EXAGERE RIVISTA - Gennaio-Febbraio 2024, n. 1-2 anno IX - ISSN 2531-7334

Ordine e disordine: politica, cosmologia, filosofia

di Gianfranco Giudice

“Ordine” e “disordine”, cosa pensare innanzitutto di fronte a questi due termini? Potremmo tradurli immediatamente in altro modo, per esempio khaos e kosmos da greco; cosmo vuol dire infatti ordine, misura, armonia, ma anche bellezza, da cui i termini cosmetica e cosmesi. Il latino parla di universus e di mundus; ovvero universo e mondo, che rinviano rispettivamente a ciò che ha un verso solo, un principio di ordine e di misura, come il cosmo greco; oppure nel caso di mondo a ciò che è pulito. La parola “ordine” viene dal latino ordo, che rinvia alla radice ARĒ, presente anche nella parola “arte”; è una radice diffusa con vari ampliamenti, in tutta l’area indoeuropea; indica l’azione di articolare e ordinare.

Dunque il termine “ordine” circoscrive un chiaro orizzonte semantico che rinvia in vario modo alla misura e all’armonia, all’articolazione sulla base di un principio organizzatore che si fonda sulla ragione. L’ordine infatti non può essere scisso dal logos, parola che in greco ha una molteplicità di significati: parola, discorso, proporzione numerica, ragione. Senza discorso razionale e proporzionalità tra le parti di un tutto secondo la misura, non è possibile alcun ordine.  Che cosa invece è l’opposto dialettico dell’ordine? Che cos’è il disordine? E’ impossibile definire concettualmente un termine senza l’altro, essendo logicamente correlativi. Abbiamo detto che in greco si tratta del khaos; dunque di ciò che è totalmente privo di qualunque armonia, misura e principio di organizzazione razionale. Se l’ordine rinvia al principio di ragione, ovvero il fondamento e la causa dell’ordine; allora il disordine va messo in relazione con la mancanza di razionalità, ovvero l’irrazionale. Ecco che la coppia ordine- disordine può essere tradotta  in quella di razionalità-irrazionalità, che a sua volta potrebbe condurci alla opposizione tra necessità e contingenza, legge e caso. Ogni traduzione apre naturalmente un ventaglio di sfumature concettuali ulteriori, rispetto alla coppia concettuale di partenza.

Fin qui siamo nel campo della terminologia e della semantica astratta; proviamo ora a riempire di contenuti più precisi i termini “ordine” e “disordine”, pur tenendo conto di tutti i rinvii richiamati prima. Cosa pensiamo oggi quando sentiamo dire tali parole? Indubbiamente i rinvii metafisici, teologici e cosmologici, ma anche psicologico- esistenziali (pensiamo all’idea di vita ordinata o disordinata)  che stanno dietro la semantica greca e latina dei termini “ordine” e “disordine” sono importanti e li toccheremo.Quando oggi tuttavia si parla di ordine o disordine, è innanzitutto al livello di organizzazione sociale e politica che pensiamo, con la conseguenza in termini di maggiore o minore sicurezza o ansia a livello di percezione sociale diffusa e individuale . Del resto esistono le forze dell’ordine che sovraintendono all’ordine pubblico, ovvero servono per il contrasto del disordine che può avere origine sociale o politica.

Esistono inoltre l’ordine internazionale e il disordine internazionale, che rinviano immediatamente al livello delle relazioni politiche tra gli attori del diritto internazionale, ovvero gli Stati sovrani. Questi a loro volta esistono se e solo se esiste un ordine interno grazie al monopolio da parte dello Stato della forza legittima, secondo la definizione weberiana; perché senza esercizio della forza da parte dello Stato, mai potrebbe nascere un ordine politico da quello stato di natura in cui, come diceva il filosofo inglese Thomas Hobbes, regna il bellum omnium contra omnes. Oggi l’esistenza del terrorismo internazionale ha in parte rimescolato e sconvolto le nostre mappe mentali, per cui i concetti di ordine-disordine ci portano subito davanti agli occhi un tipo di rottura dell’ordine, dunque di disordine e guerra, totalmente diversa dal concetto tradizionale di guerra tra Stati sovrani. A proposito di ordine e disordine internazionale, ecco cosa ha scritto, con un inquietante riferimento proprio ad Hobbes, un’autorevole rivista italiana di geopolitica della guerra attuale; ovvero della condizione di caos e di disordine, originato dal terrorismo che attraversa il mondo attuale e che ha portato gli studiosi di geopolitica a coniare il termine Caoslandia per descrivere una parte del pianeta:

Il caos alle porte? Ad auscultare il respiro profondo della nostra società come di altre in Europa, non solo mediterranea, parrebbe di cogliere la paura del ritorno allo stato di natura. Condizione umana che il filosofo inglese Thomas Hobbes descriveva quasi quattro secoli fa come anticamera dell’apocalisse. Uno stato senza Stato. Nel quale cade ogni obbligazione: niente più governi né governati. La guerra di tutti contro tutti. Homo homini lupus.

Uno sguardo ai mari che bagnano le nostre coste, solcati da zattere stracolme d’umanità sradicata, i fondali segnati dalle fosse comuni dei naufraghi, suscita allarme e paura. Ove non bastasse, la drammatizzazione mediatica e l’impotenza della politica, accentuata dal ricorso a una retorica tranquillizzante che non calma nessuno, provvede a eccitare ansie collettive. Fomite di reazioni irrazionali. Più spesso di rassegnazione. Mai come nelle emergenze effettive o percepite – effettive in quanto percepite- ci soccorre lo sguardo analitico della geopolitica. Proviamo dunque a cartografare le dinamiche profonde da cui scaturisce il nostro senso di pericolo per moderarne l’impatto e governarne le aberrazioni.

Conviene partire da uno schizzo di planisfero geopolitico […]. Spicca la bipartizione del pianeta fra terre dell’ordine e spazi del caos. Noi italiani siamo in bilico fra due mondi, con la testa e il torso (il Nord-Centro) ancora radicati nell’Europa relativamente ricca e regolata, mentre gli arti inferiori (lo sfortunato Mezzogiorno) sembrano sul punto di staccarsene, battiti dalle onde di Caoslandia. Termine con il quale indichiamo quel vasto spazio […] che corre dall’America centrale all’Africa fino all’incrocio degli Oceani Indiano e Pacifico. Qui si concentrano conflitti di ogni genere, traffici clandestini, imprese terroristiche, minacce all’ambiente, dunque agli habitat umani. E di qui muovono le migrazioni che tanto ci inquietano – solo la punta dell’iceberg, visto che oltre quattro quinti dei flussi dirigono da un punto all’altro di Cosalandia, lungo direttrici sud-sud. Potemmo battezzarla Terra di Hobbes. Le peggiori distopie del grande pensatore politico sembrano materializzarsi. Se fosse vissuto oggi, anziché evocare i costumi selvaggi degli indiani d’America, Hobbes avrebbe forse esemplificato le sue teorie scandagliando le vene profonde di Caoslandia (Limes, 9/2015, pp. 7-8).

Per capire che cosa sia immediatamente disordine, caos,  non dobbiamo dunque che guardare alle condizioni geopolitiche del mondo in questo inizio di nuovo secolo e millennio; epoca di profonda transizione che ha sovvertito tutti i principi di ordine che hanno governato il mondo nella seconda metà del XX secolo, il cui cardine era il bipolarismo USA-URSS nato con la Seconda guerra mondiale.. L’Europa e l’Italia con la sua collocazione al centro del Mediterraneo, fondamentale faglia tra Nord e Sud del mondo; è uno dei principali crocevia in questa transizione disordinata e caotica verso un approdo di cui oggi nessuno potrebbe dire nulla di preciso. Il che spiega la enorme incertezza della politica attuale, sia ai livelli nazionali che nel contesto delle relazioni internazionali. L’ordine internazionale può essere frutto o delle reciproche convenienze tra Stati sovrani, come in parte e solo in alcune zone del mondo è avvenuto nell’epoca delle guerra fredda; oppure può scaturire da un potere terzo che si collochi al di sopra degli Stati sovrani  imponendo loro un ordine.

Questa seconda possibilità è solo teorica, non può essere certamente l’Onu che non è dotata di alcuna forza e autorità propria per svolgere questo compito. La prima possibilità, ovvero un nuovo ordine geopolitico  dopo quello della guerra fredda, non è dato e arriverà solo quando emergerà dalla dinamica del multipolarismo tra potenze di stazza continentale (Stati Uniti, Russia, Europa, Cina, India, Brasile) o che stanno emergendo in un continente come l’Africa, nel disordine planetario di questo inizio di XXI secolo.  Tutto ciò si ripercuote a livello sociale e di opinioni pubbliche, sempre più in preda all’ansia, ad una sensazione di insicurezza diffusa, alla vera e propria paura per il domani. Gli esiti delle recenti elezioni negli Stati Uniti, con la vittoria di Donald Trump, il successo di movimenti politici in Europa definiti troppo frettolosamente “populisti”; sono il risultato sovrastrutturale, per usare una antica e sempre valida terminologia marxiana, di questo clima di incertezza profonda e diffusa tra strati sempre più ampi di popolazione, in modo trasversale rispetto alle tradizionali classificazioni sociali e politiche.

La seppure marginale vicenda politica italiana degli ultimi anni, fino all’esito del referendum costituzionale dello scorso 4 dicembre; non sarebbe comprensibile al di fuori di un contesto europeo e mondiale in cui non pare esistere un principio di ordine che lo governi. Ordine-disordine dunque fanno innanzitutto riferimento alla politica; alla capacità di governo e alla forza, di cui il consenso dei governati è un metro essenziale, necessaria per costruire l’ordine politico, che in greco rinvia ai termini taxis, da cui tassonomia, ovvero ordinare classificando; oppure al termine cosmos che già conosciamo; l’ordine armonico, la misura razionale capace con l’uso delle leggi e delle armi, per dirla con Machiavelli, di trasformare il caos in cosmo politico. Leggiamo dunque le parole del Segretario fiorentino:

E’ principali fondamenti che abbino tutti li stati, così nuovi come vecchi o misti, sono le buone legge e le buone arme: e perché non può essere buone legge dove non sono buone arme, e dove sono buone arme conviene sieno buone legge […]”( Il Principe, XII).

La missione e la ragione stessa di esistere del Principe, che incarna la sovranità dello Stato, è costruire l’ordine e garantire l’ordine politico dal disordine sempre possibile, in cui può ricadere la comunità umana. Se questo accade, verrebbero a mancare le condizioni stesse per la sopravvivenza di ogni uomo. Non esiste ancora nel ‘500 un concetto di società distinto dall’organizzazione statuale, per quanto lo stesso Machiavelli analizzi ne Il Principe quelle che noi chiameremmo classi sociali; tutto ciò però è strettamente integrato con i rapporti di potere, per cui ordine politico significa anche ordine sociale. Compito di chi governa è garantire l’ordine politico contro il pericolo del caos e della guerra civile, di cui possono approfittare le potenze straniere per realizzare le loro mire egemoniche. Machiavelli ha di fronte le guerre il contesto geopolitico in cui è inserita la penisola italiana tra la fine ‘400 e l’inizio del ‘500; è il fine stesso della politica, la sua etica, diversa da quella che riguarda la vita individuale e i rapporti tra singoli; ovvero “tutte quelle cose per le quali gli uomini sono tenuti buoni”. In tal senso non è corretto, come si afferma di solito, che il Segretario fiorentino separi etica e politica fondando l’autonomia della politica; più correttamente si deve dire che Machiavelli attribuisca alla politica un’etica specifica, quella di fondare e garantire l’ordine, “mantenere lo stato”, anche al prezzo dia andare contro i valori dell’etica delle relazioni tra persone. Leggiamo in proposito ancora Il Principe:

“E hassi ad intendere questo, che uno principe, e massime uno principe nuovo, non può osservare tutte quelle cose per le quali gli uomini sono tenuti buoni, sendo spesso necessitato, per mantenere lo stato, operare contro alla fede, contro  alla carità, contro alla umanità, contro alla religione. E però bisogna che egli abbia uno animo disposto a volgersi secondo ch’e’ venti della fortuna e le variazioni delle cose li comandano, e, come di sopra dissi, non partirsi dal bene, potendo, ma sapere intrare nel male, necessitato. […] e nelle azioni di tutti gli uomini, e massime de’ principi, dove non è iudizio a chi reclamare, si guarda al fine. Facci dunque uno principe di vincere e mantenere lo stato: e’ mezzi saranno sempre iudicati onorevoli e da ciascuno laudati; perché il vulgo ne va sempre preso con quello che pare, e con lo evento della cosa; e nel mondo non è se non vulgo: e li pochi non ci hanno luogo quando li assai non hanno dove appoggiarsi. Alcuno principe de’ presenti tempi, quale non è bene nominare [ si riferisce a Ferdinando il Cattolico, re di Spagna] , non predica mai altro che pace e fede, e dell’una e dell’altra è inimicissimo; e l’una e l’altra, quando e’ l’avessi osservata, gli avrebbe più volte tolto o la reputazione o lo stato (XVIII). ”

La costruzione dell’ordine politico richiede una visione politica, ovvero il logos, la ragione immanente; in mancanza di un aggancio nel trascendente come avviene con la elaborazione del concetto di “bene comune” nel pensiero politico che nasce con la scolastica di Tommaso d’Aquino, ma che affonda le sue radici per altri versi nella patristica di Agostino. Scrive Nicola Matteucci in proposito e in modo chiaro:

La visione è appunto l’elemento ordinante di ciò che un sistema politico può e deve essere nei tempi futuri. La vision del possibile ordine politico si afferma soprattutto nei tempi di crisi, sia questa dovuta a disgregazione e disordine, o a radicali mutamenti politici o a profonde trasformazioni sociali. La vision più forte, forse, la possiamo trovare in Hobbes: nell’assenza di un presupposto dato, cioè di un’idea di ordine, perché esiste solo il disordine, resta soltanto la politica, come decisione, a trasformare il caos in cosmo […] (N. Matteucci, Alla ricerca dell’ordine politico. Da Machiavelli a Tocqueville, Il Mulino, Bologna1984, p. 17).

Abbiamo fatto riferimento al pensiero di Niccolò Machiavelli per comprendere il fondamento dell’ordine politico; non possiamo tuttavia non fare riferimento ad un altro caposaldo del pensiero politico moderno, che abbiamo già evocato in apertura: Thomas Hobbes. Come il Segretario fiorentino, pur essendo l’italiano un uomo del fare più che un teorico puro come invece è anche l’inglese, Hobbes elabora la sua teoria politica e dottrina dello stato anche a partire dalla osservazione diretta (secondo il metodo della scienza sperimentale che si afferma nell’epoca) della condizione di guerra civile in cui era precipitata l’Inghilterra nella prima metà del ‘600, con la fine violenta della monarchia di Carlo I Stuart, condannato a morte nel 1649. La teoria hobbesiana dello stato assoluto sarebbe incomprensibile se si prescindesse dalla condizione di guerra civile in cui era caduto  il Regno d’Inghilterra nel XVII secolo, se non si considerasse lo spettro della guerra di religione, come fu anche quella civile inglese. Dunque ritorniamo al caos, al disordine politico che giace come possibilità sempre immanente, anche nella condizione di ordine; perché l’ordine è sempre precario e soggetto ai mutamenti portati dal tempo, come ci insegna Machiavelli. Si tratta di un rischio mortale, perché il caos politico fa venire meno ogni sicurezza individuale, il primum vivere. Si tratta del  primo bene che va salvaguardato secondo Hobbes dato che le sue premesse sono di natura puramente individualista e senza sicurezza individuale non può esistere alcuna sicurezza collettiva e alcuno Stato sovrano. Il potere sovrano è per il filosofo inglese l’esercizio della ragione che consente di calcolare i mezzi tecnici per realizzare lo scopo che è la costruzione dell’ordine politico. Quest’ultimo è il bene, dunque non esiste un bene, un ordine metafisico  o divino a cui il potere politico si debba adeguare; il bene politico è costruire l’ordine dal disordine, utilizzando per questo scopo tutte le tecniche necessarie. Il potere politico si secolarizza, e in tal senso per Hobbes lo Stato diventa esso stesso un Dio, per quanto mortale come il Leviatano; dato che ogni costruzione statale è un artificio destinato prima o poi a morire. La politica si tecnicizza, diventa uno strumento per costruire il solo ordine possibile, ovvero quello che funziona. La ragione funzionale diventa pertanto il vero fondamento dello Stato assoluto, ovvero lo Stato che non riconosce alcuna eccezione rispetto alla propria sovranità (potere che sta sopra ogni altro). Hobbes vive nell’epoca in cui nasce la scienza sperimentale moderna; anche la politica diventa una scienza, per cui accanto alla fisica che studia l’ordine dei corpi naturali, nasce la fisica del principale corpo artificiale costruito dall’uomo: lo Stato. Quest’ultimo è necessario per stabilire l’ordine politico, frutto di una legge fisica, così come lo è la caduta di un corpo sotto l’effetto della forza di gravità. Qual è la legge fisica che spinge necessariamente gli uomini ad associarsi, per uscire dallo stato di natura in cui regna il bellum omnium contra omnes, per sottomettersi al potere sovrano statale? Si tratta della paura della morte; è proprio per sconfiggere la paura più grande che nasce l’ordine statale in grado di sconfiggere il caos e il disordine anarchico della guerra civile politica e religiosa. L’uomo è per Hobbes un animale desiderante, una macchina del desiderio; il desiderio è un tiranno che se non governato e incanalato nel suo fluire impetuoso, genera un caos senza fine. Leggiamo un passo del Leviatano in cui è perfettamente descritta l’antropologia hobbesiana:

La felicità è un continuo progredire del desiderio d un oggetto all’altro, non essendo il conseguimento del primo che la via verso quello che viene dopo. La causa di ciò è che l’oggetto del desiderio di un uomo non è quello di gioire una volta sola e per un istante di tempo,  ma quello di assicurarsi per sempre la via per il proprio desiderio futuro. Perciò le azioni volontarie e le inclinazioni di tutti gli uomini tendono non solo a procurarsi ma anche ad assicurarsi una vita appagata; differiscono solo nella via, e ciò sorge in parte dalla differenza della conoscenza o dell’opinione che ciascuno ha delle cause che producono l’effetto desiderato (XI).

L’ordine politico è frutto della limitazione dei desideri irrazionali, a vantaggio di un principio di realtà e razionalità. Solo il differimento nel tempo nella soddisfazione del desideri, permette la costruzione dell’ordine politico e civile; ovvero “deporre la loro [degli appetiti] irrazionale inclinazione a preferire i beni presenti ai beni futuri”(De Cive, III, 32). Solo così l’uomo va oltre la sua bestialità che ridurrebbe la comunità umana alla guerra permanente per il soddisfacimento dei desideri. La spinta degli appetiti è un’energia primitiva e disordinata, un carburante che il potere politico deve conoscere, incanalare e governare per raggiungere l’ordine in grado di garantire la pace, dunque  la vita e la proprietà di ciascun individuo. In mancanza di ordine politico, dato che ogni uomo ha diritto a tutto (jus omnium in omnia), nessuno sarebbe più garantito nel suoi beni primari: la vita e la proprietà; Machiavelli parlava della roba e diceva che “gli uomini dimenticano più presto la morte del padre che la perdita della roba”(Il Principe, XVII).

Il potere sovrano per Hobbes è un potere assoluto, unica garanzia per mantenere l’ordine; il singolo cede ogni suo potere allo Stato mantenendo per sé solo quello di sottrarsi alla morte giustamente o ingiustamente inflittagli dal sovrano, poiché solo per salvare la sua vita ciascuno si sottomette al potere statale. Cosa sono nella loro essenza dunque disordine e ordine? Il disordine è il prodotto delle spinte desideranti degli individui, atomi carichi di energia che si muovono caoticamente cozzando l’uno contro l’altro, mettendo così a rischio l’esistenza di ciascuno. L’ordine è il potere sovrano dello Stato che si impone ai singoli individui, grazie alla rinuncia che ciascuno fa al proprio arbitrio assoluto, per garantire con tale rinuncia la propria salvezza dal pericolo della morte.

La polis, l’ordine politico statale, è il luogo del disordine immanente, del caos; polis ha la stessa radice di polemos, guerra, conflitto, a partire da cui la tecnica politica (politiké tekhné) deve costruire l’ordine. L’ordine politico rinvia tuttavia all’ordine cosmico entro cui è inquadrato e collocato; come nella successione immaginata da Platone nei due grandi dialoghi La Repubblica e il Timeo, dedicati rispettivamente all’ordine politico e all’ordine cosmico. Qual è l’origine del mondo-cosmo? L’ordine cosmico esiste da sempre oppure il mondo-cosmo proviene dal nulla, oppure da un caos primordiale?. “I tentativi di classificare i miti cosmogonici dipendono dal metro che si usa e dal punto di vista da cui si parte. La linea di divisione più generale passa tra i racconti che suppongono un inizio del mondo e quelli che sostengono che il mondo esista da sempre. Basti pensare alla prima pagina della Bibbia ebraica, in cui il mondo viene creato da un Dio, e alla visione buddhista, in cui la realtà fluisce da sempre e per sempre. […] Tra le cosmogonie che sostengono un qualche inizio del mondo si possono individuare due correnti opposte. La prima parla di un inizio assoluto, cioè della creazione del mondo dal nulla; è riscontrabile soprattutto nell’ebraismo, nel cristianesimo e nell’islam; la seconda racconta un inizio relativo poiché suppone qualche forma pre-esistente da cui il mondo viene plasmato o emerge: una pre-materia, un caos, un uovo ecc.”(In principio. Racconti sull’origine del mondo, a cura di M. Bielawski, Garzanti, Milano 2014, pp.9-10)

Cosa dice la cosmologia a proposito di ordine-disordine? Per farci una idea della questione dobbiamo fare riferimento alla teoria del big bang. “Secondo le teorie cosmologiche (cioè relative all’origine dell’universo) più sofisticate, quando l’universo aveva un paio di minuti di vita era pieno di un gas caldo quasi uniforme, composto approssimativamente dal 75 per cento di idrogeno, dal 23 per cento di elio e da piccole quantità di deuterio e litio. Il punto fondamentale è che questo gas presentava un’entropia incredibilmente bassa. Il big bang ha dato vita all’universo in uno stato di entropia bassa, che sembra essere la fonte dell’ordine che ora noi vediamo. In altre parole, l’ordine attuale è un retaggio cosmologico”(Brian Greene, La trama del cosmo. Spazio, tempo, realtà, Einaudi, Torino 2004, p. 202-203). Ricordando che l’entropia è la misura del disordine di un sistema fisico, data dal numero di cambiamenti delle configurazioni microscopiche del sistema che ne lasciano inalterate le proprietà macroscopiche; questo significa dunque che nella storia dell’universo, a partire dalla sua origine fisica, l’ordine si costruisce in relazione al disordine, ovvero ordine a disordine non sono due opposti come comunemente si pensa, bensì sono due facce della stessa medaglia. Si tratta di un punto fondamentale, non solo dal punto di vista della cosmologia, ma anche dal punto di vista filosofico.. Infatti concettualmente si pone a questo punto la domanda se sia possibile separare ordine e disordine, o piuttosto si tratti di correlativi inscindibili, per cui non sia possibile pensare ad una priorità cronologica e logica del disordine o del caos, rispetto all’ordine ovvero al cosmos. Da un punto di vista logico noi possiamo infatti pensare il disordine solo avendo già una idea di ordine, e viceversa; si tratta di due facce della stessa medaglia. Pensare in termini cosmologici ad una evoluzione dal disordine all’ordine è una contraddizione in termini a ben riflettere, perché quel che avviene in realtà è una proiezione all’indietro, una retroazione dal concetto di ordine, già posseduto dalla nostra mente, verso il suo correlativo dialettico, ovvero il disordine. Pensare che esista un inizio caotico da cui provenga l’ordine, significa non considerare tutti i presupposti necessari per pensare il caos; innanzitutto l’ordine del linguaggio e del pensiero, ovvero l’abito argomentativo, la pratica del pensare. Ecco cosa scrive il filosofo Carlo Sini a proposito della supposta origine dell’universo, dunque di un cosmo ordinato, dalla catastrofe del Big Bang:

La fallacia della argomentazione del cosmologo sta dunque in ciò: egli retrocede al supposto “inizio” i suoi abiti argomentativi e linguistici (per esempio la sua nozione di tempo, senza la quale nemmeno si farebbe l’idea di qualcosa come un “inizio”), retrocede idealmente le sue strumentazioni e apparecchiature tecniche, i suoi canoni metodologici e professionali e così via, senza tener conto della loro incidenza sui supposti “fatti”. Tutto ciò resta ovvio e implicito, sicché, senza rendersene conto, è come se egli dicesse: se i miei abiti osservativi, le mie strumentazioni ecc. fossero stati allora presenti, avrebbero potuto constatare che le cose all’ “inizio” sono andate proprio come io sostengo: ci fu il Big Bang e tutto il resto. Ma egli non sa  che proprio questo è ciò che la sua “storia”, il suo “racconto” dell’inizio, implicitamente di fatto sostiene; sicché non può neppure rendersi conto di quest’altro incontrovertibile fatto: che proprio quelle “cose” che lui presuppone e che non può non presupporre per dire quello che dice (i suoi abiti interpretativi ecc.) di fatto e di principio all’inizio non potevano essere presenti. Non poteva esserci qualcosa di simile all’osservatorio astronomico di Harvard così com’è oggi all’inizio dell’universo. Infatti anche queste “cose” sono conseguenze del Big Bang, dal quale (egli dice) tutto deriva (C. Sini, Raccontare il mondo. Filosofia e cosmologia, Jaca Book, Milano 2004, pp. 32-33).

Se noi andiamo all’alba del pensiero occidentale, ovvero alla Teogonia di Esiodo, noi vediamo che ordine e disordine sono pensati insieme, colti con un atto unico del pensiero in modo non disgiungibile. Ecco i versi di Esiodo:

In primissimo luogo fu Chaos,

subito dopo fu Gaia dall’ampio petto,

sempre sede sicura di tutti gli Immortal

(Teogonia, vv. 116-118)

“Nel pensiero popolare e comune Chaos viene per lo più immedesimato con disordine. Nel pensiero esioideo Chaos è il Grund, il principio, il fondamento. In realtà andrebbe interpretato come un Ungrund dell’Abgrund, come l’abisso del non fondamento. Ma ciò che è abissale non per questo è disordine, casomai è incommensurabile, è imperscrutabile, è indefinibile, è irraggiungibile mentalmente e fisicamente, è più buio del buio, ma non necessariamente non è ascrivibile al concetto di ordine. Gaia invece è tutto il contrario. Ha un petto talmente ampio che dà sicurezza persino agli dei”(G. Tettamanti, L’Eone della cosa. Saggio filosofico da Aristotele a Carl Schmitt, Mimesis, Milano 2016, p.136). Possiamo dunque concludere, con le parole del commento appena riportato su un punto fondamentale, ovvero che caos e cosmo, ordine e disordine non sono realtà diverse, perché si mostrano ad uno sguardo più profondo come facce della stessa medaglia, come ombra e  luce mai separabili fra loro.

 

[wp_objects_pdf]

Share this Post!
error: Content is protected !!