EXAGERE RIVISTA - Ottobre - Novembre - Dicembre 2024, n. 10-11-12 anno IX - ISSN 2531-7334

Narciso: un bambino che nessuno ha mai guardato. Intervista a Alfredo Verde

di Federica Biolzi

 

Alfredo Verde, psicologo e psicoterapeuta, è professore ordinario di Criminologia all’Università di Genova e Presidente del Master Universitario di II livello in “Criminologia e Scienze Psicoforensi. Il professor Verde si occupa, tra l’altro, di criminologia narrativa, criminologia clinica e psicologia forense in un’ottica psicosociologica.

Professor Verde, si parla sempre molto di narcisismo, si direbbe un tema di stretta attualità. Vorremmo che lei ci aiutasse a districarci in un tema così complesso e diversamente trattato. Ad oggi, qual è lo stato dell’arte?

Occorre partire da Freud, da un suo scritto del 1914, l’Introduzione al narcisismo. Freud ci dice che, prima di volgersi verso il mondo degli altri, il soggetto si costituisce a partire da un amare sé stesso in modo totalmente indifferenziato. Questo concetto di narcisismo primario ha a che fare con quello che lui chiamava sentimento oceanico, cioè l’idea di essere in contatto con una situazione di fusione con il mondo. Un allievo di Freud, Sándor Ferenczi, parla addirittura di ontogenesi che ricapitola la filogenesi, quindi praticamente vi è una fase in cui il feto vive con i nostri progenitori in un mare e poi emerge da questo mare con la nascita: una vera e propria fusione tra l’io ed il mondo. Da questa poi si differenzia il soggetto che inizia a rappresentare il mondo, che è il mondo degli oggetti d’amore; ma quando il soggetto viene abbandonato e deve separarsi da un oggetto d’amore si trova costretto a ripiegare su sé stesso e, quindi, ama sé stesso. Freud fa il paragone dell’ameba, che ritira su di sé un po’ di protoplasma che ha lanciato in avanti per esplorare il mondo, si ritrae in sé stessa e si riappropria dell’investimento iniziale portandolo nell’io. Questo è il narcisismo secondario, dice Freud, per distinguerlo dal quello primario, oceanico.

Nell’evoluzione della storia della psicoanalisi, nel corso del tempo, ci sono state una serie di modifiche al tema. Ma l’idea fondamentale è che il narcisismo rappresenta l’immaturità, perché riproduce uno stato iniziale, dal quale si parte per arrivare ad investire il mondo, quindi sugli affetti, la mamma, il papà, i fratelli e poi, nella vita successiva, da adulti, sui partner, sulle persone con cui si è in relazione a vario titolo. In questo senso, secondo Freud il narcisista è un immaturo. Anche il ritiro narcisistico su sé stessi, quindi il narcisismo secondario, deriva da una perdita, un curarsi le ferite: dal momento in cui io sono stato abbandonato o ho abbandonato l’altro, investo su me stesso come gli anticorpi accorrono intorno ad una ferita per risanarla.

Poi questo concetto si è sviluppato nel corso delle vicende delle teorie psiconalitiche..

Sì, tutto questo è stato messo in crisi quando è finita la concezione psicoanalitica della psicologia dell’io, alla fine degli anni 60, da un grande teorico, Heinz Kohut che ha parlato di forme mature ed immature di narcisismo. Il narcisismo maturo è quello della persona che si pone delle mete, degli scopi ed ha una base e quindi si piace e si apprezza mentre persegue e porta a compimento i suoi ideali. Invece, il narcisismo immaturo è quello di chi, avendo avuto delle carenze nelle fasi iniziali, passa la vita a ricercare qualcosa che avrebbe dovuto costituirlo all’inizio ma poi gli è mancata nella relazione con gli oggetti primari. Kohut individua due strutture narcisistiche immature, il sé grandioso e l’imago parentale idealizzata. Paragona il sé grandioso al riflesso della grandiosità del bambino negli occhi della madre, quando il bambino si pavoneggia se fa una bella cosa, guarda la mamma e lei gli sorride, e a lei brillano gli occhi.

L’ imago parentale idealizzata viene invece ricondotta al padre, una persona molto importante per il bambino, che  questi ammira desiderando di diventare come lui.

In base a questa polarità, quando questi momenti vengono ben elaborati con degli oggetti esterni che accettano questi aspetti e riflettono al bambino il senso della sua importanza, il narcisismo arcaico diventa un narcisismo maturo ed il soggetto è in grado di funzionare.

Invece quando possono emergere dei problemi?

Quando, ad esempio, nel caso del sé grandioso, il soggetto cercherà sempre l’ammirazione degli altri,  da qui il narcisista propriamente detto: il narcisista è in realtà soltanto una persona che, secondo Kohut, ha fallito un compito evolutivo. La terapia, sempre secondo Kohut, è quella di accettare di rispecchiare il soggetto e la sua onnipotenza, permettendogli così di integrare al meglio le strutture arcaiche.

Kohut distingue due tipi di disturbo narcisistico legati a forme di narcisismo immaturo: il disturbo narcisistico della personalità ed il disturbo narcisistico del comportamento.

Il disturbo narcisistico del comportamento è più immaturo del disturbo di narcisismo della personalità. Nel primo Kohut colloca le tossicodipendenze e l’antisocialità. Donald Winnicott, che afronta in altro modo le stesse problematiche, sostiene che, se il soggetto non viene rispecchiato sufficientemente dalla madre, perde la possibilità di sentirsi riconosciuto e sviluppa una grande rabbia nei confronti della stessa. Questa non c’è quando lui si aspetta che lei ci sia e, quindi, lo espone ad un trauma precoce, primordiale, per cui lui si riprende con la forza, tramite il comportamento, quello che non ha, molto spesso rappresentato dal denaro: in questo caso può diventare un ladro, oppure può commettere atti aggressivi e violenti per la rabbia connessa al sentimento di deprivazione di un qualcosa che lui pensa gli spetti di diritto.

Ma quindi il soggetto narcisista può definirsi un soggetto debole?

Di fronte all’attualità, occorrerebbe iniziare una riflessione su questi soggetti che mostrano in modo evidente all’inizio del terzo millennio, il problema della debolezza della mascolinità: una debolezza che c’è sempre stata, ma che un tempo veniva controbilanciata dal potere assegnato dalla cultura e dalla società alla dimensione maschile. Questo potere attualmente non viene più riconosciuto, e le violenze sessuali spesso derivano dalla necessità di riaffermare reattivamente tale potere.

Nel femminicidio, ad esempio, il partner maschile non tollera la separazione e, uccidendo la donna, s’illude di portarla, per sempre, dentro di lui, secondo questa massima: “Tu sarai sempre la donna più importante, sei talmente importante per me che ti uccido, così anche io divento importante per te”.

In queste forme di non maturazione, le teorie ritrovano la matrice di una serie di comportamenti aggressivi e violenti, che vanno dai delitti contro la persona ai delitti contro la proprietà.

Nel caso delle madri che uccidono i figli, vi sono meccanismi similari?

Direi in parte, perché c’è anche il movente della vendetta nei confronti dell’uomo che le ha abbandonate, entra in gioco il Medea-like infanticide.

In questi casi, quindi ci sono degli evidenti legami con  la scienza forense.

Il panorama che riguarda l’imputabilità è caratterizzato dalla sentenza delle sezioni Unite della Cassazione del 2005, cosiddetta sentenza Raso[1]. Essa ha dato nuovi criteri al fine della valutazione del vizio di mente. E questo non soltanto nel caso dei disturbi psichiatrici maggiori: depressione, schizofrenia, psicosi miste, ma anche nel caso dei disturbi di personalità, tra cui soprattutto il disturbo borderline.

Il disturbo narcisistico, per come è inquadrato nei manuali di psichiatria, rappresenta in realtà soltanto uno degli estremi del narcisismo.

Interessante, ma in che senso?

Vi è un altro grande teorico del narcisismo dopo Kohut e che si contrappone a lui, Otto Kernberg. Questo autore parla di una sorta di classificazione dell’organizzazione narcisistica della personalità da condizioni di minore gravità a condizioni di maggiori gravità, fino ad arrivare all’estremo inferiore del continuum dove è situato il disturbo antisociale di personalità.

Kernberg lo definisce tale, ma in realtà si tratta del concetto psichiatrico e criminologico di psicopatia, cioè l’assenza di empatia nei confronti della vittima. Quindi un disturbo emozionale, che produce e legittima comportamenti aggressivi ripetuti, in dispregio dei valori elementari della vita e della convivenza: una spoliazione nei confronti della proprietà e un’attività violenta e aggressiva senza alcuna empatia per la sofferenza degli altri.

Salendo nello schema troviamo poi il narcisismo maligno, il disturbo narcisistico propriamente detto e infine i tratti narcisistici nelle personalità nevrotiche.

Ad esempio sarebbe interessante considerare, sulla base all’organizzazione narcisistica di personalità di Kernberg, lo stadio del disturbo narcisistico nei soggetti appartenenti alle bande criminali.

Come il narcisista racconta se stesso? In che termini si percepisce?

Il narcisista si percepisce come una persona che è la migliore di tutte, d’altra parte, all’estremo opposto, si percepisce come uno zero, una nullità: uno stato psichico che i due criminologi americani Yochelson e Samenow definiscono lo stato zero.

Da un lato tali soggetti si sentono le persone più importanti e meritevoli di affermazione e riconoscimento da parte degli altri, e sono pieni di disprezzo per tutti, mentre dall’altra parte si sentono come delle nullità assolute, lo stato zero, appunto. Uno stato molto incoerente al proprio interno che corrispondente ad una scissione della personalità.

Il meccanismo di difesa della scissione, studiato da Melanie Klein e approfondito dal suo allievo Herbert Rosenfeld, ha ricondotto il narcisismo all’interno di questa teoria, sostenendo che il narcisismo non è che la presenza di un oggetto interno idealizzato, nei termini dalla Klein, con cui il soggetto si identifica, e la proiezione contemporanea della parte di sé disprezzata e svalutata nel mondo.

Ciò è quello che fanno secondo Yochelson e Samenow, i delinquenti, Questi buttano la parte di sé disprezzata nel mondo ed in questo modo la possono sottoporre a violenze, oppure si prendono i beni degli altri perché quello che è tuo è mio, quello che è mio è mio.

Le vittime che spesso ricorrono alla psicoterapia, come si raccontano? tendono a giustificare il narcisista all’interno della coppia? 

La caratteristica del narcisista è quella di sentirsi sempre in credito e quindi far sentire l’altro in debito.

L’altro si sente in colpa e si sente messo in crisi dal comportamento prevaricante del cosiddetto narcisista, del partner della coppia che ha questo atteggiamento, non tollerando ovviamente che il partner debole rimetta in loro la parte debole proiettata.

Un caso interessante che mi è capitato di seguire riguarda una signora che si stava separando dal marito. La signora descrive  nel suo mondo interno l’ex marito, come una persona che non tollera di essere messa in discussione e che butta addosso a lei tutte le parti negative di sé. Lui, in questo caso, fa da personalità dominante e tratta la moglie come una bambina cattiva, matta, indisciplinata e disobbediente: un ritratto del bambino che lui stesso era stato nei confronti della propria  madre, una donna educata in maniera teutonica, figlia di un militare di carriera.

Inoltre, la sorella della signora in questione, gravemente handicappata con deficit multipli era morta soffocata da un boccone: la signora si sentiva in colpa, perché nel momento in cui lei stessa avrebbe dovuto, nella sua fantasia, badarle, era capitato il fatto. Il senso di colpa, in questo caso, era divenuto una caratteristica stabile della personalità, ed era lì che si era insinuata la proiezione della colpa da parte del marito narcisista, rispetto al  quale la stessa signora aveva assunto un ruolo sottomesso e dal quale non riuscivaa separarsi.

Il narcisista tende a creare intorno a sé un ambiente a lui favorevole?

Da un certo punto di vista è uno che tende a trovare un ambiente perché questo possa curarlo. Ma, mentre cerca un ambiente e lo trova, spadroneggia e si comporta in modo tale da costringere l’altro a contenerlo. Ad esempio nelle diverse organizzazioni molto spesso vi sono soggetti narcisisti. In questi contesti è importante accogliere il narcisista, senza farlo sentire rifiutato.

Le organizzazioni hanno spesso una funzione terapeutica o di accoglimento nei confronti di tutti i membri.

Si può curare il narcisismo?

Da un punto di vista psicopatologico ci sono i narcisismi, non c’è il narcisismo in senso assoluto, è solo un mito dei media e della società.

Ma questi sono solo un’espressione del disturbo narcisistico, quello che troviamo nel DSM. Si tratta di persone che sfruttano gli altri e che cercano da questi ultimi ammirazione. I narcisisti hanno fantasie di successo illimitato ed è per questo che, per arrivare dove vogliono, calpestano gli altri.

Una persona narcisista deve affrontare l’idea di farsi aiutare, e questo mi fa pensare a Franz Kafka, quando descrive ne Il processo Josef K. che, fendendo la folla nelle cancellerie del misterioso tribunale, tronfiamente si immagina di essere salutato e riconosciuto da tutti, mentre questi ultimi salutano l’usciere che lo accompagna.

Questo è il vero narcisista.

Dietro ad un narcisista,  c’è sempre un bambino che nessuno ha guardato, ed è questo il problema. Occorre fare in modo che il paziente prenda contatto con questo bambino, senza sentirsi troppo umiliato dal terapeuta.

Nei casi più gravi si parla di narcisismo maligno. Ma come facciamo a curare un Pietro Masi, una Erika, un Izzo? Non sempre si può pensare di curare tutti.

Vi sono alcuni studi in riviste sientifiche, in cui si indica che  la percentuale di psicopatici si aggira intorno al 2-3% di tutta la popolazione.

E allora a questo punto ci si chiede: visto che ci sono persone così violente, come mai non sono state eliminate nel corso dell’evoluzione?

Questi studi evoluzionistici dicono che ogni società ha bisogno di guerrieri, così come vi sono le formiche guerriere, che servono e sono utili al formicaio, così, in fondo, i narcisisti e gli psicopatici sono utili alla società ed alla sua organizzazione.

 

[1] Cassazione, SS.UU. penali, sentenza del 08.03.2005 n° 9163

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