del presente.

– Come sta accedendo in Europa.

– In Europa i sovranisti esaltano il passato idilliaco, mentre i conservatori nel mondo islamico proibiscono la letteratura delle civiltà più antiche poiché la considerano pericolosa perché contaminata da un pensiero pagano – e per ragioni simili imprigionano i traduttori di un certo pensiero occidentale moderno, che oggi preoccupa quanto nel Medioevo spaventava Aristotele: lo si censurava su entrambe le sponde. Da due secoli in molti paesi arabi queste barriere sono cadute, si parla della cultura greco-latina al Cairo e delle origini giudaico-cristiane in Europa, cercando di cancellare rapidamente anni di vessazioni e ingiustizie. Da noi però si fa fatica a ricordare l’importante contributo dato dall’Islam. Eppure basterebbe poco per ricordare gli aspetti positivi che, le civiltà nate dai tre monoteismi, seppero realizzare collaborando insieme. Ad oggi è comunque un tabù perché riaprirebbe la porta ad antiche polemiche sul contributo dato all’umanesimo italiano dai traduttori ebrei e musulmani prima della reconquista.

– Che cosa potremmo fare noi oggi per riprendere questo dialogo?

– Dovremmo creare i presupposti per un dialogo su questi temi, perché laddove l’essere umano non riesce a vedere l’ovvio, è necessario studiare e maturare per andare oltre le proprie certezze, non restare fermi a questa è la mia storia e la tua non esiste, è come se fossimo tornati indietro al tempo di Caino ed Abele, senza pietà.

Per esempio, in Italia si parla tanto di velo islamico e non si dibatte abbastanza sul problema del femminicidio, e a mio avviso ciò manifesta un grave imbarbarimento che va frenato.

Passata l’ondata del pacifismo gandhiano, del positivismo del 68, dei figli dei fiori, assistiamo ad una nuova ondata nera di violenza, di cattiveria politica. Le logiche di Viktor Orban non sono diverse da quelle di Donald Trump, indipendentemente dalla religione o dalla lingua utilizzata, queste politiche sono accomunate da un odio insensato.

La cattiveria, senza un controllo, si trasforma in fobia. Riflettere e fare riflettere, questo è il nostro compito, così come lo è il non farsi spaventare né intimidire da chi alza la voce.

È per questo che coloro che pensano che i muri siano sbagliati devono provare a convincere gli altri. Gandhi, per esempio, diceva qualcosa come “Io non posso convincere tutti, a me basta convincere una persona”.

Se ognuno di noi si prendesse questa responsabilità allora ci sarebbe speranza. Io da sola non cambio niente. Ma se io cambio l’opinione di una persona, questa persona lo farà a sua volta e via dicendo, è solo così che possiamo diventare un’onda.

– Uno dei temi maggiori di questa difficoltà è anche il ruolo della donna (nonostante i relativi progressi che si evidenziano in alcuni paesi). Qual è la situazione attuale? Quale emancipazione e quali diritti?

– Per Il problema delle donne vale lo stesso discorso delle grandi conquiste, ci si sta rimangiando tutto. A Oriente come ad Occidente si assiste ad una nuova ondata di misoginia. Se si pensa che in Spagna, i franchisti hanno osato chiedere di eliminare la legge che vieta ai mariti di picchiare le mogli. La donna essendo più debole, e con un pensiero ed una modalità relazionale diversa (meno violenta e meno aggressiva) tendenzialmente non è portata allo scontro, ma piuttosto al dialogo, vive in modo alternativo a chi agisce con violenza. In linea di principio, noi donne abbiamo maggiore empatia, perché siamo mamme, ci occupiamo degli anziani, perché facciamo naturalmente da tramite tra le generazioni, tra caratteri e generi diversi. Quindi siamo esattamente il contrario di quello che sta prevalendo adesso.

Quando io sono andata a vivere in Egitto nel 1976, non vi era una donna che indossava il velo, io uscivo con le mie amiche egiziane, andavo al bar tranquillamente ed ero felicissima, avevo una libertà di movimento che non avevo in Italia. Quando invece ha iniziato a prevalere il terrorismo con la morte di Muhammad Anwar al-Sadat, quando si è diffusa l’idea della necessità di proteggere le donne e di reintrodurre il velo per le donne che volevano andare a lavorare e a studiare. Non dimentichiamo che nel mondo arabo la storia dell’emancipazione è iniziata già a fine ‘800 con i libri di uomini che peroravano la necessità dell’emancipazione e dell’educazione delle donne. La prima donna che in Egitto si è tolta il velo è stata Huda Shaarawi nel 1922. Dal Novecento ci sono state altre donne che hanno tolto il velo, che hanno deciso di andare all’università, di andare a lavorare, e di avere diritto al voto; anche lì si è trattato di una lotta contro la mentalità patriarcale. Una famosa sociologa libanese, Fahmia Sharaf al-Din, ha condotto uno studio in cui dimostrava che in Medio Oriente, l’ingiustizia nei confronti delle donne non è un problema dei musulmani, ma è anche dei cristiani, degli ebrei, di sunniti, sciiti… È insomma un problema di mentalità patriarcale che non vuole riconoscere pari dignità alle donne. Nel mondo arabo le donne non vogliono che l’Occidente imponga loro la modalità di emanciparsi, e del resto hanno il diritto a trovare i loro modi per farlo, stabilendo un dialogo. In Marocco, come in Algeria e in Tunisia, molte donne si sono emancipate a seguito del clima di libertà che si affermò negli anni Cinquanta e Sessanta con la liberazione dal colonialismo; lì però coesistono forze conservatrici con forze innovatrici. Il problema si sposta quindi sui diritti: il diritto a lavorare, il diritto ad avere il divorzio, il diritto a poter viaggiare senza dover avere per forza il consenso del marito o del padre, il diritto ad avere un assegno dopo il divorzio… problemi seri, economici, differenze di trattamento nell’assegnazione dell’eredità paterna, delle donne ancora sotto la tutela del padre e del marito. Problemi questi che vanno oltre il velo e che sono legati anche al ritorno di una mentalità maschilista e patriarcale, che fa parte di un’onda generale ed è speculare.

– Quindi l’inferiorità della donna non è un fatto solo religioso ma diviene culturale?

– È una questione culturale, infatti per esempio ci sono i movimenti delle femministe islamiche che lavorano sulla rilettura dei testi sacri e stanno svelando come questi siano stati letti in modo da favorire il potere maschile. Nel Corano c’è scritto che l’uomo è uguale alla donna. Ad esempio entrambi Adamo ed Eva sono considerati responsabili di aver peccato, non la sola donna. Laddove nel Corano si dice che la donna è più debole dell’uomo e che l’uomo la deve proteggere, s’intende piuttosto la fragilità di una futura madre, non si legittima di certo l’uomo alla violenza domestica perpetrata perché ella non condivide lo stesso pensiero. Fahmia Sharaf al-Din, nel suo studio, dimostra che questo non è un problema del Corano, perché la violenza sulle donne la esercitano anche i cristiani; serve ricordare che nel mondo islamico non si è verificato il fenomeno della persecuzione delle streghe. Gli uomini lo fanno perché si sentono minacciati da un pensiero diverso, mentre invece è fondamentale trovare il modo di interagire.

– Se pensiamo anche ai rapporti culturali e commerciali i contatti tra l’Europa, il nostro paese in particolare e i paesi arabi è sempre stato fecondo? Dove questi rapporti si sono interrotti?

– Da un punto di vista storico vi sono sempre stati importanti e fecondi rapporti sia culturali che commerciali tra Nord e Sud nei diversi settori ed ambiti di studio e di ricerca (medicina moderna, chimica, archeologica, astrologica, fisica, geografia). Questi scambi culturali ci hanno fatto ritrovare Aristotele, i numeri arabi; i commerci tra le repubbliche marinare e i paesi arabi-turchi e ottomani. Gli scambi sono sempre stati proficui: personaggi come Federico II che si è trovato ad essere incoronato a Gerusalemme senza fare la Guerra oppure San Francesco che è andato ad Alessandria ad incontrare il re d’Egitto. In tempi più recenti Eiffel ha costruito un ponte al Cairo, Verdi ha scritto l’Aida per il re d’Egitto. L’università del Cairo ha avuto degli italiani tra i primi insegnanti di storia dell’Islam. Colleghi arabi insegnano in Francia, in Inghilterra e Germania e molti sono venuti in Italia ad insegnare da noi nelle nostre università italiane come Napoli, Venezia.

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