EXAGERE RIVISTA - Gennaio-Febbraio 2024, n. 1-2 anno IX - ISSN 2531-7334

Mondi intermedi e vincoli dell’immaginario. Intervista a Alfonso Maurizio Iacono

di Gianfranco Brevetto

L’utilizzo della tesi dei mondi intermedi nel campo della riabilitazione neurocognitiva sta facendo passi in avanti anche grazie all’apporto di filosofi come Alfonso Maurizio Iacono. Sull’argomento gli abbiamo posto qualche domanda nel corso di Sophia – Filosofia in Festa 2021.

– Nel suo intervento lei si è soffermato sui cosiddetti mondi intermedi , in particolare si è riferito al gioco dei bambini  come imitazione. Perché è un argomento così importante?

– Come ha detto un mio caro allievo, Luca Mori che lavora molto sul rapporto tra bambini e gioco, capire il gioco e capire i bambini significa comprendere il perché siamo diventati quello che siamo. Penso che noi viviamo in mondi intermedi. Ne prevalere sempre uno sugli altri, a rotazione, a seconda delle attività, degli scopi, dei contesti e delle cornici. Questa idea ha le sue fonti in William James e nel sociologo Alfred Schütz, autore di Sulle realtà multiple, ma ne dò un’interpretazione un po’ diversa.  Ritengo che noi viviamo effettivamente in realtà multiple e la cosa mi sembrava significativa a due livelli: il primo è quello proprio del gioco dei bambini, il secondo è il campo della riabilitazione neurocognitiva, in particolare quella legata al metodo di Carlo Perfetti. Il terapista e il paziente devono costruire un mondo intermedio che sarà comparato col mondo precedente, mondo in cui il paziente era sano e rispetto acui egli, insieme a terapista deve operare un confronto fra azioni. Questo impegno nasce, come ho già detto, dai miei legami con la scuola di Carlo Perfetti che è stato un grandissimo innovatore in questo campo e con il quale abbiamo fatto tante cose insieme. Con lui abbiamo discusso di mondi intermedi, di metafore, tutti elementi che, nel campo della riabilitazione, prima di Perfetti sembravano argomenti lunari.

Quello del gioco è un argomento che ci conduce anche alle problematiche della mimesis, al vivere come se….

Noi siamo essere metaforici, cioè non abbiamo un approccio diretto né al mondo né alla natura, anzi possiamo affermare che non vi è corrispondenza tra i modi di conoscere e le realtà che conosciamo. Molti filosofi contemporanei, per quanto diversi fra loro e indipendentemente l’uno dall’altro, da Heidegger a Wittgenstein che, hanno l’idea della non corrispondenza. Vi è poi il fatto che, preso atto della non corrispondenza, ho cercato di comprendere quali siano i vincoli entro i quali ciascuno conosce e opera. Avevo molto  discusso di queste cose con il mio maestro Aldo Giorgio Gargani, col quale abbiamo scritto anche alcune cose insieme. Allora quali sono i vincoli? Io cerco di distinguere tra imitazione e copia e pongo il problema della differenza: noi non creiamo dal nulla, creiamo da un qualcosa. Se il come se ha a che fare con l’immaginario, dobbiamo capire però quali sono i vincoli di questa nostra facoltà creativa. Il come se, il fare finta, lo interpreto proprio nei termini del dare forma, del dare figura, che i termini contenuti nel significato della parola fingere. In proposito, una delle cose alla quale mi sto interessando, in campo cognitivo e filosofico, è il non finito. Gli sforzi di Leonardo, Michelangelo, poi degli impressionisti, di Rodin e ancora di Medardo Rosso, sono tentativi di comprendere e rappresentare il processo di passaggio dalla materia alla forma, come processo in sé, come un confine che si estende e non delimita. Un confine deve essere osmotico, linea di unità e non di separazione, Sono interessato a capire quali vincoli abbia l’immaginario. Noi non siamo dèi, non creiamo dal nulla e dunque anche l’immaginario è in qualche modo vincolato, in vari modi, ai limiti del mondo. Perfino quando noi immaginiamo un cavallo alato (l’essere immaginario a cui hanno fatto riferimento Descartes, Spinoza e James),  abbiamo bisogno di avere il concetto di cavallo e il concetto di ali. L’immaginario, per quanto creativo, si costruisce sempre a  partire da qualcosa che già esiste.

Dalla mimesis  ci spostiamo al teatro, all’attore: non c’è il rischio, in verità, che si viva sempre come un impostore?

– Si tratta di qualcosa di piuttosto complesso e deriva probabilmente dal fatto che oggi questo problema si pone in modo più forte che in passato, nel senso che viviamo in un’epoca di iperindividualismo. Mi riferivo all’immaginario e ai suoi vincoli per cercare di rispondere alle condizioni odierne, dove l’aspetto mimetico, senza vincoli, rischia di essere l’autoreferenziale, cioè di riflettere sé stesso senza riferimento alcuno all’altro a all’altrove. E’ tipico della nostra epoca: Fredric Jameson ha caratterizzato questa condizione come un pastiche. Cézanne il quale modifica in modo rivoluzionario il rapporto tra rappresentazione e mondo, tra osservatore e cosa osservata, pur arrivando all’estremo limite del rapporto tra linguaggio (pittorico) e mondo,  non perde mai il referente e questo per me è decisivo: anche se non vi è corrispondenza tra linguaggio e mondo, ciò non toglie che il primo è determinato creativamente dai vincoli e il secondo non si annulla mai in quanto referente del primo. E’ in fondo quello che scriveva Italo Calvino nelle Lezioni americane: il linguaggio toglie sempre e aggiunge sempre qualcosa al mondo che vuole descrivere e di cui intende parlare.

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