de Gianfranco Brevetto
(CAS/ITA traduzione in fondo)
La escritora, dramaturga y guionista argentina Claudia Piñeiro, es actualmente una de las voces más importantes de la literatura latinoamericana. En su nueva novela Il tempo delle mosche (publicada en Italia por Feltrinelli, 2024 – Ed. Or. El tiempo de las moscas, Alfaguara 2023), la autora nos transporta a un mundo femenino hecho de pequeñas y grandes dudas y decisiones, pero sobre todo vinculado y orientado a la construcción de una identidad, de una unicidad, impulsado por debilidades y terquedades.
– El tiempo de las moscas parece ser la continuación de su anterior novela Tuya (Tua, Feltrinelli, 2011). La protagonista sale de prisión. Había ingresado allí 15 años antes, por haber matado a su marido. Su primer problema es con el apellido: volver a su apellido de soltera o simplemente definirse como una ex–Pereyra, el apellido de su difunto marido. Inés ahora se percibe a sí misma como ex-Pereyra, Experey. ¿Por qué Inés elige ser una ex?
–Creo que ella que siempre fue la “mujer de” alguien quiere ahora reforzar que ya no lo es. Ya no es más pero lo fue. Es una manera de romper con lo anterior pero recordarlo casi como una manera de estar alerta a lo que tuvo y ya no quiere tener.
– La muerte de una mosca es una muerte es una cita de una bella frase de Marguerite Duras en Escrito. La muerte de una mosca no queda registrada, es como si nada hubiera pasado, porqué nadie se plantea problemas éticos. ¿Quizás sea precisamente por eso que Inés, al tener que reconstruir su vida, decide fundar una empresa que se ocupe de la desinsectación?
–Inés tiene que encontrar un modo de ganarse la vida. El hecho de haber reflexionado tanto sobre las moscas en prisión la lleva a evaluar esa manera de ganarse la vida pero con un principio innegociable: ella no mata moscas. A través de esa profesión que permite matar seres vivos (en este caso insectos) ella puede reflexionas sobre què muertes son válidas y què muertes no. Ella reflexión la lleva a pensar en la persona a quien ella mató. Y a los lectores acerca de tantas muertes que hay en el mundo y por qué algunos creen que hay ciertas que son válidas y cierta que no cuando ninguna debería serlo.
– Cuando sale de prisión, Inés se encuentra sola. Se encuentra desnuda, indefensa, expuesta y sin protección alguna. Sin embargo, Inés empieza de nuevo, a pesar de todo, a pesar de sus ataques de pánico. También gracias a la solidaridad de otras mujeres. ¿Es desde aquí, exactamente, donde debemos empezar de nuevo? ¿Desde la solidaridad?
-Creo en una frase de Tennessee Williams que ya usé en otra novela , la dice Blanche Dubois en “Un Tranvía llamado deseo”, ella dice : siempre dependí de la amabilidad de los extraños. Creo que hoy al mundo le falta amabilidad, pensar en el otro, desear ayudar al otro. En los movimientos de mujeres esto se ve muy claramente. En argentina, todos los derechos que hemos conseguido en los últimos años fue gracias a una gran “sororidad” entre todas nosotras. No solo a nivel país sino de todo el continente americano.
– En su novela me llamó mucho la atención que algunos diálogos estén marcados por el silencio del interlocutor. Su gran experiencia como guionista le ha permitido considerar estos momentos como muy significativos, momentos de silencios que no siempre se perciben en un libro. Esto me hace reflexionar sobre el valor del silencio, incluso en la literatura. ¿Cuándo es necesario guardar silencio y por qué?
-Para mi el silencio es clave. Tengo un ensayo donde hablo del silencio como motor de mi escritura. Todo lo que escribo tiene que ver con silencios anteriores a los que no les pude poner palabras en ese momento. Por eso creo que hay que señalar los silencios en el habla. Hay que marcarlos para que el lector los sienta. La incomodidad de dos personas una frente a otra sin poder hablar es una escena dramática que vale la pena remarcar. También el silencio reflexivo. También lo que decidimos callar. El vacío de palabras no es la nada sino el silencio, y el silencio siempre significa algo.
Per me il silenzio è chiave. Intervista a Claudia Piñeiro
di Gianfranco Brevetto
Scrittrice, drammaturga, sceneggiatrice, Claudia Piñeiro, argentina, è attualmente una della voci più importanti della letteratura latinoamericana. Nel suo nuovo romanzo Il tempo delle mosche (edito in Italia da Feltrinelli,2024), l’autrice ci trasporta in un mondo femminile fatto di piccole e grandi scelte, ma soprattutto legato e teso alla costruzione di un’identità, di una unicità, mosso da debolezze e caparbietà.
–Il tempo delle mosche appare la prosecuzione del suo precedente romanzo Tua (Feltrinelli, 2011). La protagonista esce dal carcere. Ci è entrata 15 anni prima per aver ucciso il marito. Il suo primo problema è il cognome: riprendere il cognome da nubile o semplicemente definirsi come ex–Pereyra, il cognome del defunto marito. Ines adesso si autopercepisce come ex-Pereyra, Experey. Perché Ines sceglie di essere una ex?
– Penso che lei che è sempre stata la “moglie” di qualcuno ora voglia rafforzare il fatto che non lo è più. Non lo è più ma lo era. È un modo per rompere con il precedente ma ricordarlo. Un modo per essere attenti a ciò che hai avuto e non vuoi più avere.
–La morte di una mosca è una morte, lei cita la bellissima frase di Marguerite Duras in Scrivere. La morte di una mosca non si registra, è come se non fosse accaduto nulla, nessuno si pone problemi etici. E’ Forse proprio per questo che Ines, nel doversi rifare una vita, sceglie di fondare una società che si occupa di disinfestazioni d’insetti?
-Inés deve trovare un modo per guadagnarsi da vivere. Il fatto di aver riflettuto tanto sulle mosche in carcere la porta a valutare questo modo di guadagnarsi da vivere ma con un principio non negoziabile: non uccide le mosche. Attraverso questa professione che permette di uccidere esseri viventi (in questo caso insetti) può riflettere su quali morti valgano e quali no. La sua riflessione la porta a pensare alla persona che lei ha ucciso. E ai lettori riguardo a così tante morti che si sono nel mondo e perché alcuni credono che ce ne siano alcune valide e altre no quando nessuna dovrebbero esserlo.
– Quando lascia il carcere, Ines si ritrova sola. Si ritrova nuda, indifesa, esposta senza nessuna protezione. Eppure Ines riparte, nonostante tutto, nonostante i suoi attacchi di panico. Anche grazie alla solidarietà di altre donne. E’ proprio da questo che occorre ripartire? Dalla solidarietà?
-Credo in una frase di Tennessee Williams che ho già usato in un altro romanzo, è detta da Blanche Dubois in “Un tram che si chiama Desiderio”, dice: Ho sempre fatto affidamento sulla gentilezza degli sconosciuti. Penso che oggi nel mondo manchi la gentilezza, il pensare agli altri, il voler aiutare gli altri. Nei movimenti delle donne questo si vede molto chiaramente. In Argentina, tutti i diritti che abbiamo conquistato negli ultimi anni sono stati grazie ad una grande “sorellanza” tra tutte noi. Non solo a livello nazionale ma in tutto il continente americano.
-Mi ha colpito molto nel suo romanzo il fatto che alcuni dialoghi, siano segnati dal silenzio dell’interlocutore. La sua grande esperienza di sceneggiatrice le ha permesso di far diventare significativi anche questi momenti, che in un libro non sempre si percepiscono. Mi ha fatto riflettere sul valore del silenzio, anche in letteratura. Quando occorre tacere e perché?
-Per me il silenzio è fondamentale. Ho scritto un saggio in cui parlo del silenzio come forza trainante della mia scrittura. Tutto ciò che scrivo ha a che fare con silenzi precedenti nei quali, in quel momento, non riuscivo a esprimere le parole. Ecco perché penso che dobbiamo sottolineare i silenzi nel discorso. Occorre contrassegnarli in modo che il lettore li senta. Il disagio di due persone che si fronteggiano senza potersi parlare è una scena drammatica che vale la pena sottolineare. Anche il silenzio riflessivo. Ciò che abbiamo deciso di non dire. Il vuoto delle parole non è altro che silenzio, e il silenzio significa sempre qualcosa.
Claudia Piñeiro
Il Tempo delle Mosche
Feltrinelli, 2024